N° 5 - Maggio 2021
Dal diario di un parrocchiano
di Enzo Mazzini

Venerdì 19 marzo - 0ggi ricorre la solenne festività di San Giuseppe, patrono della Spezia e della nostra Parrocchia di Casano e quest'anno, a causa del distanziamento e delle limitazioni conseguenti al coronavirus, non viene celebrata la S.Messa in Arsenale come era consuetudine, ma viene celebrata solo quella solenne  nella "Chiesa madre" della città e cioè nell'abbaziale di Santa Maria Assunta che per vari secoli è stata la Chiesa  dell'unica parrocchia della Spezia e quindi, in occasione della festa del patrono, da sempre viene reso omaggio a questa tradizione storica.
Quest'anno, fra l'altro, ricorre un importante avvenimento: centocinquant'anni dal riconoscimento di San Giuseppe come patrono della Chiesa universale e, l'anno scorso, Papa Francesco ha deciso di dedicare l'anno in corso al Padre Putativo di Gesù, dando vita anche alla lettera apostolica "Patris corde".
La Santa Messa solenne viene concelebrata dal Vescovo S.E. Mons. Luigi Ernesto Palletti, dal Vicario generale Mons.Enrico Nuti e dall'Abate Parroco Mons. Ilvo Corniglia, con la partecipazione di numerosi sacerdoti e diaconi  e con la presenza di molti fedeli.
Questa la profonda omelia del Vescovo: "Celebriamo dunque la solennità di San Giuseppe, lo sposo della Vergine Maria. Lo facciamo quest'anno in modo particolare proprio perché il Santo Padre ha voluto che quest'anno fosse dedicato in modo particolare alla figura di San Giuseppe, figura fondamentale, silenziosa, apparentemente marginale rispetto alle altre. 
Di fatto, invece, sappiamo quanta importanza abbia avuto e continui ad avere innanzitutto nella vita del Signore Gesù, per quello che è stato l'evento storico del suo essere presente in mezzo a noi e per quello che oggi è il Corpo di Cristo che è la Chiesa e giustamente viene definito "Patrono della Chiesa Universale ".
Il Santo Padre ci ha lasciato quest'anno anche una sua lettera, una lettera che da una parte è un testo di magistero ma, dall'altra parte,  Lui stesso dice essere soprattutto una riflessione personale che Lui ha fatto sulla figura di S.Giuseppe e che ha voluto condividere con noi, una lettera che certamente in qualche maniera avremmo potuto già incontrare o leggere o quantomeno sentirne parlare, ma che è bello oggi ripercorrere un po' insieme, proprio perché veramente delinea la figura di questo  Santo e la delinea in quel contesto, da una parte evangelico e dall'altra parte legato proprio alla vita della Chiesa, di quella Chiesa di cui noi facciamo parte come membra vive.
Allora il S.Padre ci invita a leggere in alcune luci particolari proprio la paternità di Giuseppe: quest'uomo che ama con amore di padre. "Un uomo amato" - dice Papa Francesco. Giuseppe è amato veramente nella storia della spiritualità e posto al centro e sempre a fianco della Vergine Maria: certo, come abbiamo detto, silenzioso, però attivo, laborioso. I Santi fanno a Lui riferimento e la Chiesa stessa fa a Lui grande riferimento e prova ne è appunto quel modo di dire: "Andate a Giuseppe" che fra l'altro troviamo sempre anche sotto le statue di S.Giuseppe,  quasi a dire che veramente è quel patrono che sta vicino a noi,  in modo silenzioso, come ha fatto col Signore Gesù: silenzioso ma provvidente, attento e soprattutto fedele.
