I Vangeli del mese di Gualtiero
5 Aprile -- Domenica delle Palme
E’ la domenica nella quale due parole emergono: “Osanna” e “Crocifiggilo”.
Gesù entra nella città santa, acclamato da una gran folla e da tanti bambini.
E’ una festa di “evviva”, di rami di olivo e palme agitate con gioia, di mantelli stesi sulla strada in segno di omaggio al “Figlio di David”.
E’ l’Osanna a “Colui che viene nel nome del Signore”.
Gesù è riconosciuto Re e Messia.
Lui incede mite, cavalcando un’asina come aveva annunciato un lontano profeta, ma cosciente di quello lo aspetta a Gerusalemme.
Passeranno solo alcuni giorni, e già i nemici trionferanno: lo faranno arrestare, processare, condannare.
Aizzeranno la gente a urlare a Pilato: ‘Crocifiggilo’.
Una domenica, questa, che ci interroga.
Da che parte vogliamo stare nei confronti del Cristo?
C’è da rifiutare, intanto, il “crocifiggilo”.
Né Lui, né i suoi “Volti” che sono gli altri, senza distinzioni.
Lo diranno i nostri comportamenti e le nostre scelte.
C’è, poi, “l’Osanna”, una parola da amare.
Ha il sapore dell’accoglienza e della fede.
Ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia, l’Osanna lo cantiamo: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore: Osanna nell’alto dei cieli”.
E quel Gesù che, cavalcando un’asina, entrò quel giorno a Gerusalemme, viene a noi, tutte le volte che si celebra la Messa, celato dagli umilissimi segni del pane e del vino.
Beati noi se Lo sappiamo riconoscere, se agitiamo l’ulivo della pace con Lui e i fratelli; se Gli offriamo le palme delle nostre sofferenze, se lo accogliamo stendendo mantelli di umiltà e carità. Domenica delle Palme: ricchezza di tanti e grandi misteri, di olivi da agitare festosi per il Cristo che anche per noi viene, Signore e Liberatore.
12 Aprile - Domenica di Pasqua
Ci si aspetterebbe, in questo Vangelo che leggiamo a Pasqua, scoppi di luce, cronache di un corri-corri, per assistere a qualcosa di incredibile.
Invece, la scena è povera.
C’è la Maddalena che va al sepolcro e nota, allarmata, che la pietra è ribaltata.
Cerca affannosamente Pietro e Giovanni per dare un annunzio che pensa legato a un dolore in più.
Questi vanno, anzi: corrono.
Giungono là, trafelati e preoccupati.
Vedono che non c’è il corpo del Maestro.
Ci sono, invece, le bende e il sudario, addirittura piegato.
Nient’altro.
Ma, racconta il Vangelo, Giovanni “vide e credette”.
Gli riaffiorarono in cuore quelle parole di Gesù: “ma Il terzo giorno risusciterò”.
Da pochi e poveri segni, il discepolo più amato dal Signore crede che il Maestro è vivo.
Non è una fede al cento per cento, ma è fede.
Certo i discepoli dovranno ancora capire, e il testo evangelico, onestamente, non fa loro sconti: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.”
Oggi, Pasqua del Signore, viene proclamato questo brano, scritto proprio da Giovanni.
Non c’è il Risorto, ancora.
C’è un perché, questo: dovremmo imparare che la nostra fede nel Signore risorto, si affida a segni poveri, a una Parola, grande quanto si vuole, ma che rimane fragile e vulnerabile.
Si affida a testimoni: ricordate? “noi abbiamo visto e testimoniamo…” ma testimoni non potenti, non ricchi, non colti.
Pescatori di Galilea, i più; strappati alle loro reti dal fascino e dall’invito profondo del Maestro.
La nostra fede pasquale sarà tanto più grande, quanto più sarà umile e salda come la fede di quei primi fratelli.
Nell’Oriente cristiano, ci si saluta, oggi, così: “Cristo è risorto”.
Sì, è risorto: Alleluia!
Domenica 19 Aprile - 2^ dopo Pasqua.
Tutti abbiamo il nostro nome, più o meno gradito.
Ma, in fondo, abbiamo un nome in comune:ci chiamiamo Tommaso.
Sì, come quell’apostolo che non credeva e non voleva credere che Gesù era risorto, nonostante l’entusiasta testimonianza degli amici che sostenevano di averLo visto vivo.
Non c’era verso: “Se non vedo!” .
Gli andò bene, perché Gesù in persona gli appare, e quando ormai Tommaso crede, non si commuoverà più di tanto: “Perché hai visto, hai creduto…” Anche noi “vogliamo vedere”.
Quante volte è sulle nostre labbra quell’espressione: “Se Dio ci fosse, non permetterebbe…”. “Se Dio c’è, perché?...” e così via.
Sempre Dio sotto processo.
Sempre Dio sottoposto al nostro esame, per decidere se possiamo o no credere in Lui.
Il Vangelo di questa domenica viene umilmente a contestarci.
Con una parola illuminante: “Beati”.
Il Risorto annunzia beatitudine per chi “senza aver visto” crederà.
Il Signore non vuole una fede cieca, irrazionale: non sarebbe assolutamente degna di Dio.
Al contrario, richiede (e ce lo ricorda Pietro), una fede seria, che coinvolga la ragione, e che valga: “perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo.
Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. “
Converrebbe, allora, pregare per noi e per tanti fratelli, facendo nostra quell’ umile preghiera di un babbo che chiedeva a Gesù la guarigione della propria creatura.
"Signore aumenta la mia fede"
26 Aprile - 3° dopo Pasqua.
Luca “racconta” il Risorto.
Lo fa con quel suo stile caratteristico, dove la parola e il gesto sono carichi di significati.
Gesù apparendo ai suoi li saluta: “Pace a voi”.
La pace è il segno della benevolenza divina, è dono di Dio.
Già la nascita fu accompagnata da questo saluto nel canto degli Angeli, tale saluto lo ritroviamo, significativo, nel giorno di Pasqua.
C’è, poi, la delicatezza del Maestro: si fa toccare, non è un fantasma.
E’ vero che ‘toccare’ il Signore non porta necessariamente alla fede: quanti nella Passione e anche prima l’hanno toccato senza credere?
Ma per quei discepoli che, pur deboli, amavano il Maestro, il toccarLo significò essere testimoni di un fatto inaudito: il Crocefisso è risuscitato.
Ma il Cristo fa anche catechesi.
Spiega “le Scritture” dischiudendo, scrive Luca, “la loro mente”.
Sì, se non si comprende la Parola, il discepolo può ritrovarsi accanto al Signore senza riconoscerlo.
Infine, la missione, affidata agli amici più cari.
Devono annunziare la passione e la resurrezione.
E destinatari sono “tutte le genti”.
L’annuncio deve avvenire “nel suo nome”, poggiare cioè sulla sua autorità, non su altro.
Si predicherà la conversione e il perdono.
Annunciare il perdono, è dire che l’amore del Signore è più grande del nostro peccato.
La Croce proclama un Dio che perdona.
Convertirci è aprire il cuore, totalmente, al Crocefisso che rivela non la sconfitta di Dio, ma la sua potenza e la sua vittoria.
Convertirci sarà scoprire “quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità,” dell’amore di Cristo.
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