N° 6 - Giugno 2022
CONCILIO DI TRENTO ( 1545 – 1563 ) ( XIX ecumenico )
di Antonio Ratti

Il Concilio di Trento, dando per scontata l’impossibilità di ricomporre lo scisma e ripristinare l’unità della Chiesa, è convocato sostanzialmente per contenere e replicare alle tesi luterane, ormai diffuse in tutto il Nord Europa. Pertanto obiettivo primario è quello di fornire un’adeguata risposta dottrinale alle questioni sollevate da Lutero e dagli altri riformatori. Ne consegue che l’opera dottrinale scaturita dal Concilio non è una esposizione organica della fede cattolica, perché ciò che non è contestato dai riformatori tedeschi non viene affrontato: esempio, i temi riguardanti la Trinità, il mistero dell’incarnazione e della resurrezione di Gesù. Nei decreti dogmatici il Concilio ribadisce la dottrina cattolica e condanna con i canoni gli errori del tempo. Difatti viene fornita una dottrina organica e completa con una teologia precisa, logica e comprensibile sui sacramenti, che Lutero demolisce tranne il Battesimo. Riguardo al problema della giustificazione ( salvezza ), che tanto angustia e tormenta Lutero, il Concilio  è chiaro sulla necessità imprescindibile della grazia divina unita, però, alla cooperazione dell’uomo, fatta di fede e opere. L’uomo, sebbene corrotto dal peccato originale, non perde completamente la sua libertà e capacità di scelta ( libero arbitrio ), ma con l’aiuto sostanziale della grazia, ha la forza di risorgere e riconciliarsi con il Padre. Dal punto di vista disciplinare il Concilio rappresenta un punto fermo della vita religiosa della Chiesa. Nella terza fase ( 1562 – 63 ) l’espressione “cura animarum”  è presente in tutti i decreti, quale monito costante della missione della Chiesa che è la cura delle anime. Il ruolo dei vescovi e del clero ha  senso e valore solo attraverso la loro funzione pastorale a servizio dei fedeli: la loro ragione d’essere è insegnare il Vangelo ed amministrare i sacramenti al fine di accrescere la fede nella salvezza eterna.
Sul piano istituzionale  si rafforza il centralismo, difatti il ruolo del papa ne esce rafforzato.

Sul piano politico restano insolute le questioni dei privilegi, delle interferenze e dei diritti attribuiti a sovrani e principi cattolici  di intervenire nelle faccende interne alla Chiesa.

A conferma dell’importanza e dei limiti del Concilio di Trento riporto alcuni pareri di autorevoli teologi e storici cattolici. Lo storico Hubert Jedin così sintetizza il succo del Concilio: “Esso ha rigorosamente delimitato il patrimonio della fede cattolica nei confronti dei protestanti.[…] Esso ha contrapposto alla riforma protestante una riforma cattolica […] che eliminò certamente gli inconvenienti più gravi sul piano diocesano e parrocchiale e negli ordini religiosi, rafforzò di fatto il potere dei vescovi e portò in primo piano le esigenze della pastorale.” ( problema quest’ultimo tanto a cuore a papa Francesco che afferma “non siate funzionari del sacro”)

G. Winkler nella sua “Storia della Chiesa cattolica” così valuta il Concilio: “D’altro lato dobbiamo considerare il concilio come la risposta alla multiforme sfida della riforma protestante. Esso precisò, chiarì, ma cementò il contrasto confessionale  e fornì le formule di fede alla controriforma.”
G. Martina ne “La Chiesa  nell’età della riforma” così si esprime: “ Il concilio di Trento non è riuscito a ristabilire l’unità….Questo apparente fallimento non diminuisce l’importanza sostanziale del Tridentino. Essa deriva dall’influsso enorme che ha avuto nella Chiesa, nella chiarificazione dottrinale e nella restaurazione disciplinare. Possiamo raccogliere in tre motivi essenziali il significato storico del Tridentino: mise in evidenza la forte capacità di ripresa della Chiesa; rafforzò quell’unità dogmatica e disciplinare che spicca se paragonata all’opposta eppure contemporanea evoluzione delle correnti protestanti; infine esso aprì una nuova epoca nella storia della Chiesa, ed in certo modo ne determinò i tratti essenziali dal Cinquecento ai nostri giorni.”

Un giudizio molto critico ce lo offre Paolo Sarpi, teologo secentesco appartenente all’Ordine dei Servi di Maria, che nella sua “Istoria del Concilio Tridentino” così esprime il suo disappunto: “Questo concilio, desiderato e procurato dagli uomini pii per riunire la Chiesa che cominciava a dividersi, ha così stabilito lo schisma et ostinate le parti, che ha fatto le discordie irreconciliabili; e maneggiando da li prencipi per la riforma dell’ordine ecclesiastico, ha causato la maggior deformazione che sia mai stata da che vive il nome cristiano, e dalli vescovi sperato per racquistar l’autorità episcopale, passata in gran parte nel sol pontefice romano, l’ha fatto loro perdere tutta interamente, riducendoli a maggior servitù: nel contrario temuto e sfuggito dalla corte di Roma come efficace mezzo per moderare l’esorbitante potenza, da piccioli principii pervenuta con vari progressi ad un eccesso illimitato..”

In conclusione appaiono evidenti alcune considerazioni:

-        sono subito apparse chiare l’impotenza, l’impossibilità e, forse, anche la scarsa disponibilità da ambo le parti a provare di  riannodare un dialogo costruttivo; ormai il tono polemico dello scontro, non solo dialettico, ma anche teologico, canonico, istituzionale e fisico, è tale da soffocare sul nascere ogni tentativo di apertura;
-       
l’obiettivo, quindi diventa quello di definire e ribadire il patrimonio della fede cattolica, in contrapposizione alle tesi protestanti;
-       
consegue che il concilio tridentino  si trasforma nel concilio della Controriforma nel senso di ribadire l’ ortodossia cattolica, sebbene, per i denigratori, è il concilio della restaurazione.

E’ merito dei papi immediatamente successivi a Trento l’attuazione dei decreti conciliari, seppure, per essere applicati in tutta la Chiesa, si è dovuto discutere  e avere il beneplacito dai governi nazionali: quello spagnolo accetta i decreti con la clausola limitativa “fatti salvi i diritti regali”, mentre quello francese accetta i decreti dogmatici, ma non quelli di riforma canonica al fine di garantire maggiore autonomia ai suoi vescovi per poterli condizionare.
Pio V ( 1566 – 1572 ) unifica il Breviario, pubblica il Catechismus romanus e riforma il Messale che rimane in vigore fino al Concilio Vaticano II ( 1962 – 65 ).
Gregorio XIII ( 1572 – 1585 )  incentiva con determinazione la creazione dei seminari diocesani e abbandona il vecchio calendario giuliano per il più preciso Calendario gregoriano, tuttora in vigore.

Sisto V ( 1585 – 1590 ) riforma l’amministrazione centrale della Chiesa e della Curia ( rimasta invariata fino al 1908 ) e obbliga i vescovi alla visita ad limina,** alla quale ancora oggi sono tenuti.

   


** “Ad limina apostolorum visitatio” ( visita alle soglie  - tombe – degli apostoli, quindi Roma ). Ogni cinque anni tutti i vescovi devono presentare una relazione scritta  sullo stato della loro diocesi alla Santa Congregazione concistoriale ( oggi detta Congregazione dei vescovi ) ed avere un incontro privato col Papa per illustrare a voce le particolarità e le necessità della loro diocesi dal punto di vista religioso, sociale e culturale.


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