Fin dagli anni del
catechismo abbiamo imparato a conoscere col nome di “Dieci Comandamenti” la legge che Dio ha consegnato a Mosè sul
monte Sinai, perché la facesse conoscere ed accettare dal popolo come un
regolare contratto tra Dio e Israele al fine di dare attuazione all’alleanza.
La Bibbia del Vecchio Testamento (VT) nella versione greca dei “70”
preferisce utilizzare l’espressione “le
dieci parole”, cioè Decalogo (dal
greco, dèka, dieci e lògos, parola) a indicare i dieci
concetti chiave che esprimono la volontà di Dio ai quali il popolo deve fedeltà
assoluta. Infatti, gli ebrei non si pongono nemmeno il problema del dopovita o
dell’aldilà, poiché totale è la sottomissione al volere divino e totale è la
certezza che il Dio dell’alleanza abbia già stabilito per loro la soluzione
migliore. La Bibbia, sempre VT, contiene due versioni del Decalogo, una
nell’Esodo (20,1-17) e l’altra nel Deuteronomio (5,6-21). Qui occorre aprire
una parentesi per spiegare come nasce il “Libro dei libri“.
All’inizio esiste solo la trasmissione orale degli eventi, dei riti,
degli usi e dei costumi caratterizzanti la vita di Israele, cioè, gli anziani
sono coloro che possiedono e tramandano la tradizione e la memoria storica. Le ataviche
divisioni in Regno del Nord e Regno di Giuda (formatisi dopo la morte di
Salomone, 933 a,C.) e l’esilio forzoso a Babilonia, imposto dal re assiro
Nabucodonosor II (587 a.C.), che aveva conquistato la Palestina e distrutta
Gerusalemme col suo Tempio, fanno comprendere agli Israeliti quanto sia
difficile mantenere la propria integrità etnica e religiosa solo attraverso la
tradizione orale.
Rientrati in patria nel 538 a.C. per concessione del nuovo
conquistatore, il persiano Ciro il grande, si torna gradualmente alla normalità
sotto i governatori nominati dal re. Vengono ricostruiti Gerusalemme e il
Tempio.
E’ in questo periodo che si comincia a pensare di codificare e di dare con
un testo scritto un corpo unico alle tradizioni orali e ai riti sacri ormai
conservati a fatica dalle dodici tribù divise tra loro e con rapporti ridotti al
minimo. Il contributo alla stesura offerto dalle tribù che, a malapena, si
ritrovano nel Tempio per celebrare i momenti religiosi più significativi,
spiega, in parte, la ripetizione di certi eventi, racconti e concetti, visti da
diverse angolazioni interpretative. Diciamo che la scrittura della Bibbia (VT)
è un lavoro corale, dove si evidenziano differenti sensibilità. Il V.T. risulta
essere un complesso di libri molto diversi tra loro per i contenuti (es: l’agronomia,
le norme sul matrimonio e il commercio, i riti religiosi, le preghiere come i
Salmi, la cucina, ecc.), per il tempo in cui sono stati scritti e per lo stile,
il tutto legato alle diverse tradizioni delle tribù. Proprio per questa ragione
il Libro si presenta come una
raccolta, formatasi in epoca post-esilio, attingendo ai vari scritti e alle tradizioni
orali di epoche precedenti. Lo conferma il fatto che esso contiene, oltre alle
due versioni del Decalogo, anche due racconti della Creazione, diversi nomi per
indicare Dio (il tetragramma YHWH
=“Io sono Colui che sono”, Elhoim = Dio,
Adonai = mio Signore, Jehowah =
“Io sono Colui”, Sebaoth = Dio degli
eserciti, El Shaddai = Onnipotente = Pantokrator nella versione greca), diverse
concezioni teologiche per definire l’essenza di Dio.
Nel suo insieme il Libro
rappresenta la vera e tortuosa storia religiosa, civile e culturale di un
popolo certo dei suoi rapporti privilegiati con Dio. In particolare, nella
redazione si individuano almeno quattro grandi fonti (la scuola Jawista, la più
antica, la scuola Eloista, dal modo di chiamare Dio presso le tribù del Nord, la
scuola Deuteronomica e la scuola sacerdotale).
Come il N.T. ha quattro Vangeli
canonici, perché riconosciuti di ispirazione divina e quelli apocrifi,
giudicati poco attendibili, così il V.T. ha 5 libri ritenuti il fondamento
della fede ebraica (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio)
che costituiscono la Thorah (insegnamento per il testo in ebraico, legge per la versione greca dei 70) o Pentateuco (cinque libri), mentre gli
altri sono detti Neviim (Profeti) e Ketuvim (Scritti agiografici e sapienziali).
Genesi racconta la creazione ad opera di Dio che poi sceglierà Abramo e
i suoi discendenti come realizzatori della prima fase del suo progetto.
