E’ la prima volta in assoluto
che il Vescovo di Roma visita la biblica terra mesopotamica e la città di Ur da
dove Abramo muove con la sua famiglia e gli armenti verso la terra che Dio gli
ha promesso per sé e per la sua numerosissima discendenza. Forte è in
significato simbolico: da Ur è iniziato il lungo percorso, durato secoli di
storia narrata dalla Bibbia, della salvezza conclusosi a Gerusalemme sul monte
Golgota. Tutto è accaduto perché Abramo
ha creduto alla promessa divina, che oggi l’uomo con le sue azioni sembra aver
accantonata, basta osservare cosa accade nel mondo ed in particolare la tragedia
e le persecuzioni subite dalle varie etnie presenti in Iraq a causa della
smania ossessiva di potere di pochi. L’Iraq è da sempre un mosaico composito di
religioni e di etnie per le quali il destino è semplice: vivere insieme o
combattersi; così ogni controversia si è spesso risolta con la forza e la
brutalità di chi esercitava il potere.
Quello di Francesco è stato un viaggio voluto per portare speranza e
sostegno a comunità cristiane che si sentivano un po’ ai margini e quasi
residuali anomalie millenarie, quando la fede in Cristo con varie sfaccettature
era maggioranza diffusa. Oltre ad essere un viaggio apostolico, quasi una
visita pastorale, non bisogna sottovalutare gli altri obiettivi, che sono
legati al dialogo con l’Islam, l’altra grande fede monoteista. Dopo l’incontro
con il più alto esponente dell’islam sunnita, Muhammad Ahmad al-Tayyeh, iman e
rettore della moschea e Università di studi teologici e giuridici al-Giami Al-Azhar
del Cairo, il Papa ha incontrato la più alta autorità sciita, l’ayatollàh Alì
al-Sistani, iman di Najaf, città sacra. Con entrambi si è affrontato il
delicato tema della convivenza e del rispetto reciproco per il bene delle
popolazioni vittime degli scontri tra i vari potentati politici che utilizzano
la fede per scopi impropri. Notoriamente al-Sistani da sempre prende le
distanze dai violenti che si annidano tra i suoi e non approva l’interferenza diretta
dei religiosi nella gestione del potere politico, come accade con i khomeinisti
ayatollàh sciiti iraniani, è un uomo di fede che lavora per la convivenza e la
fratellanza, ritenute valori essenziali per la crescita e il benessere della
collettività. Si comprendono così le ragioni del cordiale colloquio e la piena
sintonia con il pensiero del Papa. In questo paese mediorientale, crogiuolo di
etnie, religioni e culture diverse, per entrambi, le parole chiave sono: “Amicizia e collaborazione tra le fedi.” e
“Chi odia il fratello profana il nome di Dio.”. Nell’incontro
interreligioso nella piana di Ur il leit
motiv era: l’inizio della pace e di un graduale ritorno alla normalità
partono dalla rinuncia di avere nemici alla porta accanto. Vent’anni di guerre
hanno lasciato solo sofferenze, morti e un paese da ricostruire moralmente,
materialmente ed economicamente. Papa
Francesco mostra di avere le idee chiare sulle iniziative da portare avanti con
concreta determinazione per dare ordine e pace all’intera area mediorientale
vittima di interessi contrapposti anche di Stati estranei alla regione. L’auspicio
è che nel Medioriente prevalga la presenza di politici moderati (questo è il
vero problema) più preoccupati verso le esigenze dei propri popoli che di soddisfare
le personali manie di leadership.