N° 4 - Aprile 2009
Josephine caduta nel fuoco
di Padre Carlo Cencio

 Memorie Missionarie

JOSEPHINE, CADUTA NEL FUOCO

Un giorno ero a Wara, forse il peggiore villaggio della missione di Bozoum.

La gente era tutta più o meno malata.

I sani erano pochi.

Era infatti un villaggio molto sporco.

Vi regnava il terrore dei feticci e degli spiriti cattivi.

Erano frequenti le morti e le donne erano poco feconde.

Quel giorno, dopo la mia solita animazione religiosa, mi misi come sempre a curare i malati. Passarono da me quasi tutti: vecchi, donne e bambini.

I giovani erano pochissimi.

Terminato il mio lavoro, misi tutto in ordine nelle solite cassette e partii salutando.

Uscendo dal villaggio, davanti all’ultima capanna, scorsi una ragazzina tutta rannicchiata accanto al fuoco che ardeva fra le pietre.

Mi accorsi che non stava bene, ma non era venuta a farsi visitare.

Inchiodai la traballante “tre cavalli” e la chiamai, aprendo la portiera.

Non rispose.

Sulla porta della capanna apparve invece una donna che doveva essere sua madre.

Chiesi come mai non mi avessero portato quella ragazzina: avrei medicato anche lei.

Mi rispose che era troppo malata e avevano vergogna (l’epilessia è per loro una malattia umiliante). Mi disse anche che era caduta nel fuoco procurandosi piaghe che si erano estese in molte parti del corpo.
Mi misi subito all’opera.

Per fortuna sulle tre pietre bolliva una casseruola d’acqua.

Vi gettai un po’ di sale e la lasciai intiepidire, poi disinfettai un coltello e un cucchiaio da cucina, e mi accinsi a quella strana medicazione.

La bambina, di dieci o undici anni, era stata ricoperta su tutto il corpo piagato di uno strato di sterco bovino e di erbe, come cataplasma.

Secondo i curatori tale rimedio avrebbe dovuto favorire la cicatrizzazione.

Quella spalmatura era ora indurita come una crosta sull’epidermide, perciò avrei dovuto staccarla e asportarla, pulire e disinfettare tutto, per poi medicare in altro modo.

Le piaghe si estendevano dalla testa alle scapole, dal dorso ai fianchi…giù giù fino alle cosce.

Ordinai a due persone di tenere ferma la bambina e con quell’acqua salata cominciai a inumidire la crosta e ad asportarla.

Come staccavo quella crosta, mi trovavo sotto le mani la carne viva in molti punti.

Mi aiutavo con panni bianchi, con garza e cucchiaio..

Qua e là disinfettavo subito con acqua ossigenata.

In certi momenti la poveretta lanciava gemiti terribili, eppure non dovevo commuovermi.

Dopo averla tutta disinfettata con acqua ossigenata e asciugata con panni bianchi, spalmai su quelle piaghe gli ultimi due tubetti di penicillina.

Coprii con garza e fasciai quel corpo con bende.

Al termine del mio lavoro la guardai: mi sembrava un piccolo Lazzaro redivivo, non piangeva più.

Prima di partire, conoscendo quella gente, li minacciai: “Non dovete più toccarla, né voi, né altri! Tenetela al pulito e mettetele vestiti lavati.

Fra venti giorni me la riporterete al villaggio di Hai: voglio controllare la medicazione.

Se la toccherete, vi manderò la maledizione degli spiriti”.

Ero certo che solo quel linguaggio li avrebbe convinti.

Infatti, dopo venti giorni, me la riportarono.

Ero appena uscito dalla chiesa e mi dissero: “C’è l’ammalata…Josephine”.

Siccome non la ricordavo, risposi: “Portatemela”.

“E’ qua”, e me la presentarono.

Allora la riconobbi.

La portai un poco in disparte, ma tutti mi vennero dietro.

La feci sedere e cominciai a sciogliere le fasciature per vedere se era migliorata.

Le bende non erano state toccate, erano persino ancora abbastanza pulite.

Non credevo ai miei occhi…

Man mano che toglievo le bende, non trovavo più piaghe e tutti i presenti erano meravigliati.

La testa era bella come se non fosse mai stata piagata, così pure le scapole, la schiena…

Allora tutti gridarono: “Padre, mi-ra-co-lo! Miracolo!!!”.

“Sì, certo”, dissi io “è un miracolo della penicillina e della pulizia!

Vedete, Dio vuole che usiamo metodi sani per tenerci in buona salute.

Ascoltate quello che vi dico, così non solo salverete le vostre anime, ma anche i vostri corpi”.

E cominciarono a fare fila: “Padre…nivachine…aspirine…”.

Mi veniva da ridere perché sembrava che mi prendessero in giro senza volerlo, e pensavo: non ho fatto una gran lezione…forse sarebbe meglio distribuire caramelle.

                                                                 Padre Carlo Cencio


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