N° 2 - Febbraio 2009
Pauline e Joseph il lebbroso
di Padre Carlo Cencio

Memorie Missionarie
PAULINE E JOSEPH IL LEBBROSO
   
In Centrafrica ci sono ancora molti lebbrosi e i missionari hanno per loro una particolare attenzione.
La lebbra si può curare e non è necessariamente contagiosa.
Naturalmente è necessario adottare le normali precauzioni igieniche e profilattiche.
Soprattutto le suore si prendono cura di loro: li disinfettano e somministrano loro periodicamente i sulfoni, idonei ad arrestare il deterioramento dei tessuti.
La lebbra infatti distrugge le cartilagini e le estremità degli arti, riducendo mani e piedi a moncherini.
Si possono incontrare visi deturpati per mancanza di narici, lobi degli orecchi o parti delle labbra. 
I piedi risentono molto presto degli effetti della lebbra e in breve tempo perdono le dita.
I malati di lebbra faticano a camminare e si trascinano con bastoni, stampelle o grucce improvvisate.
Naturalmente, senza mani e piedi, non possono più lavorare e diventano totalmente dipendenti dagli altri.
La loro sofferenza consiste soprattutto in questa totale impotenza, che li fa sentire sempre più inutili e soli.
Qui la gente non li allontana da casa, anzi li custodisce e li aiuta, ma questo non li libera dal loro complesso di inferiorità.
Se poi la malattia colpisce anche il volto, allora diventano anche depressi.
Ci vuole davvero tanto affetto e carità per occuparsi di loro.
E’ per questo che quando Pauline e Joseph vennero a chiedermi di sposarli, fui obbligato ad accertarmi della loro possibilità di rimanere insieme come veri sposi cristiani.
Intanto mi informai che non ci fossero controindicazioni.
I medici e gli infermieri mi assicurarono che non ci sarebbero state conseguenze dirette né per il coniuge né per la prole.
Volli conoscere un poco la loro storia, perché non erano più giovanissimi.
Seppi che avevano già avuto figli, perché vivevano insieme da anni.
Lui, Joseph, si era ammalato mentre stavano già insieme.
Tra l’altro, era cristiano da sempre.
Lei, invece, non aveva ancora ricevuto il battesimo, però da qualche anno aveva cominciato a frequentare il catechismo e la chiesa per seguire lui e il suo Dio. 
Si erano trasferiti a Baoro, presso il lebbrosario della missione, per ricevere le cure dalle suore.
Erano in pace e tranquilli: frequentavano la chiesa  e il  catechismo; lei coltivava la sua piantagione di manioca e di patate per la loro sussistenza.
Il loro servizio di custodi al dispensario dei lebbrosi faceva sì che conducessero una vita dignitosa.
Quando li interrogai circa il battesimo per lei, e il matrimonio per tutti e due, li trovai sereni e ben disposti.
Allora, con Pauline, cominciai a fare l’avvocato del diavolo e le chiesi se pensava di poter essere fedele per sempre a Joseph, lebbroso e in quelle condizioni.
Le dissi che non era obbligata a sposarlo, se la sua malattia fosse stata per lei un problema.
Lui, un domani, non avrebbe più potuto lavorare e lei avrebbe dovuto mantenerlo e curarlo per sempre.
Lei mi rispose: “Padre, questa non è una difficoltà.
Io gli ho sempre voluto bene, gli ho dato dei figli, ho lavorato con lui e per lui.
Vuole che lo lasci ora che non ha più bisogno di me?
No, no…io lo voglio prendere come sposo.
Io voglio sposarmi con lui in chiesa come cristiana.
Gli vorrò sempre bene e avrò cura di lui.
E’ più che un marito, è un fratello.
Io non posso e non voglio lasciarlo.
Voglio ricevere il battesimo e celebrare una bella festa di nozze.”.
“E tu, Joseph, credi a quello che Pauline ha detto? Sei contento di sposarla?”. “Se non fossi contento, non sarei qui a chiederlo. Pauline mi ha sempre voluto bene.
Non litighiamo mai e lei mi aiuta.
Io voglio stare con lei nella grazia di Dio e con la benedizione del sacerdote”.
Erano tutti e due raggianti.
Quando celebrarono il matrimonio, partecipò tutta la comunità cristiana; al consenso, la gente esplose in un applauso lungo e sentito: l’amore di Joseph e Pauline aveva commosso tutti.
Ciò che impressionava non era tanto l’eroismo di Pauline nello sposare un lebbroso, quanto la gioia che irraggiava dai loro volti. Erano felici di essere uniti in Dio, accolti nella Chiesa e solidali per sempre nella preghiera e nella comunione eucaristica.
Lei si era vestita bene, con l’aiuto delle suore, e lui indossava un completo pulito e stirato, anche se portava un bastone e da una gamba di quei pantaloni spuntava una protesi.
Fu un matrimonio molto semplice e povero, ma certamente ricco di gioia.
Molti li accompagnarono festosamente verso casa con canti e danze.
Ci furono anche doni e bevande, ma con loro festeggiammo soprattutto la grazia e il vero amore.
                                                                                                
Padre Carlo Cencio


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