Esodo
narra dell’oppressione egiziana e del lungo peregrinare nel deserto fino
all’incontro tra Dio e il suo popolo con la consegna del Decalogo.
Levitico
propone le leggi religiose e sociali a uso dei leviti, i sacerdoti, che Mosè dà
nel deserto del Sinai. Numeri, il libro trae il nome da un
censimento, ma descrive gli spostamenti e i conflitti sostenuti con le
popolazioni incontrate sulla via della Terra Promessa.
Deuteronomio o seconda legge, raccoglie i precetti che
Mosè consegna, prima di morire, per regolare la vita stabile, dopo quella
nomade iniziale.
Ritorniamo al Decalogo. Confrontando i due testi, quello dell’Esodo e
quello del Deuteronomio, troviamo che il primo è inserito nel contesto della
manifestazione di Dio a Mosè sul monte Sinai e il secondo è inserito nel
contesto delle esortazioni di Mosè rivolte al popolo di Israele, perché ascolti
e custodisca la parola di Dio.
Qualche esempio per comprendere al meglio le
diversità. Il comandamento che stabilisce l’osservanza del riposo nel giorno
del sabato nel libro dell’Esodo richiama il settimo giorno, quando, cioè, Dio
stesso si riposa dopo aver lavorato per sei giorni alla creazione, mentre nel
Deuteronomio il giorno di riposo e di festa del sabato ricorda la liberazione
dalla schiavitù egiziana. Nell’Esodo il comandamento che prescrive di non
desiderare la donna del “tuo prossimo”
pone la donna tra i beni posseduti dall’uomo dopo la casa e al pari degli
schiavi e degli animali domestici, mentre nel Deuteronomio la donna è collocata
al primo posto, superiore a ogni altro bene materiale. “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo; sei giorni faticherai
e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore,
tuo Dio; tu non farai alcun lavoro, perché in sei giorni il Signore ha fatto il
cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno
settimo. Perciò il Signore ha benedetto il sabato e lo ha dichiarato sacro” (Esodo).
“Osserva
il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore, Dio tuo,ti ha comandato.
Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per
il Signore, tuo Dio: non fare lavoro alcuno, né tu, né tuo figlio, né tua
figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino… Ricordati
che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto
uscire di là con mano potente e braccio teso, perciò il Signore, tuo Dio, ti
ordina di osservare il giorno di sabato” (Deuteronomio). “Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non
desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né
il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo” (Esodo).
“Non
desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo,
né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo
asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo”. (Deuteronomio).
E’ opportuno sottolineare che tutta la Bibbia, nel suo testo originale
ebraico, non riporta numerazioni, capitoli, né ha alcuna forma di
punteggiatura, ma è un continuum dal
quale solo la pazienza e la grande preparazione dei “70” hanno potuto darci la stesura di un testo comprensibile.
Come
si può notare il testo biblico originale dei due Comandamenti citati e degli
altri, è lungo e specifica ogni particolare onde evitare interpretazioni di
comodo (ciò che non è espressamente vietato, è lecito!), mentre i versetti
cattolici, così sintetici, si affidano molto alla profondità della fede di
ciascuno. Sebbene il testo completo del Decalogo compaia nelle Bibbie
cristiane, in ambito cattolico esiste la versione breve, il cui scopo è quello
di favorire la catechesi e la memorizzazione. Diversamente dall’intera legge
mosaica che non è accolta dal cristianesimo, il Decalogo è ritenuto
fondamentale per il suo valore teologico e morale. Per il cattolicesimo il
Decalogo è vincolante semper et pro
semper, sempre e in ogni occasione.
In conclusione, richiamandoci ai più o meno lontani ricordi della
nostra scuola di catechismo, la persona che, con piena avvertenza e deliberato
consenso, viola, anche per una sola volta, uno soltanto dei Dieci Comandamenti
commette peccato grave e mortale e perde la grazia di Dio.
La cronaca degli
avvenimenti mondiali di questi mesi come cambierebbe se l’homo sapiens si ricordasse di osservare in modo reale, non formale
o farisaico, che è la stessa cosa, il vetusto e plurimillenario Decalogo?
Purtroppo le dispute, i conflitti e le guerre accadono da sempre, così dicono i
protagonisti, per dare pace, libertà e prosperità ai popoli in difficoltà. Spesso
c’è anche la ciliegina: nel nome di Dio, ovvero la guerra santa, che mi deve
essere spiegata, perché non riesco a capire come il Dio, definito santo,
onnipotente, giusto, buono, infinito, ecc., possa preferire e parteggiare per
l’uno a scapito dell’altro, pur essendo entrambi sue creature.
E’ passata tanta
acqua sotto i ponti della storia da quando gli dèi omerici prendevano posizione
spudoratamente per gli Achei o per i Troiani. Forse vale la pena di rivedere
l’idea di Dio, che oggi prevale, perché Lui è “solo”, si fa per dire, il grande
Progettista buono e paterno del creato.