Carissimi,
Desidero iniziare questa mia riflessione con l’augurio di
intraprendere questo itinerario quaresimale fiduciosi nella misericordia e
nell’amore di Dio.
In questo momento del nostro tempo così difficile e misterioso, dove assistiamo
ad una perdita dei valori umani e cristiani, veniamo chiamati a riconoscere la
paternità di Dio che in Cristo diventa compagnia della nostra vita.
Durante il cammino quaresimale si deve risvegliare il senso cristiano della
vita e renderci conto che nonostante il male presente attorno a noi cerchi di soffocare il grido di speranza
dell’umanità, Cristo ci richiama ad uno sforzo interiore che ci renda capaci di
riconoscerlo come Figlio di Dio fatto uomo per salvarci.
Fidiamoci di Dio, lasciamoci riconciliare col Padre. E’ Cristo che ci invita a
vivere come figli della luce, che rivela il Suo volto di servo obbediente per
amore alla volontà del Padre. E’ il buon samaritano che si china accanto alle
nostre sofferenze per consolarci, è il Buon Pastore che si spinge fino ai
confini del mondo per cercare la pecorella smarrita e caricarla sulle spalle
conducendola all’ovile. E’ Lui che ci indica la strada per ritornare alla
nostra casa, dove il Padre ci attende con impazienza per offrirci il dono del
Suo perdono e condividere con noi i doni del Suo amore. Anche noi facciamo ogni
giorno l’esperienza dell’abbandono dalla casa del Padre, in nome della nostra
libertà ci spingiamo in quella terra dove non esiste la speranza e diventiamo
schiavi della nostra miseria e del nostro egoismo.
Torniamo a vivere nella nostra casa, bussiamo a quella porta, Egli ci aprirà.
Il nostro esserci allontanati dal Padre ci ha fatto cadere in un buio profondo,
alziamoci, prendiamo coscienza della nostra miseria. Ritorniamo alle sorgenti
dell’amore affinché la nostra vita possa diventare una testimonianza profonda
dell’amore che ascolta. Oggi più che mai l’umanità desidera una parola che
sappia infondere nel cuore la speranza. Il figlio fuggito da casa giace a
terra, prende coscienza della sua miseria quando avverte di trovarsi in una
perdizione senza rimedio, di aver toccato il fondo e grida dal profondo del suo
cuore: “Voglio andarmene e ritornare da mio Padre” (Lc.15,18). Da dove gli
viene questa sicurezza, questa fiducia? Dal semplice fatto che si tratta di suo
Padre: “Ho perduto” - dice a se stesso- “la mia qualità di figlio. Egli però
resta pur sempre mio Padre”. Ecco che il padre appena vede il figlio si
dimentica della colpa: preferisce essere padre, e perciò non si mostra come
giudice e trasforma immediatamente la sentenza in perdono. Desidera infatti il
ritorno del figlio non la sua morte. “Gli si gettò al collo e lo baciò”
(Lc15,20.
Ecco come il Padre giudica e corregge: al figlio che ha peccato, anziché
castigarlo, da un bacio. L’amore non riesce a vedere la colpa: per questo il
padre redime con un bacio il peccato del figlio, non lo espone al disonore; si
china sulle sue ferite, curandole in modo che non lascino nessuna cicatrice,
nessuna traccia. Se la condotta di questo giovane ci dispiace, se l’abbandono
della casa ci sembra un oltraggio, non allontaniamoci a nostra volta da un
Padre così misericordioso. La sola vista di questo Padre basta per mettere in
fuga il peccato, allontanare la colpa e respingere il male e la tentazione. Ma
nel caso che noi fossimo fuggiti da Lui, nel caso che avessimo commesso qualche
colpa e ci fossimo sperduti nella terra senza speranza del peccato, risolleviamoci
e ritorniamo al Padre così buono, incoraggiati dall’esempio del figliol
prodigo.