Allora questa paternità amata, amata dal popolo di Dio, ecco che entra subito in un'altra luce: una paternità che entra nella tenerezza. S.Giuseppe è l'uomo della tenerezza! In effetti nel Vangelo non si dice molto di lui, però si dice una cosa: che è sempre presente. È presente con la Santa Famiglia: La custodisce; è presente nel silenzio anche se non lo si vede immediatamente, anche quando Gesù viene trovato nel Tempio e Maria dirà: "Io e tuo padre ci preoccupavamo per non averti più  trovato ". È presente in quegli anni del silenzio di Gesù che Gesù vive nella casa di Nazareth, dove però  il Vangelo dice che stava loro sottomesso e dunque indirettamente, come in uno specchio, vediamo la presenza di Giuseppe. Ma è presente soprattutto in una dimensione che è vicina a noi: Giuseppe è un uomo straordinario ed è straordinario perché è un uomo semplicemente "comune". Non fa miracoli nella sua vita, non compie azioni eclatanti, rimane  nel più totale silenzio, quasi nell'ombra: eppure questa sua "ordinarietà di vita", questo "fare momento per momento la volontà  di Dio", quella volontà che gli si presenta anche attraverso le più semplici occasioni della vita,  fa di Lui il punto di riferimento: riferimento per la Santa Famiglia, riferimento per lo stesso Signore Gesù. Allora, alla luce di questo uomo ordinario, ovvero comune, ovvero capace di fare con semplicità ciò che deve fare,  ecco che noi abbiamo subito la capacità di leggere la nostra vita in un cammino di santità che è veramente aperto a tutti: non nelle grandi cose, non nei grandi eventi, ma nella sedentarietà silenziosa, quotidiana,  però perseverante, è sempre presente. "Giuseppe può essere così - diceva ancora il Santo Padre - perché è un uomo obbediente". Giuseppe obbedisce e obbedisce più volte: obbedisce innanzitutto a Dio.  Sappiamo che Dio si rivolge a Giuseppe attraverso i sogni, ancora secondo l'antica modalità dei Patriarchi, e per ben quattro volte l'angelo dirà a Giuseppe di compiere alcune azioni. La prima , quella di accogliere Maria: "Non temere di prendere con te Maria tua sposa". Lo abbiamo sentito oggi nel Vangelo. Ma poi gli dirà: "Vai, vai in Egitto perché il Bambino è in pericolo". Dopo, verrà richiamato dall'Egitto e poi, una volta rientrato nella terra di Israele, ancora una volta gli verrà detto: "Ritorna a Nazareth ". Ecco, Giuseppe è l'uomo che si pone nell'obbedienza, quell'obbedienza che non è fare semplicemente delle cose che gli vengono dette, ma accogliere una parola che scende su di lui,  sempre disposto all'ascolto di quella parola di Dio che per lui arriva proprio attraverso la voce dell'Angelo nel sogno. Ma quest'obbedienza continuerà perché si dice che Giuseppe era uomo giusto e dunque un uomo capace di osservare la legge di Israele, che aveva fatto dell'osservanza non semplicemente un modo per essere giusto, ma soprattutto una modalità per entrare in comunione col suo Dio: un uomo che osserva la vita del suo popolo, un uomo che si fa obbediente nelle più profonde concretezze dell'esistenza fino poi, a un certo punto,  sparire dalla scena con altrettanto silenzio. Ma proprio per questo, dice Papa Francesco, è in grado di essere accogliente: Lui che sa accogliere la parola di Dio, a sua volta sa accogliere anche l'incontro con gli altri. E allora noi troviamo l'accogliente in quell'accoglienza profonda, grande, molto bella, però anche molto misteriosa, di accogliere Maria nella sua casa, la quale sta attendendo Gesù.
Giuseppe,  ponendosi sotto la luce della parola e non ponendo Lui ragionamenti su quella parola, ma semmai iniziando a rivedere la propria esistenza alla luce di quella parola ricevuta dall'Angelo, è in grado di leggere l'evento che si sta compiendo in Maria, altrimenti sarebbe ancora lì a porsi domande, a porre domande, a fare ragionamenti, a cercare di capire, di discernere, di approfondire. Ma Giuseppe non viaggia col semplice ragionamento umano: sa mettersi sotto l'ascolto della parola sulla quale ragiona, ma ormai è illuminato da quella parola e allora sa accogliere.
