N° 6 - Giugno 2022
CONCILIO VATICANO II (1962-1965) (21° ecumenico )
di Antonio Ratti


                                                                 ( 3° parte )

La mattina dell’11 ottobre 1962 quasi 2500 padri conciliari, sotto il tiepido sole autunnale, sfilano lentamente attraverso Piazza San Pietro per entrare nella basilica vaticana trasformata in una immensa aula. Il più anziano è il centenario vescovo italiano Alfonso Carinci e il più giovane è il peruviano Alcides Mendoza Castro, di soli 34 anni. Dopo le preghiere di rito, papa Giovanni XXIII, assorto, commosso e, a tratti, con le lacrime agli occhi, pronuncia il mirabile discorso Gaudet Mater Ecclesia (Gioisce la Madre Chiesa) nel quale indica lo scopo fondamentale del Concilio: “Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.”  Infatti il ruolo del magistero della Chiesa è quello di presentare la verità che scaturisce dal Vangelo con diligenza e di acquisire le capacità di tradurla nella pratica della vita quotidiana, quindi l’obiettivo è di custodire ed insegnare il sacro deposito della dottrina cristiana in modo comprensibile alla sensibilità e alla coscienza dell’uomo moderno. Il rinnovamento nella vita e nella missione della Chiesa deve compiersi in totale fedeltà ai sacri principi della dottrina immutabile, che deve essere approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Il Papa distingue tra la sostanza (la dottrina immutabile) e la forma (la presentazione). E’ su quest’ultima che il Concilio deve confrontarsi e trovare la giusta sintesi. La pastoralità del Vaticano II deve approfondire la dottrina per esprimerla e proporla in modo da poter essere meglio conosciuta, accettata, condivisa ed amata, senza toccare aspetti dottrinari e dogmatici, ma usando solo la voce della carità pastorale.
Gli errori si combattono con la “medicina della misericordia,” non con le contrapposizioni e le chiusure, anche perché, secondo papa Giovanni, le dottrine fallaci hanno le gambe corte e rapidamente danno frutti così funesti che l’uomo si mostra propenso a condannarli ed abbandonarli. Per questo necessita essere pronti a mostrare con un insegnamento positivo e propositivo la “sacra verità”, affinché gli uomini possano “ben comprendere quello che veramente sono, la loro eccelsa dignità e il loro fine.”
Tra le finalità pastorali del Concilio rientra anche il dialogo con i fratelli separati, perché si possa raggiungere il traguardo dell’unità così come Gesù ha invocato con insistenza. Durante il suo articolato intervento non si lascia sfuggire l’occasione di rivolgersi direttamente ai profeti di sventura, agli esponenti della Curia e del clero avversi all’idea di celebrare un concilio che avrebbe sicuramente cambiato il loro tran tran burocratico e messo in discussione le loro posizioni di potere: “Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.”
 Forse mi sono dilungato troppo sul discorso di apertura di papa Giovanni, ma ho voluto mettere in evidenza con quanta reiterata insistenza spiega il significato pastorale e di ricerca di un linguaggio in linea con i tempi che il Concilio, voluto con tutte le sue forze e determinazione, deve porsi come obiettivo e traguardo. Papa Giovanni non vuole dubbi, incertezze e freni nel ricercare approcci nuovi per rendere il magistero della Chiesa più funzionale, senza sfiorare la sostanza della fede di per sé immutabile.
Da sempre, appena un Papa cerca di dialogare con la società civile per capirne le esigenze e, ovviamente, ricercare metodiche nuove e più incisive per il Magistero ecclesiale, le opposizioni, le contrapposizioni e il boicottaggio arrivano puntuali e voraci: papa Benedetto XVI, in piena consapevolezza, sentendosi venir meno le forze, si è ritirato, lasciando il posto a papa Francesco, al quale “le gatte da pelare” e le amarezze più dure arrivano proprio da coloro che dovrebbero aiutarlo. Torniamo al Concilio.
La sera stessa dell’11 ottobre, Piazza San Pietro è gremita di fedeli che chiamano il Papa e gli chiedono di affacciarsi. Rompendo protocollo e indugi papa Giovanni si presenta al balcone improvvisando il celebre “Discorso della luna” che termina con queste dolcissime parole: “Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza.”
Qualche mese dopo quelle parole paterne e quel tono di voce sereno e melanconico acquistano un significato ancora più commovente, infatti proprio nei giorni che precedono l’apertura dei lavori, il Papa viene a conoscenza di avere un tumore allo stomaco che non gli avrebbe lasciato il tempo di condurre a conclusione il suo Concilio. Quelle semplici parole vanno ben oltre il loro significato letterale, perché rappresentano lo stato d’animo di chi è consapevole della gravità del suo stato di salute e mettono in chiaro la sua personalità determinata e il suo carattere mite. Non per niente è detto “il papa buono”.

Mentre  sono in corso i lavori di preparazione del secondo periodo di assemblee conciliari, il 3 giugno 1963, papa Giovanni muore. Il compianto è universale. Il 21 giugno gli succede col nome di Paolo VI, Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano dopo una lunga militanza nella Curia romana.

Gli avversari del Concilio sperano che sia l’occasione buona per chiudere i lavori che stanno già delineando un profondo cambiamento di molti aspetti della Chiesa, mentre i favorevoli temono che ciò possa accadere provocando uno stop al rinnovamento tanto atteso. Paolo VI toglie i dubbi ad entrambe le fazioni, perché il 27 giugno - sei giorni dopo la sua elezione – comunica la decisione di riprendere i lavori del Concilio il 29 settembre dello stesso anno.  (3 continua)



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