LA STORIA DEL SANTUARIO DI NOSTRA
SIGNORA DEL MIRTETO
Intorno alla metà del XIII
secolo in Lunigiana cominciano a formarsi e a radicarsi nel tessuto sociale le Confraternite dei DISCIPLINATI. Da
costoro particolare attenzione è dedicata al culto della Madonna che manifestano
con la consuetudine di erigere oratori sui ruderi di antiche chiese o in
prossimità dei cimiteri posti fuori le mura del paese e utilizzati per dare
sepoltura ai poveri e ai forestieri. La “casaccia”,
come veniva chiamato dagli stessi Disciplinati l’oratorio, doveva essere una
costruzione di piccole dimensioni capace di contenere non più di una
cinquantina di persone e molto semplice per evidenziare i valori spirituali e
la povertà evangelica, in contrapposizione alle ricche costruzioni ecclesiali i
cui titolari erano solitamente poco inclini a porli in essere. Anche la Confraternita
di Ortonovo all’inizio del XV secolo decide la costruzione del suo oratorio a
sud del centro abitato, presso il monte Boscaccio, dove sorgeva un cimitero per
dare sepoltura alle salme i cui familiari non potevano permettersi la spesa del
trasporto fino alla chiesa cimiteriale di San Martino. La zona era detta Mortineto, ovvero luogo di sepoltura. Pur nella sua semplicità nell’oratorio non può
mancare l’immagine della Madonna per poter celebrare il culto in suo onore. La
scarsità dei fondi necessari ad ingaggiare un pittore di un certo livello,
costringe i Disciplinati a rivolgersi ad uno dei “frescanti”, che oggi chiameremmo artisti di strada o madonnari,
che ovviamente si accontentavano di pochi soldi. L’anonimo artista affresca su
una parete la scena drammatica della deposizione di Cristo nella quale la
Vergine, semisvenuta, è accasciata ai piedi della croce.
Pur nella sua essenzialità l’affresco, o forse proprio per questa ragione,
incontra una discreta notorietà, tanto che il piccolo oratorio diventa luogo
frequentato da fedeli e pellegrini provenienti anche da altre località.
Il 29 luglio 1537, mentre alcune donne del paese sono in preghiera davanti
all’affresco, il volto di Maria comincia a lacrimare sangue vivo che lascia
evidenti segni sulle gote dell’Addolorata. La notizia del miracolo arriva anche
al Concilio di Trento (1545 – 1561), portata dal padre conciliare Giovanni
Francesco Pogliasca, nominato vescovo di Luni – Sarzana (1537 – 1561) proprio
nell’anno del miracolo. Con la sua testimonianza la lacrimazione della Vergine
ottiene l’approvazione ecclesiastica di veridicità.
Nel 1540 i Priori della Confraternita decidono di utilizzare le copiose offerte
dei tanti pellegrini, che visitano l’affresco miracoloso, anche perché prossimo
alla trafficata via Francigena, nella costruzione di un grande santuario in
onore della “Beata Vergine Addolorata.”
Viene incaricato del progetto l’architetto lucchese Ippolito Marcello, il quale
realizza una chiesa a tre navate sorrette da due file di colonne con la
facciata e l’entrata non più rivolte verso il paese come per l’antico oratorio,
ma verso la vasta pianura di Luni.
A causa dell’esiguo spazio disponibile a far convivere la nuova chiesa con l’antica
“casaccia”, si è costretti a demolire quest’ultima salvando solo la parete
dell’affresco miracoloso che resta al margine della navata. La conclusione dei lavori è del 1566. La
Confraternita per il costante aumento dei pellegrini si rende conto di non
essere più in grado di gestire il nuovo santuario ed insieme continuare a
svolgere le opere caritatevoli e di assistenza ai poveri e ai malati. Così, nel
1584 durante la visita pastorale del vescovo Angelo Peruzzi, i Disciplinati
ottengono di poter affidare ai Padri domenicani la cura del nuovo santuario. Questi
appena subentrati danno inizio ad una fase di ampliamenti e di decorazioni che
migliorano l’aspetto estetico. Nel 1601 vengono realizzati la sacrestia e il
convento, mentre all’interno della chiesa, intorno al 1650, viene fatto il
nuovo coro parzialmente dietro la parete contenente l’immagine della
Deposizione. Il prezioso altare marmoreo sotto l’affresco, voluto dal priore
Celso Furia, è datato 1749.
