CONCILIO VATICANO II (21° ecumenico)
(4° parte)
Alla riapertura dei lavori, il
29 settembre 1963, Paolo VI nel suo discorso, facendo propria la volontà del
predecessore Giovanni XXIII che voleva un Concilio pastorale e di
aggiornamento, indica in quattro punti gli obiettivi su cui invita i padri
conciliari a lavorare e a proporre risposte concrete:
1
Definire più precisamente il concetto di
Chiesa;
2
Il rinnovamento della Chiesa cattolica;
3
La ricomposizione dell’unità fra tutti i
cristiani;
4
Il dialogo della Chiesa con il mondo
contemporaneo.
I quattro punti hanno un evidente filo logico: avere chiaro il concetto di
Chiesa per ricercare strumenti nuovi adeguati ai tempi al fine di poter
instaurare un dialogo proficuo con le molteplici realtà del mondo
contemporaneo.
Dopo 4 sessioni di lavoro, durate due anni e mezzo, l’8 dicembre 1965 Paolo VI
chiude il Concilio con un discorso di ringraziamento ai padri conciliari per il
lavoro svolto, affermando che il Concilio ha orientato “la mente della Chiesa verso la direzione antropocentrica ( l’uomo
al centro ) della cultura moderna”, tenendo
stretto il legame di questo orientamento con “l’interesse religioso più autentico,” perché è insostituibile e senza alternative
il “collegamento dei valori umani e temporali con quelli
propriamente spirituali, religiosi ed eterni: la Chiesa sull’uomo e sulla terra
si piega, ma al regno di Dio si solleva.”
La cerimonia di chiusura si svolge sul sagrato della basilica di san Pietro. E’
una fredda mattina di sole splendente durante la quale Paolo VI invia otto
messaggi: ai padri conciliari, al mondo, ai governanti, agli uomini di pensiero
e di scienza ( simbolicamente consegnato al teologo Jaques Maritain, amico e
guida del Papa ), agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri ai malati
ai sofferenti, ai giovani, con l’invito a meditare sui contenuti del Concilio
appena concluso e sui riflessi concreti e positivi che ne possono scaturire per
il bene della società umana.
L’andamento dei lavori ha non pochi momenti di difficoltà e tensione per
diverse e comprensibili ragioni: il numero e la complessità dei temi all’ordine
del giorno che interessano la vita della Chiesa e la sua organizzazione, i
fratelli separati, le religioni non cristiane, l’umanità in genere, alcuni temi
affrontati per la prima volta in un consesso
così ampio numericamente, la presenza di chi frena e di chi spinge, la
discussione che pone a confronto persone di culture, esperienze, formazione e
sensibilità differenti; difatti la diversità non è più rappresentata dalle
Chiese di rito orientale, ma anche dalle Chiese latino-americane e africane che
chiedono visibilità e maggiore considerazione per la loro “diversità”.
Nella sua vera ecumenicità il dibattito non poteva che essere vivace nei toni,
ma mai viene meno la volontà di ricercare la verità ed esprimerla nella forma
più idonea e utile al magistero ecclesiale.
Come in un coro polifonico le diverse voci si fondono producendo vera armonia, così le diversità culturali
arricchiscono e forniscono una sintesi proficua, in parte ancora da scoprire e
attuare dopo oltre mezzo secolo.
Non mi stanco di sottolineare che l’obiettivo del Vaticano II è la pastoralità
intesa come studio ed approfondimento della dottrina, senza toccare temi
teologici e dogmatici, per poterla proporre ed esporre in modo da essere meglio
conosciuta, accettata ed amata.
Con la voce della carità pastorale il Concilio propone il suo insegnamento su
molte questioni che ai nostri giorni impegnano la coscienza e l’attività
dell’uomo. In altri termini, la voce della carità pastorale non si rivolge solo
all’intelligenza speculativa, ma intende parlare all’uomo di oggi così com’è
con un linguaggio a lui più comprensibile.
La grande mole di lavoro è raccolta in 4 Costituzioni, 9 Decreti e 3
Dichiarazioni, dei quali parleremo in seguito.
(4 continua )