Accoglie innanzitutto la sua sposa e con la sposa accoglie questo Figlio misterioso ma sappiamo fondamentale e Lo accoglie nella sua casa. Ecco, di questa accoglienza Giuseppe diventa maestro perché non avviene solo nel momento in cui, passata l'Annunciazione, l'angelo gli dice: "Non temere di prendere con te Maria" perché  prese con sé Maria e Gesù, con sé tutta la sua vita. Ecco, in quest'accoglienza noi abbiamo ancora un passaggio importante, sottolinea Papa Francesco, perché Giuseppe non è un uomo passivo, non è posto semplicemente a fianco, ma fa parte della Santa Famiglia e dunque vive un "coraggio creativo": così lo definisce Papa Francesco. Perché "coraggio creativo"? Perché a Giuseppe vengono chieste certe cose: "Prendi il Bambino e scappa", ma non viene detto come farlo. Poi gli viene detto: "Prendilo e portalo in Israele", ma non gli viene detto come farlo. Poi gli viene detto: "Vai a Nazareth", ma non gli viene detto come farlo. Da una parte c'è l'obbedienza alla parola, dall'altra parte c'è la capacità creativa di Giuseppe di tradurre quella parola dentro la propria vita. Certo, "Portalo a Nazareth" e lui la traduce subito: debbo lavorare per Lui e per la famiglia dove può crescere. Ecco, questa capacità creativa che il Signore ci chiede quando siamo di fronte alla Parola: non con un atteggiamento militaristico, quasi che ad un comando debba seguire immediatamente un'azione, ma quel rivolgerci ascoltando Dio, quel Dio che da una parte mi coinvolge, mi chiede, mi illumina, ma mi  chiede anche di essere creativamente suo discepolo, suo figlio. Giuseppe in questo è maestro e dovremmo rileggere quelle pagine proprio per costruire, momento per momento, nella parola di Dio, costruire la nostra vita dentro la responsabilità della nostra esistenza. "Allora Giuseppe non può che essere lavoratore" - dice il Santo Padre. Certo, se lavoro vuol dire edificare quel regno di Dio che ci viene dato gratuitamente ma che, come un seme, ha bisogno di essere custodito e fatto crescere, ecco che Giuseppe è la figura più bella, è la figura di Colui che addirittura di quel regno fa crescere il seme fondamentale: il Signore Gesù il quale, quale Dio, è vero Dio ma, in quanto uomo, cresce con Giuseppe, impara da Giuseppe,  diventa uomo pieno con Giuseppe, porterà nella sua vita, anche in certi tratti della sua predicazione, ciò che in un certo qual modo può aver visto fare o ha fatto  lui stesso con Giuseppe e Giuseppe, di quel lavoro, ecco che trae quasi l'identità. Nel Vangelo, quando si parla di Gesù, per dare l'identità a Giuseppe si dice "il figlio del falegname". Quel lavorare dà identità a quest'uomo.
Allora, non più il lavoro fatto in maniera più o meno triste, semplicemente per sostenere la propria vita, ma si intende un lavoro che è costruttivo per il Regno dei Cieli e che dà identità ad ognuno di noi, qualunque esso sia, nella misura in cui sia buono e sia conforme alla parola di Dio. Ma anche in Giuseppe che è un lavoratore ed abbiamo visto quanto è importante questo ed ancor più vero è che Giuseppe è l'uomo del "silenzio". È il padre nel silenzio e su di Lui non abbiamo una parola! Certo, ne avrà dette molte, ma il Vangelo non ne riporta neanche una. Di Maria ne riporta molto poche, di Giuseppe non ne riporta niente. Oggi si usa dire, quando una persona agisce ma senza parlare, nel bene o nel male,  che fa un silenzio assordante: Giuseppe fa un silenzio eloquente! Giuseppe non grida, Giuseppe parla col suo silenzio perché quel silenzio è fatto di fedeltà, è fatto di amore sincero, è fatto di presenza, di vicinanza, è fatto di fede, è  fatto di "cammino insieme", è  fatto di quella capacità che poi lo dirà dopo il Battista stesso riferendosi a Gesù, lo vede crescere e diminuire. Ecco, potremmo dire che il Battista dice, con verità, vivere, crescere e diminuire perché in quel momento potevano pensare che fosse il Battista il Messia. Giuseppe non deve dire neanche questo perché Giuseppe non è mai cresciuto: è sempre stato diminuito,  è sempre stato silenzioso, e sempre stato semplicemente servo e, proprio perché servo, é un discepolo eminente del Vangelo di Cristo.
