Chi
è Giuseppe e qual’è il suo ruolo nel piano di salvezza predisposto da Dio per
gli uomini? Degli Evangelisti ne parlano
solo Matteo e Luca, fornendo scarne notizie. Nemmeno si preoccupano di indagare
bene sulla genealogia che porta a re Davide. Infatti, Luca sostiene: “Gesù quando cominciò il suo ministero aveva
circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli ”; mentre Matteo dice che “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla
quale è nato Gesù, chiamato Cristo”. Sicuramente il suo è un ruolo di
comprimario, ma assolutamente non marginale, perché l’accettazione di un figlio
non suo è consapevole e totale. Giuseppe si pone al servizio della volontà
divina come la sua sposa Maria. Durante la presentazione al Tempio, 40gg dopo
la nascita, Giuseppe se ne assume giuridicamente la paternità, inserendo Gesù
nella regale stirpe di Davide e impegnandosi alla sua crescita e educazione:
impegni che Giuseppe svolge puntualmente. Ma andiamo con ordine.
Dopo
l’annunciazione a Maria, l’arcangelo Gabriele, quasi a voler confermare la
straordinarietà dell’evento che sta accadendo in lei, le dice che anche la più
anziana e sterile cugina Elisabetta è in attesa di un figlio ed è al sesto
mese. Maria va a trovare la cugina e torna a Nazaret dopo la nascita di
Giovanni, detto il Battista. Solo ora Giuseppe si accorge della gravidanza
della sua promessa sposa e, “da uomo
giusto, non voleva ripudiarla, decise così di allontanarla in segreto” (Mt).
L’uomo non sa darsi una risposta all’inquietante
interrogativo, finché nel sogno l’angelo gli offre la soluzione: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di
prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito
Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo
popolo dai suoi peccati” (Mt). Giuseppe fa come indicato dall’angelo, prende
con sé la sua sposa, accettando il mistero della maternità e le successive
responsabilità. Dopo tre mesi da Nazaret, in Galilea, si reca con Maria a Betlemme,
in Giudea, per censimento della popolazione dell’Impero, indetto in Palestina
dal governatore Quirinio. Qui Maria, assistita da Giuseppe, dà alla luce Gesù,
“che fasciato, fu posto in una
mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell’albergo” (Mt). Dopo otto
giorni, Gesù riceve la circoncisione e dopo 40 giorni tutta la famigliola si
reca al Tempio di Gerusalemme per la presentazione. Forse i tre sono ancora a
Betlemme quando in sogno Giuseppe è avvertito delle intenzioni omicide di
Erode, così prepara e attua la fuga in Egitto. La durata dell’esilio egiziano
non è noto, ma, ancora un sogno, lo avverte che può rientrare a Nazaret, dove
la fanciullezza di Gesù trascorre serenamente con la mamma e il padre che
esercita il mestiere di tektòn,
titolo generico per indicare un addetto all’edilizia; oggi diremmo carpentiere
e non il più restrittivo mestiere di falegname: all’epoca il legno era molto
utilizzato per la costruzione delle abitazioni, mentre l’arredamento era poca
cosa, molto essenziale e limitato.
Solo
una volta la famiglia si sottrae all’anonima normalità quotidiana. Luca ci
racconta che con altre numerose persone va in pellegrinaggio a Gerusalemme per
festeggiare la Pasqua presso il Tempio. Sulla via del ritorno a sera Giuseppe e
Maria si accorgono che Gesù, dodicenne, non è nella comitiva. Tornano indietro
e, dopo tre giorni di affannose ricerche, lo trovano impegnato a discutere nel
Tempio con i dottori. Maria gli domanda: “Figlio,
perché hai fatto così? Ecco tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo”. La
replica di Gesù è secca: “Perché mi
cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Da
tale dura risposta, che non ammette repliche, si può desumere che Giuseppe e
Maria devono essere consci, almeno parzialmente, della missione di Gesù.
