Il
Messale ha introdotto dal 12 aprile la nuova formulazione: “E non abbandonarci alla tentazione”, mentre la CEI
ha stabilito che l’uso liturgico della preghiera modificata sarà introdotto a
partire dalla 1° domenica di Avvento, il 29 novembre 2020. Per chiarirmi le
idee su questa novità ho confrontato il
Padre Nostro in aramaico, la lingua usata da Gesù per insegnarlo agli Apostoli
e ai discepoli, poi in lingua ebraica, greca e latina ed anche i Vangeli di
Luca e Matteo, che riportano due testi, uno più lungo ed uno più breve, ma
identici nel indicare questa frase. In tutti la traduzione letterale è “non
metterci in tentazione” o “alla prova.”
Per la precisione, in greco è “non portarci dentro la tentazione” (
eisenenkes eis peirasmon ) ed eis
(dentro) è ripetuto due volte. San Gerolamo, autore della Vulgata ( la Bibbia
in latino, testo ufficiale della Chiesa ), che oltre al greco conosceva l’aramaico, traduce i testi greco e aramaico
così: Et ne nos inducas in tentationem.
Perché si è voluto cambiare questa impattante espressione di Gesù? Non sarebbe stata cosa migliore cercare
di capire perché Gesù l’ha voluta così? Lo stile essenziale di tutta la
preghiera, che Tertulliano definisce “Breviarum totius evangelii” ( la sintesi
di tutto il Vangelo), che i Padri della Chiesa, i 35 dottori della Chiesa e i
teologi orientali, abituati ai sofismi più spericolati, che insieme hanno
strutturato e definita tutta la teologia cristiana, non hanno trovato niente da
eccepire e che Enzo Biagi specifica essere " la perfezione stilistica e
teologica", garantisce chiarezza e precisione nell’elencare ciò che il Padre ci
suggerisce di fare e di chiedere. “Se passi in rassegna tutte le parole delle
preghiere contenute nella Sacra Scrittura, per quanto penso io, non ne troverai
una che non sia contenuta e compendiata in questa preghiera insegnataci dal
Signore.” ( Sant’Agostino, lettera a Proba ) Pensiamo di fare meglio?O di
averlo già fatto? Ecco, per me, la prima tentazione andata in porto, che
spiega quelle che seguono. Ciò che si
vuole modificare per renderlo più comprensibile, perché sembrerebbe che Gesù
non sia stato in grado di farlo, propone la tipica “provocazione” di Gesù per
richiamarci a riflettere sulle brutte abitudini della natura umana, cioè le
tentazioni. Lo stesso Pietro nella sua
prima lettera conferma l’espressione in
questione quando scrive: " In vista della salvezza che sta per essere rivelata
nell’ultimo tempo…..siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere afflitti
da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, torni a vostra lode,
gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà”. Se il buon Dio, che ha
riaperto la via del cielo offrendoci Gesù, non può e non vuole indurre in
tentazione le sue creature, allora, è la nostra arroganza a farlo. Ne consegue, credo, che il “non c’indurre in tentazione “ rappresenti e
• sia l’autocertificazione di sentirsi chiamato, quindi
eletto, anziché solamente fortunato per il dono ricevuto, pertanto senza merito
alcuno;
• sia l’umana presunzione di conoscere e di saper dire le cose di Dio e, invece, troppo spesso, sono
solo le nostre povere cose, magari, o talvolta, dette bene;
• sia la personale giustificazione ed autoassoluzione del
nostro pensare e fare, perché succubi del nostro egoismo, insuperabile
tentatore, il quale spinge per farci sentire i migliori;
• sia, al contrario, il
rifiuto di dare una prospettiva
trascendente alla propria esistenza e quindi preoccuparsi
soltanto di ottenere e realizzare tutto ciò che ci preme nel breve tempo
della vita materiale senza porsi limiti nella ricerca dei mezzi necessari,
molto spesso lesivi del prossimo e violenti;
• sia il rifiuto di accettare la proposta che il progetto di
salvezza, presente nel Padre Nostro, indica e suggerisce di accogliere
liberamente come dono prezioso da fare lievitare;
• sia la certezza di essere certi del proprio pensiero senza
una seria analisi del perché della creazione e delle sue finalità;
• sia la natura
umana, in entrambi i casi ( cioè, la
presunzione di essere cristiano perfetto e non in cammino o il rifiuto), ad
essere responsabile delle proprie tentazioni percepite come il percorso più
rapido e certo per soddisfare se stessi. L’aldilà è un’utopia fumosa e
sconosciuta: carpe diem ( prendi e goditi
il giorno ) e andiamo sul sicuro.
Il problema vero non è
tanto un’espressione un pò criptica, ma
ciò che, in modo esplicito e fuori da metafora, troviamo nelle pesanti parole
del card. Robert Sarah : “ La vita interiore anemica che fa la Chiesa, in se
stessa senza peccato, piena di peccatori”. Questa è la realtà che non facilita il cambio di rotta. Temo che non
sarà certo la modifica in questione a risolvere: necessita curare con
determinazione l’anemia, cioè la causa che determina le difficoltà interpretative.
Speriamo e preghiamo perché almeno aiuti.
P.S. 1) Ecco cosa sono le “provocazioni di Gesù”.
Se Gesù a quelli che erano pronti a lapidare l’adultera avesse detto “ Perché
lo fate?” La risposta sarebbe stata “ La legge lo prevede” e sarebbero andati
avanti. Gesù, invece, li provoca dicendo
“ Scagli la prima pietra chi di voi è senza peccato,”e li spiazza mettendoli davanti alle loro
responsabilità. Gesù a Pietro, che gli
giurava fedeltà fino alla morte, trova la forza con un velo d’ironia, di
predire: “ Prima che il gallo canti mi
rinnegherai tre volte.” E quando succede l’apostolo capisce e piange
amaramente. Sempre a Pietro che gli
faceva notare come il suo parlare duro allontanasse le persone, Gesù lo provoca dicendogli: “Se
vuoi, puoi andare anche tu”, costringendolo a riflettere e ammettere: “Dove
vado senza di te; tu solo hai parole di vita eterna”. Il “Non c’indurre in
tentazione” va inteso in questo senso, come un paradosso che induce a
riflettere. Sfortunatamente, bisogna riconoscere l’endemica inadeguatezza della
condizione spirituale di troppi cristiani, cioè la fede intesa come abitudine
che si trascina stancamente e passivamente da una generazione all’altra
diluendosi. Da qui l’idea a semplificare, ma non basta. E’ più indispensabile
accrescere una preparazione ed una conoscenza oggi particolarmente
superficiali, vaghe e imprecise della fede.
2)
La Chiesa nel suo magistero ha il compito di rendere comprensibile a
tutti la Parola ed in questa ottica va interpretata la modifica al Padre
Nostro. Sono ovvie le difficoltà di chi per una vita ha pregato con la frase in
questione, etimologicamente più vicina all’originale, ma un po’ meno chiara,
direi, ermetica e che richiede capacità d’interpretazione. Prendiamo atto di
quanto ci suggerisce la Chiesa nel suo sforzo di rendere più accessibile e appetibile il
Progetto di salvezza che Gesù vuole arrivi a tutti.