Calcedonia, dal greco Chalcedòn, era una città fondata dai
greci nel 685 a.C., quindi molto più antica di
Bisanzio-Costantinopoli-Istanbul, in posizione strategica sulla via commerciale
del mar Nero; infatti si trova sul mar di Marmara di fronte a Istanbul, di cui
oggi è il quartiere di Kadikòy.
Questo Concilio come i precedenti si svolge nelle vicinanze della capitale
dell’Impero, Costantinopoli – anzi, in un primo tempo si sarebbe dovuto tenere
a Nicea – quindi sotto il controllo diretto dell’imperatore di turno. Il
successo della dottrina monofisita di Eutiche e Dioscoro di Alessandria,
ottenuto con la complicità di Teodosio II, noto come il Latrocinio di Efeso, è
di breve durata, poiché improvvisamente l’imperatore muore nel 250 e la
politica imperiale vira di 360 gradi. Sul trono sale la sorella del defunto, la
pia e ortodossa Pulcheria, che, per dare continuità alla dinastia teodosiana,
sposa e lo associa a sé nel governo, Marciano, generale dell’esercito e fedele
all’ortodossia.
Per risolvere la questione monofisita che rischiava di compromettere la
stabilità politica dell’Impero già dilaniato da altri problemi, d’accordo con
papa Leone I Magno, che però avrebbe preferito una località italiana per
evitare il rischio di un altro Latrocinio, viene convocato a Calcedonia un
Concilio che si apre l’8 ottobre del 451 sotto la presidenza onoraria
dell’imperatrice Pulcheria. I lavori conciliari si svolgono nella chiesa di
Sant’Eufemia e vi partecipano circa seicento vescovi, nella quasi totalità
provenienti dalle province orientali dell’Impero: tra le personalità di rilievo
sono presenti Dioscoro di Alessandria e Anatolio, patriarca di Costantinopoli,
che presiede. Per l’Occidente cattolico sono presenti due vescovi e tre legati
papali guidati da Pasquasino, vescovo di Lilibeo, l’odierna Marsala. A nome di
papa Leone, Pasquasino chiede subito che il patriarca Dioscoro, protagonista
del pseudo-concilio di Efeso del 449, venga messo sotto accusa per le
irregolarità compiute e per l’atteggiamento intimidatorio tenuto in
quell’assemblea.
Ovviamente il patriarca alessandrino si rifiuta di farsi giudicare, ma,
abbandonato da un gruppo di vescovi che chiedono perdono per averlo sostenuto,
è condannato da 308 padri conciliari e
deposto dalla sua carica patriarcale insieme ai vescovi rimastigli fedeli.
Dopo la condanna all’esilio per Eutiche, la deposizione di Dioscoro e la
riabilitazione post mortem di
Flaviano, al momento di stendere il documento con le conclusioni teologiche e
dottrinali, si riaccendono le solite diatribe cristologiche veramente capziose
e bizantine. Il rischio di nuove scissioni è altissimo a causa degli animi che
tornano ad infiammarsi sui soliti argomenti. Il patriarca Anatolio, che
presiede l’assemblea, acconsente alla proposta di Pasquasino di leggere il Tomus ad Flavianum, cioè la lettera di papa Leone inviata, a suo
tempo, a Flaviano, nella prospettiva di trovare in essa la soluzione.
Finalmente i padri conciliari si riconoscono nelle affermazioni di papa Leone,
che mostrando una puntuale capacità di sintesi, tutta latina, e di chiarezza
concettuale, riassume la corretta dottrina cristologica ancora oggi alla base
delle varie confessioni cristiane che riconoscono il Concilio di Calcedonia,
cattolici, ortodossi, protestanti. Il 25 ottobre rappresenta il momento
culminante, perché viene steso il documento, detto Definizione o Credo di
Calcedonia, che contro le eresie di Eutiche e Nestorio dichiara: “Seguendo i santi Padri, noi tutti di unico accordo insegniamo
agli uomini e professiamo un unico e identico Cristo, perfetto nell’umanità,
veramente Dio e veramente uomo, il medesimo costituito di anima razionale e
corpo, consustanziale al Padre secondo la divinità e il medesimo consustanziale
a noi secondo l’umanità, sotto ogni aspetto simile a noi, all’infuori del
peccato; quanto alla sua divinità
generato dal Padre prima dei tempi, ma per la sua umanità generato per noi uomini
e per la nostra salvezza da Maria Vergine, la portatrice di Dio; uno e lo
stesso Cristo, Figlio, Signore, Unigenito, riconosciuto in DUE NATURE, SENZA
CONFUSIONE, SENZA CAMBIAMENTO, SENZA DIVISIONE, SENZA SEPARAZIONE; la
distinzione tra le due nature non è affatto annullata dall’unione, ma piuttosto
le caratteristiche e le proprietà di ciascuna natura sono conservate e procedono assieme per
formare una sola persona (prosòpon*), non
divise o separate in due persone, ma uno solo e lo stesso Figlio e Unigenito
Dio, Signore Gesù Cristo (ipostasi** o sussistenza***)”.
