TERZO
PERIODO ( 1562 – 1563 ) Giulio III, eletto papa l’8 febbraio 1550,
riapre il Concilio ( 2° periodo: maggio 1551 – aprile 1552 ), ma non riesce a
concluderlo per le ostilità tra i vari Stati europei che impediscono ai loro
vescovi di partecipare e perché muore il 23 marzo 1555. Per 23 giorni gli
succede Marcello II, favorevole alla riforma, ma gli manca il tempo di fare
qualcosa. Dopo di lui, viene eletto il napoletano Gian Pietro Carafa col nome
di Paolo IV (23 maggio 1555), che si disinteressa completamente del Concilio e
della necessità di portare a termine l’opera di riforma della Chiesa.
All’apparenza intransigente, in realtà impulsivo ed ostinato, manifesta in
breve tempo tutti i suoi limiti
caratteriali ed etici - la morigeratezza non è il suo forte ( padre N.
Fabbretti ) - appoggiando gl’interessi
della famiglia con un nepotismo sfacciato ed irresponsabile.
Nomina cardinale e segretario di Stato il nipote Carlo, uomo dissoluto,
prepotente e privo di coscienza, condannato a morte e giustiziato subito dopo
la morte dello zio papa.
Filofrancese, dichiara guerra alla Spagna uscendone con le ossa rotte e con
gravi danni per lo Stato della Chiesa. Cocciutamente testardo nel sostenere le
proprie convinzioni, non ripone nessuna fiducia nel Concilio, così attua una
personale riforma della Curia romana, potenzia il Sant’Uffizio che diventa un
tetro e, a volte, ottuso difensore della fede che incute solo timore, pubblica
l’indice dei libri proibiti ( Index
librorum prohibitorum ), un elenco di testi la cui lettura è proibita ai
fedeli per i loro contenuti eretici o moralmente sconvenienti. Muore il 18
agosto del 1559 rimpianto solo dal nipote che verrà, come detto, giustiziato
poco dopo. Il popolo romano si oppone ai funerali solenni. Dopo un lungo e
faticoso conclave (4 mesi) viene eletto il milanese Giovanni Angelo Medici di Marignano
che prende il nome di Pio IV, protetto come cardinale da Giulio III ed
avversato da Paolo IV, perché filo spagnolo e favorevole alla ripresa e
conclusione del Concilio. Il nipote Carlo Borromeo, futuro arcivescovo di
Milano (persona ben diversa dal nipote Carlo del Carafa Paolo IV, difatti si
tratta di san Carlo Borromeo), si mostra un consigliere attento e sollecito
nell’appoggiare la riapertura del Concilio, quale unico strumento di
coinvolgimento reale di tutte le voci della Chiesa per la sua concreta riforma.
Cosa che accade nel gennaio del 1562. Per i forti contrasti interni ai padri
conciliari di natura teologica, ma soprattutto disciplinare e canonica, questa terza
fase del Concilio risulta essere la più tribolata. I legati papali Gonzaga e
Seripando vengono sostituiti nella primavera del 1563 dal card. Morone ( a suo
tempo, fatto arrestare, torturare, rinchiudere nelle segrete di Castel
sant’Angelo e scampato a sicura morte
per la morte di Paolo IV, suo carnefice ) che, più di ogni altro, sa
tenere le redini dei lavori conciliari e, avendo chiaro l’obiettivo finale, sa
tirar diritto davanti agli attacchi dei conservatori e portare a termine
l’impresa riformatrice. Fatte queste premesse poco edificanti sul clima che si
respira nella Chiesa e nella società civile, in quest’ultimo periodo sono
approvati da circa 225 padri conciliari diversi decreti che ancora oggi
costituiscono il cardine della dottrina della Chiesa cattolica. Fondamentale è
quello della sessione XXII (17 sett. 1562) sul sacrificio della Messa, inteso
come memoriale e “ripresentazione” reale
del sacrificio di croce di Gesù, sacerdote e vittima perfetta, condannando
senza mezzi termini le tesi luterane e calviniste sulla Messa ritenuta un
semplice ricordo dell’ultima cena e del sacrificio di croce. Nella XXIII
sessione viene riaffermato, sulla base della chiara volontà di Gesù e delle
Scritture, il sacramento dell’Ordine e la legittimità della struttura
gerarchica della Chiesa, costituita in primo luogo dal pontefice romano, quale
successore di Pietro e poi dai vescovi come successori degli apostoli nella
pienezza del sacerdozio. Vengono approvati anche i decreti sulla istituzione
del seminario in ogni diocesi per la formazione del clero e sui criteri di
ammissione dei candidati al sacerdozio. Nella sessione XXIV si affronta il
sacramento del matrimonio, considerato indissolubile secondo l’insegnamento di
Gesù e si stabiliscono le norme canoniche per individuarne l’eventuale nullità.
Viene decretata come vincolante la, sino allora, molto traballante usanza del
celibato ecclesiastico. Il parroco, tenuto a risiedere nel territorio di sua
competenza, deve tenere il registro dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni
e delle sepolture. Ai vescovi viene fatto obbligo di effettuare la visita
pastorale nelle parrocchie ogni anno completandola ogni due. Nella XXV ed
ultima sessione viene decretata la dottrina cattolica sul Purgatorio**, sul
culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre. Vengono stabilite norme
precise per la pia pratica delle indulgenze, onde evitare il noto triste
mercato. Al pontefice e alla Curia romana vengono affidate alcune questioni: la
revisione del breviario, del messale, del catechismo e l’Indice dei libri
proibiti. Il latino è e resta la lingua ufficiale della Chiesa, ma ai fedeli vanno
dati i chiarimenti necessari nella lingua parlata.
Il 4 dicembre 1563 il card. Morone chiude l’assemblea conciliare con queste
parole: “Post actas Deo gratias, ite in
pace” (dopo aver compiuto questi atti, sia grazie al Signore, andate in
pace).
Dopo 18 anni, tormentati e faticosi, il Concilio di Trento ha termine. Infatti
papa Pio IV con la bolla Benedictus Deus,
conferma ed approva tutti i decreti tridentini e nomina una commissione ad hoc per vigilare sulla corretta interpretazione
ed attuazione dei deliberati conciliari.
** Decreto sul Purgatorio ( 3-4
dic.1563). Poiché la Chiesa cattolica,
istruita dallo Spirito Santo, conforme alle sacre Scritture e all’antica
tradizione, ha insegnato nei sacri concili, e recentemente in questo concilio
ecumenico, che il Purgatorio esiste e che le anime lì tenute possono essere
aiutate dai suffragi dei fedeli e in modo particolarissimo col santo sacrificio
dell’altare, il santo sinodo comanda ai vescovi che con diligenza facciano in
modo che la sana dottrina sul Purgatorio , quale è stata trasmessa dai santi
padri e dai sacri concili, sia creduta, ritenuta, insegnata e predicata
dappertutto……. I vescovi abbiano cura che i suffragi dei fedeli viventi e cioè
i sacrifici delle Messe, le preghiere, le elemosine ed altre opere pie che si
sogliono fare per i fedeli defunti, siano fatti con pietà e devozione.