I 75
anni dei papi ad Avignone – dimentichi di essere i vescovi di Roma e della sede
di Pietro - e gli anni successivi, che,
con grande fatica e il passo del gambero, sono stati necessari per tornare ad
una certa “normalità”, rappresentano il periodo più torbido e decadente
dell’intera storia della Chiesa, nonostante la presenza di figure dall’ immensa
fede e caratura spirituale come santa Caterina da Siena e santa Brigida di
Vadstena, monaca norvegese. Alla morte di Gregorio XI, il francese che riporta
il papato a Roma, il popolo romano, assedia la sede del conclave al grido “romano
lo volemo o almeno italiano” Così l’8 aprile 1378 viene eletto l’arcivescovo di
Bari, che prende il nome Urbano VI. I cardinali francesi, che non si danno per
vinti ritenendo il conclave non valido a causa delle pressioni esterne, si
riuniscono a Fondi ed il 20 settembre 1378 eleggono papa il card. Roberto di
Ginevra col nome di Clemente VII che, ovviamente, prende residenza ad Avignone.
Automaticamente abbiamo la cattolicità divisa in due obbedienze, la romana e la
francese. Dopo questo scisma nel 1409 la situazione peggiora con il non
riconosciuto concilio di Pisa, convocato da un gruppetto di cardinali nel
tentativo di porre fine allo scisma dei due papi, nel quale viene eletto un
altro papa, Alessandro V, che muore poco dopo a Bologna, si maligna per mano
del suo successore, il card. Baldassarre
Cossa, arcivescovo della città, che, una volta eletto si fa chiamare Giovanni
XXIII. Nel 1414 abbiamo di fatto tre papi che hanno ciascuno il proprio seguito
di sostenitori: ne consegue che gli ordini religiosi, le congregazioni, le
università parteggino chi per un papa e chi per un altro. Il caos è totale.
Questa situazione di instabilità permanente e di degrado spirituale e morale ha
dato la spinta a rispolverare le idee conciliariste, cioè il concilio ha più
potere del papa, da parte di teologi e influenti personalità come l’imperatore
Sigismondo di Lussemburgo (eletto, ma non ancora incoronato, perché non sa da
quale papa) che costringe Giovanni XXIII a indire un concilio in territorio
tedesco a Costanza, al fine di controllarlo presiedendolo, per il novembre del
1414. All’apertura dei lavori sono presenti 600 padri conciliari. La prima
sorpresa è il metodo imposto per le votazioni dei documenti che sarebbe avvenuta
per nazioni e non per singoli elettori, togliendo praticamente la libertà di
scelta ai singoli e impedendo agli italiani di incidere sulle decisioni. Questo fatto ed altri contrasti con
l’imperatore Sigismondo suggeriscono di fuggire da Costanza a Giovanni XXIII,
che aveva già promesso di abdicare se anche gli altri due lo avessero fatto. Nonostante
la mancanza del papa che lo aveva indetto, il concilio va avanti prendendo una
piega decisamente conciliarista. Infatti il 6 aprile 1415 viene approvato un
testo redatto dal card. Francesco Zabanella, che afferma la superiorità del
concilio. E’ il famoso decreto Haec
sancta: “Questo santo sinodo di Costanza...
legittimamente riunito nello Spirito Santo, essendo concilio generale ed
espressione della Chiesa cattolica militante, riceve il proprio potere
direttamente dal Cristo e che chiunque di qualunque condizione e dignità,
compresa quella papale, è tenuto ad obbedirgli in ciò che riguarda la fede e
l’estirpazione dello scisma.” Papa Giovanni XXIII è catturato e ricondotto
a forza a Costanza dove il 29 maggio 1415 viene deposto per simonia, scandalo e
scisma, anziché concedergli di dimettersi come aveva promesso. A questo punto
il papa romano, Gregorio XII acconsente ad abdicare a condizione che in
assemblea venga letta la sua bolla nella quale dichiara che la convocazione del
concilio è sua e quindi si dà conferma della validità del medesimo. I padri
conciliari approvano quanto richiesto ed accettano l’abdicazione di Gregorio
XII. Resta il papa avignonese, Benedetto XIII, il nobile spagnolo Pedro de
Luna, irremovibile sulle sue posizioni, ma, abbandonato da tutti, viene deposto
dal concilio nel luglio del 1417 per eresia, scisma e spergiuro. Prima di
procedere all’elezione conciliare del nuovo pontefice, il concilio tenta di
procedere ad una vasta riforma della struttura centralizzatrice e gerarchica
della Chiesa attuata dai papi dei secoli XII-XIV, dando largo potere alla base,
ma i forti contrasti interni frenano l’ampiezza dell’operazione. Così il 9
novembre 1417 viene approvato il decreto Frequens
che ribadisce la superiorità del concilio e sopprime alcuni diritti del papato.
Ora si può procedere all’elezione del nuovo papa. L’11 novembre 1417 viene
eletto il card. Oddone Colonna, che sceglie il nome dal santo del giorno,
Martino V. Da qui fino alla fine dei lavori (22 aprile 1418) il concilio è
presieduto dal neo papa. Le principali disposizioni approvate sono i due
decreti Haec sancta e Frequens, la deposizione e abdicazione
di tre papi con l’elezione del nuovo e la condanna di due teologi riformatori (John
Wyclif e Jan Huss ). Papa Martino V nella sua prima bolla del febbraio 1418,
con il concilio ancora aperto, afferma che papa
canonice electus…habens supremam auctoritatem in ecclesia Dei (il papa
canonicamente eletto ha la suprema autorità nella Chiesa di Dio), smentendo
palesemente ciò che lui stesso aveva votato (Haec sancta e Frequens ). Così
vanno le cose del mondo. Comunque con papa Martino la Chiesa sembra riprendere
il suo faticoso cammino. Nonostante cardinali e principi gli offrano una sede
sicura (Basilea, Magonza, Strasburgo), da buon romano, vuol tornare a Roma. Il
30 settembre 1420 fa il suo ingresso in città accolto festosamente dai romani e
si dà subito daffare per dare alla città l’aspetto civile che aveva perduto e
chiama artisti del calibro del Masaccio e Gentile da Fabriano. Conosce gli
uomini giusti e pronti a dargli una mano. C’è chi l’ha definito “il fondatore
della monarchia pontificia o papalina.” Muore il 20 febbraio 1431 e un altro
scisma con antipapa annesso è già prossimo all’orizzonte come un altro
complicato concilio. In questa fase della storia sembra che, se non c’è nessun
altro a farlo, molti nella Chiesa siano insuperabili a fare tanto male,
mettendo in seria difficoltà l’Istituzione divina di cui dovrebbero avere il
massimo rispetto, anche perché si proclamano “chiamati”, troppo spesso
immeritatamente, a servirla.