N° 5 - Maggio 2021
DANTE ALIGHIERI E LA “CITTA’” DI LUNI
di Egidio Banti


Le circostanze della storia, a volte, sono davvero singolari. Mi è venuto inevitabile pensarlo alla notizia, a fine marzo, che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, accogliendo la richiesta presentata dal Comune, aveva firmato il decreto per il conferimento a Luni del titolo di "Città". Credo che il sommo poeta Dante Alighieri mai si sarebbe aspettato che proprio Luni potesse infatti risorgere come “città”: quella Luni che era stata da lui indicata, prima ancora di altri luoghi, come segno indelebile che anche “le cittadi termine hanno”. E che, per ironia della sorte, ciò avvenisse proprio all’inizio dell’anno dedicato, in Italia e nel mondo, alle celebrazioni culturali a ricordo del settimo centenario della sua morte, avvenuta a Ravenna nel 1321. Il riferimento è ai celebri versi del XVI canto del Paradiso. In quei versi, l’avo Cacciaguida vuol descrivere a Dante i cambiamenti avvenuti nella Firenze del duecento, nel giro di alcune generazioni. Cambiamenti che hanno portato l’estinzione di antiche famiglie e il subentrare, non sempre positivo, di nuove. E così: “Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia/ come son ite, e come se ne vanno/ di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,/ udir come le schiatte si disfanno/ non ti parrà cosa nuova né forte,/ poscia che le cittadi termine anno”.

Luni, dunque, antica e gloriosa città romana, cantata dai poeti latini che Dante ben conosceva, diventa nella Commedia il simbolo della caduta di quanto nella visione del poeta è più importante di altro, la “città”, intesa come luogo principe della comunità umana. La “città” – che per Dante poi vuol dire in primo luogo Firenze, ed è dunque motivo insieme di rabbia e di nostalgia profonda – è il luogo primigenio delle aggregazioni, prima ancora che dello stato. Il che, a ben pensarci, è intrinseco alla natura stessa dei fiorentini, anche di adozione, come ci dimostra la biografia di un grande sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, che, sfidando le divisioni e i muri della guerra fredda, aveva voluto organizzare, negli anni Cinquanta del secolo scorso, il “convegno mondiale delle città”, come segno e proposta di pace a tutti i livelli. Ma torniamo a Luni. Dante, intendiamoci bene, aveva ragione. Il “se tu riguardi” del primo dei versi citati ci fa quasi vedere il poeta che, probabilmente salito al monastero della Santa Croce di capo Corvo, aveva di fronte la distesa dell’antica città ormai distrutta, dagli uomini e dalle intemperie. Nessuno, al suo tempo, con il mare che inesorabilmente si ritirava, lasciando il posto alla malaria, avrebbe potuto pensare che quella “città” tornasse in vita. Certo, si potrà dire che il riconoscimento odierno è altra cosa, visto che la zona archeologica è rimasta tale, con tutti i vincoli del caso. Ma non c’è dubbio che, nel giro di pochi anni, la “doppia mossa” delle amministrazioni che, con il consenso popolare, ha portato prima al cambio di nome del Comune, da Ortonovo a Luni, e poi alla richiesta del titolo di “città”, a quella zona archeologica, con tutta la storia millenaria che si porta dietro, resta inevitabilmente legata.

Fosse vivo, Dante, curioso com’era quant’altri mai, verrebbe di corsa a investigare come e qualmente gli uomini e le donne di sette secoli dopo siano riusciti a smentirlo. Ma certo non si sarebbe risentito, anzi. Udendo magari di lontano i versi di un altro poeta, Ugo Foscolo, le cui spoglie dormono il sonno perenne in quella stessa chiesa di Santa Croce dove c’è pure la tomba che lo aspetta, e che non lo avrà. E’ Foscolo, infatti, che nei Sepolcri ci ammonisce a comprendere, nel cammino del tempo e quindi della storia, “l’alterna/ onnipotenza delle umane sorti”. Tanto alterna da arrivare persino a smentire, potremmo dire in modo clamoroso, l’assunto del più grande poeta che l’Italia abbia dato alla cultura mondiale. Dante dunque ben si potrebbe consolare con le parole che, nel III canto del Purgatorio, prima del verso che rimanda di nuovo alla nostra terra, “tra Lerice e Turbia”, egli fa pronunciare al suo maestro e guida, Virgilio: “State contenta, umana gente, al quia,/ che se possuto aveste veder tutto/ mestier non era parturir Maria”: se sapessimo sempre tutto, e questo vale anche per Dante, non ci sarebbe stato motivo che Maria generasse il Figlio di Dio … Non c’è dubbio che tutto questo renda più bello, e a suo modo più ricco e originale, l’anno dantesco che stiamo vivendo.

Egidio Banti

P.S. – Dei legami di Dante con la Lunigiana, e delle radici cristiane che li contraddistinguono, si parlerà a partire dalle 10 di sabato 29 maggio, vigilia della festa del Preziosissimo Sangue, in un convegno online promosso dal Centro “Niccolò V” di Sarzana e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Relatori saranno tre docenti universitari esperti dell’argomento. Il programma e le modalità di partecipazione saranno resi noti, tra l’altro, sulla pagina FB del Centro


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