Nel prossimo mese di ottobre
si terrà a Roma un Sinodo dei vescovi dedicato alla regione dell’Amazzonia. Il
tema specifico sarà infatti “Amazzonia:
nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. Questa speciale
convocazione, annunciata da Papa Francesco nell’ottobre 2017, è, per certi
aspetti, l’ennesima conferma della “cattolicità” della Chiesa di Roma, e cioè
del fatto che la Chiesa di Cristo è universale (questo significa in greco la
parola “καθολικός”). Se, per ragioni
storiche e potremmo dire geo-politiche, per secoli il baricentro della
cattolicità è stato rappresentato dall’Italia e dall’Europa, oggi appare
chiarissimo che non è più così: in Europa vive soltanto poco più del 23 per
cento del totale dei cattolici, mentre è proprio il Brasile lo stato con il
maggior numero di cattolici, oltre cento milioni.
Si comprende dunque come l’azione pastorale del primo Papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, quale egli
stesso si è definito nel primo discorso dopo l’elezione, riservi un’attenzione
del tutto particolare – per di più in tempi di globalizzazione – a quelle
regioni della terra nelle quali la presenza dei cattolici è oggi molto più
rilevante che nel passato. In questo, del resto, Francesco non fa che
riprendere le scelte e i comportamenti dei suoi predecessori. Se Paolo VI fu il
primo Papa a recarsi in America Latina (in Colombia, nel 1968), molto numerosi
furono i viaggi apostolici in quel continente svolti da Benedetto XVI e
soprattutto da Giovanni Paolo II.
In questo quadro, come ha scritto “Civiltà cattolica”, il Sinodo
sull’Amazzonia è un grande progetto ecclesiale, che cerca di superare i confini
e di ridefinire le linee pastorali, adattandole ai “segni dei tempi”. La
Panamazzonia è un territorio composto da regioni che fanno parte di Bolivia,
Brasile, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela, Suriname, Guyana e Guyana
francese: essa è una fonte importante di ossigeno per tutta la terra, perché vi
si trova più di un terzo delle riserve forestali primarie del mondo. Esistono
quindi diversi aspetti di quella che Giovanni Paolo II ha chiamato con la bella
espressione di “nuova evangelizzazione” che riguardano i temi del Sinodo. Due
su tutti: il rapporto tra la fede cristiana e le culture non cristiane (il tema
cioè della “inculturazione della fede”) ed il rapporto di carità tra l’annuncio
cristiano e l’impegno per la salvaguardia del Creato (“La Terra è di Dio – come disse il presidente dei vescovi italiani
Gualtiero Bassetti lo scorso anno in un incontro a Bruxelles -: e se la terra è di Dio che è un padre, è chiaro
che questa terra Dio la dà indistintamente a tutti i suoi figli. Non è
proprietà di qualcuno. E noi dobbiamo favorire il progetto di Dio”).
La preparazione del Sinodo, del quale sarà relatore generale il cardinale
francescano brasiliano Claudio Hummes, è
in corso, e nei giorni scorsi è stato presentato il cosiddetto “Instrumentum Laboris” (“Strumento di lavoro”) ovvero il documento di base su cui i vescovi
discuteranno in ottobre. Non è il documento finale, che scaturirà
dall’assemblea, ma la base di partenza, frutto di lunghe consultazioni con
tutti i vescovi della regione amazzonica e non solo con loro. Come tale, è
ovvio che potrà e dovrà essere modificato, corretto, migliorato, ampliato.
Ebbene, sono passati pochi giorni, e già abbiamo assistito ad un vero e proprio
scatenarsi di attacchi incredibili e talora persino furibondi contro quanto vi
è scritto e, indirettamente, contro Papa Francesco. Con appelli diretti ai
vescovi da parte di alcuni siti e di alcuni giornalisti a rigettarlo in blocco.
Un sito italiano “cattolico” ha persino accusato il documento di “gnosticismo”.
Ovvero di eresia, essendo lo gnosticismo, in termini di storia del
cristianesimo, l’eresia di chi addirittura nega la risurrezione di Cristo,
riducendo la fede cristiana ad una forma di spiritualismo neoplatonico ed
(oggi) orientaleggiante. Peccato che proprio Papa Francesco, nella sua esortazione
apostolica del 2013 “Evangelii Gaudium”
abbia indicato proprio nello gnosticismo dei nostri tempi, insieme al
cosiddetto neo-pelagianesimo, uno dei pericoli maggiori per la fede cristiana.