Nel 1796 con la costruzione del Tempietto, decorato riccamente con marmi
policromi, che ingloba l’affresco e l’altare, su progetto del carrarese
Giovanni Matteo Scalabrini, di fatto il santuario dedicato a “Santa Maria del Mortineto” assume la forma
attuale. La posizione del tempietto, con
all’interno l’affresco sopra l’altare maggiore, rende la navata centrale molto
originale, e forse unica nella storia dell’edilizia sacra, perché il tempietto
è in posizione asimmetrica, essendo collocato tutto sulla sinistra e non al
centro. Come detto, la ragione è da ricercarsi nel poco spazio disponibile e
nell’impossibilità tecnica di spostare anche di pochi metri verso sinistra
l’intero manufatto della chiesa e, quindi, si è fatto di necessità virtù,
perché la parete del dipinto era, ed è, la vera motivazione della presenza del
santuario.
Con la conquista da parte delle truppe napoleoniche della Liguria e con la
nascita del Primo impero francese, ha inizio il periodo più triste e brutto
della storia del santuario. Difatti nel 1800, a causa della politica anticlericale
voluta da Napoleone, i padri domenicani vengono espulsi, lasciando la chiesa ai
pochi Disciplinati rimasti, i quali, pur impegnandosi al massimo, sono
costretti alla chiusura e all’abbandono.
La presenza del santuario per decenni viene ricordata dagli abitanti solo
quando qualche pericolo sembra incombere sui raccolti ( uva e olive in
particolare )e sulla salute della gente. (Le brutte abitudini, come si nota,
partono da lontano e perdurano nel tempo). Durante l’occupazione francese l’antica
denominazione “Mortineto” si trasforma in
“Mirteto”, probabilmente per un errore di trascrizione dalla lingua italiana al
francese, lingua adottata nei documenti ufficiali. Perderebbe così di valore l’ipotesi
della presenza di un bosco di mirto. Anche dopo la nascita del Regno d’Italia e
il ripristino degli ordini religiosi, l’abbandono continua fino al 1888, quando
un decreto del vescovo delle diocesi di Luni – Sarzana e di Brugnato, Giacinto
Rossi, riaffida la cura del santuario ai
padri domenicani, i quali si prodigano nel ripristino e nella riparazione di
tutto ciò che l’incuria ha danneggiato nel tempo e restituendo al santuario di Nostra Signora del Mirteto l’aspetto
imponente e mistico insieme che richiama l’attenzione anche dal lontano
fondovalle.
Dal 1933 al settembre 2003 il santuario e le sue opere sono custodite dai padri
orionini; infatti i padri domenicani si trasferiscono a La Spezia nel nuovo convento e parrocchia di
San Pietro Apostolo a Mazzetta.
Ai religiosi orionini succedono i sacerdoti
della “Fraternità Missionaria di Maria”,
comunità originaria del Guatemala, che presta il suo prezioso servizio
evangelico non solo nel santuario. Ma questa non è più storia, è cronaca di
tutti i giorni.
Per concludere una curiosità sulla chiesa. Nella facciata, oltre al bel rosone
rivestito, ovviamente, in marmo bianco della vicina Carrara, nella lunetta
sopra l’architrave della porta centrale è presente un altorilievo della Madonna
col Bambino e due devoti che, dallo stile dell’abbigliamento, sono appartenenti
alla Confraternita dei Disciplinati, a cui si deve tutto.
Per qualche tempo l’opera è stata attribuita al giovane Michelangelo, ma la
realtà è un’altra. Poiché Michelangelo frequentava, come tanti altri artisti,
le cave di marmo bianco di Fantiscritti, l’anonimo scultore, dalle buone
capacità tecniche, ha saputo ispirarsi e imitare lo stile michelangiolesco
nello scolpire il suo altorilievo.