CINQUANT’ANNI FA L’INDIZIONE
DEL CONCILIO VATICANO II
Della decisione (che gli storici considerano a sorpresa) con cui il beato Giovanni XXIII annunciò ai cardinali - giusto cinquant’anni fa, il 25 gennaio 1959 – la convocazione del Concilio ecumenico Vaticano II, io conservo un ricordo, per così dire, plastico.
Quel ricordo è rappresentato dal sorriso con cui il mio parroco di Sarzana, don Dino Faccini, annunciò a noi chierichetti la decisione del Papa.
Noi (specialmente io, che ero tra i “piccoli”) non capivamo bene la parola “Concilio”.
Quel sorriso ci spiegò così più di tante parole che non solo si trattava di un fatto importante, ma anche atteso, per il bene della Chiesa.
E proprio da quell’annuncio cominciò a farsi strada in me, che avevo otto anni, l’idea che quel nuovo Papa ancora “sconosciuto” (in casa non avevamo la TV) fosse destinato a passare alla storia. Sono proprio i parroci, del resto, ad avere più di ogni altro il polso delle attese e delle speranze del “popolo di Dio”.
Per questo, molti anni dopo, avrei paragonato quel sorriso del mio parroco, così denso di fede e di speranza, con le parole che nel romanzo di George Bernanos “Diario di un curato di campagna” pronuncia l’abate di Torcy, ricordando la pubblicazione nel 1891 dell’enciclica sociale di Leone XIII, la “Rerum novarum”:”Ci sentimmo tremare la terra sotto i piedi”.
I grandi eventi nella storia della Chiesa sono stati sempre attesi, desiderati, preparati dai tempi e dagli uomini (anche Pio XII aveva pensato a un Concilio, ma non riuscì a realizzarlo), e sono stati poi sempre “eventi di grazia”, quale sia il giudizio storico che si può dare in seguito.
A questo riguardo – nel cinquantesimo del Concilio di Giovanni XXIII e di Paolo VI – mi sembrano particolarmente azzeccate alcune frasi scritte nei giorni scorsi da Angelo Bertani, autorevole giornalista cattolico democratico.
Per questo le riporto volentieri qui di seguito:” Nel fare il bilancio di questi 50 anni di postconcilio è giusto che si dicano anche le cose che non vanno bene.
Ma non si dimentichi tutto quel che è stato fatto, anche se è spsso nascosto.
Mille semi sono stati deposti; mille esperienze nuove, magari un po’ sotterranee, si sono sviluppate.
C’è un senso più profondo della dignità di ogni uomo, dell’amore di Dio, della gratuità, della giustizia, della pace…
Ci sono molte persone che hanno capito che per essere nella Chiesa bisogna amare più che obbedire, credere più che mostrarsi devoti o alzare la voce contro gli “altri”.
C’è attesa e speranza in Gesù Cristo e il desiderio di riscoprirlo; basta che i cristiani siano più limpidi, più liberi e generosi.
E, vorrei dire, più ottimisti, più capaci di vedere l’invisibile”.
Egidio Banti
“L’adorazione non va collocata accanto alla nostra vita come se si trattasse di un peso, di un’aggiunta; piuttosto la preghiera deve diventare il nucleo portante di ogni attività apostolica e impegno pastorale”.
Francesco Moraglia, Vescovo (dall’omelia del 12 .10.2008)