Ma da che cosa deriverebbe lo “gnosticismo” del Sinodo amazzonico ? In
sostanza, scrivono alcuni autori, dalla grande attenzione posta, su precisa
indicazione dei vescovi latino-americani, nelle cultura originarie degli
“indios” dell’Amazzonia, fonti di una religiosità popolare nella quale ben si
può innestare l’annuncio cristiano. E’ eresia questo? In primo luogo, se così
fosse, sarebbe eretica gran parte della storia della Chiesa che, sin dai primi
secoli, non ha mai rigettato in blocco le religioni preesistenti, paganesimo
compreso, bensì le ha sempre viste (la “Commedia”
di Dante ben ce lo ha insegnato in termini letterari e poetici) come una sorta
di preparazione provvidenziale all’avvento del Vangelo.
Nel caso specifico, poi, l’”Instrumentum
laboris” non si discosta dai numerosi interventi pontifici, da Paolo VI a
Benedetto XVI, relativi proprio al rapporto tra cristianesimo e culture amerinde.
Giovanni Paolo II, ad esempio, canonizzando nel 2002 a Città del Messico il
primo indio sudamericano, Juan Diego Cuauhtlatoatzin, ricordò il salmo 32 (“Il Signore guarda dal cielo, Egli vede tutti
gli uomini”) per affermare che il nuovo santo “nell'accogliere il messaggio cristiano senza rinunciare alla sua
identità indigena, scoprì la profonda verità della nuova umanità, nella
quale tutti sono chiamati ad essere figli di Dio. In tal modo facilitò
l'incontro fecondo di due mondi e si trasformò in protagonista della nuova
identità messicana”. A sua volta, Benedetto XVI, intervenendo nel 2007
all’assemblea dei vescovi tenutasi ad Aparecida, in Brasile, sviluppò proprio
il tema del rapporto tra fede cristiana e culture antiche, affermando tra
l’altro: “Cristo, essendo realmente
il Logos incarnato,
"l'amore fino alla fine", non è estraneo ad alcuna cultura né ad
alcuna persona … La saggezza dei popoli originari li portò fortunatamente a
formare una sintesi tra le loro culture e la fede cristiana. Di lì è nata la
ricca e profonda religiosità popolare, nella quale appare l'anima dei popoli
latinoamericani”. Del resto, tutto questo ha la sua base nell’enciclica “Redemptoris Missio”, il documento
fondamentale di Giovanni Paolo II sul tema della “nuova evangelizzazione”.
Altro che gnosticismo !
Altri “contestatori” seriali del Papa e della Chiesa puntano il dito sulla
proposta di ordinare sacerdoti “viri
probati”, ovvero uomini sposati destinati ad operare in comunità isolate
dal mondo ma desiderose di restare nella loro terra. In Amazzonia o altrove,
come nelle isole del Pacifico. Personalmente, ho conosciuto alcuni liguri che
abitano nell’isola sud atlantica di Tristan da Cunha, dove sono presenti i
cognomi Repetto e Lavarello, originari di Camogli. In quella parrocchia, la più
meridionale del mondo, arriva un sacerdote una volta l’anno, dalla napoleonica
Sant’Elena. Poi i catechisti locali svolgono le funzioni di ministri
dell’Eucaristia e di accoliti, ma non possono confessare, neppure in punto di
morte, né consacrare le ostie con cui comunicarsi, che devono quindi durare un
anno … E’ così sconvolgente immaginare che uno o più di loro possano essere
ordinati sacerdoti ? Del resto, persino in Italia ci sono due diocesi, Lungro e
Piana degli Albanesi, nelle quali molti sacerdoti, secondo l’uso delle Chiese
orientali cattoliche, sono regolarmente sposati.
E’ evidente che sono pretesti. Il Sinodo discuterà e voterà i documenti finali.
Ma è a mio giudizio grave e scorretto utilizzare argomenti come quelli che ho
ricordato per attacchi preventivi ed ingiustificati al Papa e alla Chiesa. Qualcuno,
in realtà, avanza l’ipotesi che dietro queste preconcette opposizioni ci sia
altro, e precisamente il fermo atteggiamento dei vescovi amazzonici e del Papa
(si veda l’enciclica “Laudato Si’”) contro
lo sfruttamento economico e, di fatto, la progressiva distruzione del maggior
“polmone verde” del mondo. In nome del profitto, e con tanti saluti ai desideri
e ai diritti delle popolazioni originarie, ma anche del diritto di tutti noi a
salvaguardare il Creato. A pensar male, diceva qualcuno, si fa peccato, però …