( 3° parte )
La mattina dell’11 ottobre
1962 quasi 2500 padri conciliari, sotto il tiepido sole autunnale, sfilano
lentamente attraverso Piazza San Pietro per entrare nella basilica vaticana
trasformata in una immensa aula. Il più anziano è il centenario vescovo italiano
Alfonso Carinci e il più giovane è il peruviano Alcides Mendoza Castro, di soli
34 anni. Dopo le preghiere di rito, papa Giovanni XXIII, assorto, commosso e, a
tratti, con le lacrime agli occhi, pronuncia il mirabile discorso Gaudet Mater Ecclesia (Gioisce la Madre Chiesa)
nel quale indica lo scopo fondamentale del Concilio: “Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve
prestare assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto
dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che
sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale
esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.”
Infatti il ruolo del magistero della
Chiesa è quello di presentare la verità che scaturisce dal Vangelo con
diligenza e di acquisire le capacità di tradurla nella pratica della vita
quotidiana, quindi l’obiettivo è di custodire ed insegnare il sacro deposito
della dottrina cristiana in modo comprensibile alla sensibilità e alla
coscienza dell’uomo moderno. Il rinnovamento nella vita e nella missione della
Chiesa deve compiersi in totale fedeltà ai sacri principi della dottrina
immutabile, che deve essere approfondita e presentata in modo che risponda alle
esigenze del nostro tempo. Il Papa distingue tra la sostanza (la dottrina immutabile) e la forma (la presentazione). E’ su quest’ultima che il Concilio deve
confrontarsi e trovare la giusta sintesi. La pastoralità del Vaticano II deve
approfondire la dottrina per esprimerla e proporla in modo da poter essere
meglio conosciuta, accettata, condivisa ed amata, senza toccare aspetti
dottrinari e dogmatici, ma usando solo la voce della carità pastorale.
Gli errori si combattono con la “medicina
della misericordia,” non con le contrapposizioni e le chiusure, anche
perché, secondo papa Giovanni, le dottrine fallaci hanno le gambe corte e
rapidamente danno frutti così funesti che l’uomo si mostra propenso a
condannarli ed abbandonarli. Per questo necessita essere pronti a mostrare con
un insegnamento positivo e propositivo la “sacra
verità”, affinché gli uomini possano
“ben comprendere quello che veramente sono, la loro eccelsa dignità e il loro
fine.”
Tra le finalità pastorali del Concilio rientra anche il dialogo con i fratelli
separati, perché si possa raggiungere il traguardo dell’unità così come Gesù ha
invocato con insistenza. Durante il suo articolato intervento non si lascia
sfuggire l’occasione di rivolgersi direttamente ai profeti di sventura, agli esponenti
della Curia e del clero avversi all’idea di celebrare un concilio che avrebbe
sicuramente cambiato il loro tran tran burocratico e messo in discussione le
loro posizioni di potere: “Nelle attuali
condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine
e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli
passati, risultano del tutto peggiori e arrivano fino al punto di comportarsi
come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come
se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla
dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.”
Forse
mi sono dilungato troppo sul discorso di apertura di papa Giovanni, ma ho
voluto mettere in evidenza con quanta reiterata insistenza spiega il
significato pastorale e di ricerca di un linguaggio in linea con i tempi che il
Concilio, voluto con tutte le sue forze e determinazione, deve porsi come
obiettivo e traguardo. Papa Giovanni non vuole dubbi, incertezze e freni nel
ricercare approcci nuovi per rendere il magistero della Chiesa più funzionale,
senza sfiorare la sostanza della fede di per sé immutabile.
Da sempre, appena un Papa cerca di dialogare con la società civile per capirne
le esigenze e, ovviamente, ricercare metodiche nuove e più incisive per il
Magistero ecclesiale, le opposizioni, le contrapposizioni e il boicottaggio
arrivano puntuali e voraci: papa Benedetto XVI, in piena consapevolezza,
sentendosi venir meno le forze, si è ritirato, lasciando il posto a papa
Francesco, al quale “le gatte da pelare” e le amarezze più dure arrivano
proprio da coloro che dovrebbero aiutarlo. Torniamo al Concilio.
La sera stessa dell’11 ottobre, Piazza San Pietro è gremita di fedeli che chiamano
il Papa e gli chiedono di affacciarsi. Rompendo protocollo e indugi papa
Giovanni si presenta al balcone improvvisando il celebre “Discorso della luna” che termina con queste dolcissime parole: “Tornando a casa, troverete i bambini. Date
una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete
qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi,
specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza.”
Qualche mese dopo quelle parole paterne e quel tono di voce sereno e melanconico
acquistano un significato ancora più commovente, infatti proprio nei giorni che
precedono l’apertura dei lavori, il Papa viene a conoscenza di avere un tumore
allo stomaco che non gli avrebbe lasciato il tempo di condurre a conclusione il
suo Concilio. Quelle semplici parole vanno ben oltre il loro significato
letterale, perché rappresentano lo stato d’animo di chi è consapevole della
gravità del suo stato di salute e mettono in chiaro la sua personalità determinata e il suo
carattere mite. Non per niente è detto “il
papa buono”.
Mentre sono in corso i lavori di preparazione del
secondo periodo di assemblee conciliari, il 3 giugno 1963, papa Giovanni muore.
Il compianto è universale. Il 21 giugno gli succede col nome di Paolo VI,
Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano dopo una lunga militanza nella
Curia romana.
Gli avversari del Concilio sperano che sia l’occasione buona per chiudere i
lavori che stanno già delineando un profondo cambiamento di molti aspetti della
Chiesa, mentre i favorevoli temono che ciò possa accadere provocando uno stop
al rinnovamento tanto atteso. Paolo VI toglie i dubbi ad entrambe le fazioni,
perché il 27 giugno - sei giorni dopo la sua elezione – comunica la decisione
di riprendere i lavori del Concilio il 29 settembre dello stesso anno. (3 continua)