La Messa, che dà sostanza alla
fede cristiana, è un rito costituito da una sequenza logica di momenti con
precisi significati. Inizia con l’Atto penitenziale. Il fedele riflettendo
in silenzio e confessando insieme ai confratelli le proprie mancanze, chiede al
Signore di poter partecipare in modo spiritualmente adeguato alla Liturgia della parola ( Letture e brano
del Vangelo ) e alla Liturgia
eucaristica. Subito dopo viene
recitato o cantato il Gloria, nel
quale vengono riconosciuti ed elencati tutti gli attributi che la mente umana è
in grado di individuare nel Creatore e Signore di ogni cosa. Inno di lode a Dio
che si apre con le parole pronunciate dagli Angeli per annunciare la nascita di
Gesù ai pastori e prosegue esaltando lo stretto rapporto tra il Padre ed il
Figlio Unigenito, donato agli uomini per la loro salvezza. Il vocabolo “gloria”
è un termine biblico che traduce la parola greca dòxa ( opinione, visione,
gloria ) che a sua volta traduce l’ebraico kavod
( etimologicamente, qualcosa di pesante e di importante che impone rispetto
e riconoscimento ). Riferito a Dio kavod (
gloria ) indica la dignità e la regalità divina che si manifestano con tutta lo
loro potenza e splendore. Il termine “gloria”, non equivale semplicemente al
dare lode, ma equivale in modo particolare alla manifestazione gloriosa e
visibile di Dio, di fronte alla quale l’uomo non può che lodare e ammirare.
Pertanto, gloria, vista dalla parte di Dio, è manifestazione ( epifania ) di se stesso; vista dalla parte
dell’uomo è riconoscimento e lode. La “gloria
di Dio” nel Nuovo Testamento ce la indica espressamente Paolo nella seconda
lettera ai Corinzi ( 4, 3-6 ) quando dice “risplende
sul volto di Cristo”.
In tutto il Vangelo di
Giovanni la gloria e la glorificazione di Cristo ne rappresentano il fulcro
centrale: “Il Verbo si fece carne …… e
noi vedemmo la sua gloria” ( 1, 14 ).
Nell’inno di lode la gloria dovuta al Padre si unisce intimamente a
quella dovuta al Figlio e il momento
della piena manifestazione è l’ora della Croce che Giovanni chiama proprio “glorificazione”, perché il mistero di
Dio, che è amore, appare in tutta la sua forza vittoriosa e magnificenza. Il Gloria è un inno alla Trinità dove le
tre Persone, nella loro misteriosa unità, hanno un ruolo ben definito nel piano
di salvezza. Mentre il Gloria rappresenta la più alta espressione di lode al
Signore, il Credo è la professione di fede, dove vengono elencati tutti i principi
cardine su cui poggia la dottrina cristiana, così come definita dai teologi
padri conciliari dei Concili di Nicea
( 325 ) e di Costantinopli I ( 381 ). E’ palese come concettualmente le
due invocazioni si pongano obiettivi diversi ( lodare Dio e professione di fede
), eppure lo stile e la stesura le accomuna decisamente. Come al solito, le
preghiere più emozionanti e, soprattutto, più ricche di contenuti, sono sintetiche,
chiare ed esplicite ( vedi anche il Padre Nostro ). Il Gloria e il Credo, pur essendo
nati nel Medioriente dove il cristianesimo si è diffuso più rapidamente e
prima, non hanno nulla a che vedere con l’ampollosità del linguaggio greco e
bizantino poi. E questo non deve sorprendere, poiché Gesù ha sempre usato uno
stile sobrio, diretto, così come impone
la lingua aramaica povera di vocaboli e
senza giri di parole che creano difficoltà di comprensione. Tornando al Gloria,
osserviamo come la frase iniziale sembra avere nel testo un carattere
natalizio, al contrario è di carattere pasquale; infatti, è una lode dove
Cristo è acclamato Signore, Agnello di Dio, Figlio del Padre, che toglie i
peccati del mondo attraverso la croce.
La preghiera che conosciamo ha
avuto una lunga gestazione con versioni diverse nella forma e nella lunghezza e
trova la sua origine nelle comunità cristiane orientali nel III secolo ed i
primi abbozzi sarebbero addirittura del I secolo. Il Codex
Alexandrinus ( IV sec. ) sostiene che era parte delle preghiere del mattino ( Orthos = mattutino ) e veniva cantato come i salmi
al ritmo del salterio.
Venendo alla Chiesa
occidentale, la tradizione vuole che il testo greco sia stato tradotto in
latino da sant’Ilario di Poitiers
intorno al 360 al ritorno dall’esilio in Frigia ( Turchia centrale )
dove era entrato a diretto contatto con i grandi teologi e padri della Chiesa
orientale.
Comunque il Liber pontificalis sostiene che papa Telosforo ( 128 – 139 )
ordinasse che nel giorno della nascita
del Signore si celebrassero messe di
notte e che si recitassero le parole degli Angeli ai pastori, e che papa Simmaco (
498 – 514 ) ordinasse di recitare ogni domenica, prima del sacrificio, l’Inno angelico,
ma solo da parte dei vescovi. Intorno all’anno mille il Micrologus ( 1048 ) ci dice
che “ in tutte le feste che hanno un ufficio completo, eccetto in Avvento e in
Settuagesima**, sia il prete che il vescovo devono recitare il Gloria in
excelsis.” Successivamente, come adesso, il Gloria diviene parte fissa della
Messa, eccetto nei tempi penitenziali .
Il Gloria, come il Te Deum, si
presenta come una poesia lirica con una struttura metrica e musicale ben
compatibile con il Salterio biblico ( strumento musicale e tipo di canto
ebraico per i salmi ) e con il Canto gregoriano ( es. il Gloria della Messa
degli Angeli ).
NOTA. ** Tempo di settuagesima. ( dal Messale di S. Giovanni XXIII ) Informalmente detto “ tempo di carnevale”, è
un tempo liturgico a carattere penitenziale in preparazione della Quaresima e
la Domenica di settuagesima è la terza domenica che precede la quaresima e cade
70 giorni prima della Pasqua.