Tornati a Nazaret, Gesù cresce in sapienza,
età e grazia e diventa adulto, sottomesso ai genitori; aiuta con impegno il
padre nel suo lavoro, tanto che un evangelista lo chiama direttamente tektòn e l’altro il figlio del tektòn. A questo punto il silenzio più assoluto
scende sull’intera famiglia a dimostrazione che tutto procede nella consueta
quotidianità. Anche dall’inizio della vita pubblica di Gesù, intorno ai
trent’anni, Giuseppe non è mai citato, neppure indirettamente, il che fa
pensare che sia già morto. La conferma ci è data, quando Gesù dall’alto della
croce affida la madre Maria all’apostolo Giovanni. Ho trovato il 18 d.C. come
data della morte di Giuseppe, ma non ho capito sulla base di quali elementi.
Completato il suo compito di “padre putativo” (dal verbo latino puto, credere, quindi “creduto padre di
Gesù), probabilmente muore poco prima che il “Figlio dell’uomo” inizi la sua missione pubblica, spirando
serenamente tra le braccia di Gesù. Non a caso è venerato come il patrono della
buona morte.
Giuseppe,
come si è capito, è il mite sposo di Maria, il capo della Sacra Famiglia nella
quale nasce, per opera dello Spirito Santo, Gesù, Figlio di Dio, Padre e
Creatore. Orientando la propria vita sulla lieve traccia di alcuni sogni,
attraverso i quali gli angeli recano i messaggi del Signore, diventa il punto
fermo della esemplare e responsabile paternità. Oggi, se prima di prendersi e
lasciarsi con banale superficialità, si pensasse alla famiglia messa in
piedi e custodita con amore da Giuseppe,
forse molti avvocati e psicologi familiari dovrebbero cambiare mestiere.
Giuseppe non è un assente o un signor nessuno, è solo un silenzioso,
scrupoloso, disponibile, obbediente esecutore dei piani di Dio, sebbene a lui
siano poco comprensibili. Per l’ebreo, infatti, è fondamentale rispondere,
sempre e comunque, alla volontà di Dio, senza chiedere spiegazioni, perché solo
Dio sa cosa è giusto fare o non fare.
Intorno
alla sua figura i Vangeli apocrifi si sbizzarriscono. Vale la pena di riportare
una leggenda sul matrimonio con Maria. In quella occasione vi sarebbe stata una
gara, indetta dal sacerdote Zaccaria, tra gli aspiranti alla mano della
giovane, che, dopo nove anni vissuti al servizio del Tempio, a 12-13 anni ha
raggiunto l’età del matrimonio. Quella gara la vince Giuseppe, in quanto il
secco bastone che lo rappresenta, come da regolamento, sarebbe prodigiosamente fiorito.
La leggenda vuole significare che dal ceppo inaridito del Vecchio Testamento
fiorisce la grazia della Redenzione.
San
Giuseppe non è solo il patrono dei “papà” come “sublime modello di vigilanza e
provvidenza,” ma è anche patrono della Chiesa universale con festa liturgica il
19 marzo. Oggi è molto onorato e festeggiato in campo sociale e nel mondo del
lavoro manuale, quale patrono degli artigiani e dei lavoratori tutti con festa
liturgica, proclamata da papa Pio XII, il primo maggio. Papa Giovanni XXIII nel
discorso di apertura gli affida il Concilio Vaticano II. Il culto di san
Giuseppe nel passato ha raggiunto vette altissime e lo dimostrano il numero
elevato di chiese che affermano di avere una reliquia autentica. Qualche
esempio: la chiesa di Notre-Dame a Parigi conserverebbe gli anelli di
fidanzamento di Giuseppe e di Maria; una chiesa di Perugia possiede solo, si fa
per dire, il suo anello nuziale; la chiesa dei Foglianti di Parigi ha frammenti
di una sua cintura; in una chiesa di Aquisgrana sono presenti alcune fasce che
avvolgevano le gambe e i calzari; in Santa Maria degli Angeli di Firenze, i
frati camaldolesi sono certi di possedere il suo bastone, non si sa se quello
fiorito. La conclusione è una sola: cari papà moderni, di notizie certe su S. Giuseppe
ne abbiamo pochissime, eppure sono più che abbondanti per guardare a lui come
ad una guida sicura, prima di piangerci addosso per aver anteposto tutto il resto alla cura e all’educazione dei
figli. Giudici, avvocati e psicologi non dovrebbero mai mettere un dito o il
naso tra un padre e un figlio: se lo fanno, un padre sbaglia o ha già
sbagliato.