Inoltre l’accoglimento da parte dell’assemblea della Lettera a Flaviano di papa
Leone, definita “in armonia con la
confessione del grande Pietro e per noi una colonna”, e le parole di stima
verso “il beatissimo e santissimo
arcivescovo della grandissima e antichissima città di Roma”, è un segno
tangibile di riconoscimento dell’autorità dottrinale del vescovo di Roma che
papa Leone farà pesare. Nelle 17 sessioni tenute tra l’otto ottobre e il primo
novembre, giorno della solenne chiusura alla presenza della coppia imperiale,
sono fissati 30 canoni (disposizioni e norme). Si ribadisce che gli atti dei
Concili di Nicea, Efeso e Costantinopoli devono essere considerati validi e da
rispettare (I canone), quindi Calcedonia
segna la conclusione del travagliato cammino della Chiesa antica per
dare un assetto teologico definitivo ai temi trinitari e cristologici. I padri
conciliari ritengono necessario dare indicazioni e disposizioni precise sui
comportamenti e la disciplina dei chierici, dei monaci, dei religiosi. Sono le
prime norme di quello che diventerà il diritto canonico. Si condanna la simonia
(II canone); si fa divieto e si prevedono severe pene per i presbiteri e i
religiosi dediti agli affari mondani (III canone); dal IV al X canone si parla
della disciplina della vita monastica e degli anacoreti “fai da te”.
Il canone 28 che prevede la preminenza del Patriarcato di Costantinopoli su
quelli di Antiochia e Alessandria d’Egitto e la sua equiparazione alla sede
apostolica della vecchia capitale Roma, perché ormai Costantinopoli è la Nuova
Roma, capitale dell’Impero e centro nevralgico politico ed economico (Roma è
solo la periferia occidentale), non è accettato, ma subìto da papa Leone. Gli
imperatori Marciano e Pulcheria ritengono che l’argomento “primato” sia privo
di serie conseguenze rispetto ai risultati ottenuti nei lavori conciliari,
quindi, pienamente soddisfatti, dichiarano chiuso il Concilio.
Purtroppo le conseguenze non si fanno attendere e sono molto pesanti, perché
l’Egitto e parte del Medio Oriente non riconoscono il Concilio, mentre
l’Occidente è sempre più unito attorno al vescovo di Roma, uscito come il vero
vincitore del Concilio in quanto si è mostrato il vero custode della fede di
Pietro, quindi geloso della sua carismatica autorità.
L’iniziativa del patriarca di Costantinopoli, Anatolio, di autodotarsi del
titolo di “patriarca ecumenico”-
titolo ancora oggi vigente - suscita ulteriore malcontento e crescente
disinteresse, se non ostilità, del vescovo di Roma verso le Chiese orientali.
(fine seconda parte)
NOTE *Prosòpon - parola greca che significa persona a cui Boezio dà questa definizione: naturae rationalis indivua substantia
(sostanza individuale di natura razionale). Come si comprende sono tre vocaboli
che con diverse sfumature indicano la stessa cosa. Tertulliano è esplicito: Deus una substantia tres personae (Dio è un’unica sostanza in tre persone).
**Ipostasi -
parola greca che vuol dire: ciò che usufruisce di una propria sostanza e consistenza,
quindi, comunemente, individuo o persona.
***Substantia - sarebbe la corretta traduzione latina di ipostasi, ma
a volte significa l’essenza e altre ipostasi (individuo o persona), così si è
preferito tradurre ipostasi con sussistenza, anziché sostanza;
infatti una sostanza individuale o
persona è sussistente, in quanto è in sé e per sé, senza bisogno di altro; così
la Trinità viene espressa come tre ipostasi, cioè tre persone o sussistenze,
appartenenti ad un'unica essenza o sostanza comune. (San Tommaso, Summa teologica)