Lo accogliamo così perché Giuseppe entri nella nostra vita, sia nostro Patrono nel Cielo e sia nostro modello nel camminare qui sulla terra, come testimone di Cristo ".
Domenica 28 marzo - Molto profondo è il messaggio del nostro Vescovo,  S.E.Mons.Luigi Ernesto Palletti, in occasione della Pasqua di Risurrezione, messaggio che riporto integralmente: "Se siete risorti con Cristo, cercate le  cose di lassù,  dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3 , 1). Così l'Apostolo Paolo si rivolge ai Colossesi. Non è l'invito ad abbandonare le proprie responsabilità, ma l'esortazione a leggere ogni momento della nostra vita alla luce dell'evento decisivo per la storia dell'uomo, la risurrezione di Cristo.
Anche quest'anno siamo giunti alla celebrazione della  Santa Pasqua. L'esclamazione "Cristo è risorto; sì è veramente risorto", che per i cristiani, soprattutto in Oriente, diviene il saluto più bello e significativo da rivolgere nel tempo pasquale, deve rimanere il nostro spirito. Stiamo vivendo ancora nell'emergenza sanitaria a causa della epidemia da Covid - 19. Il dolore e la sofferenza fisica, spirituale e morale continuano a segnare i corpi e le anime di molti nostri fratelli e sorelle. Le preoccupazioni economiche e sociali non mancano. La solidarietà si fa sentire nel cercare di assicurare vicinanza e prossimità e la scienza sta facendo grandi passi per debellare questo virus. Tuttavia il cuore dell'uomo non cessa di cercare un senso ancora più profondo alla propria esistenza.
Come credenti siamo esortati a dare testimonianza alla speranza che è in noi. A riscoprire la bellezza del Vangelo. La parola di Dio è vera luce, capace di dissipare le tenebre del nostro cuore. Ciò che è risuonato nella vita dei primi discepoli e che fedelmente ci hanno trasmesso non può essere tenuto come un tesoro privato: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita.....noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1 Gv 1, 1, 3). Anche noi siamo chiamati ad annunciare il cuore della nostra fede, a diffondere il "buon profumo di Cristo" (cfr. 2Cor 2 , 15), ad annunciare un Dio di misericordia che, nella chiarezza di ciò che è bene e di ciò che è male, si accosta ad ognuno di noi per offrirci cammini di conversione sincera e concreta. E tutto ciò lo fa con quella pazienza che sa attendere con perseveranza di Padre, così come ci viene narrato nella parabola del Figlio prodigo. Il suo è un amore che previene e accompagna. Infatti "Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5 , 8 ). È un amore di gratuità.
Questo non ci dispensa, però, dal dare la nostra risposta libera e cosciente. A noi, come ai suoi primi discepoli, viene rivolta ancora una volta quella parola che interpella: "Se vuoi essere perfetto...vieni!  Seguimi!" (Mt 19 , 21). Cristo, con la sua grazia, libera la nostra vita dal peccato, ma nel contempo esige un'adesione di fede a lui. Ecco perché diviene fondamentale un rinnovato annunzio evangelico, come anche un attento ascolto del Signore che parla. San Paolo  ce lo ricorda nella lettera ai Romani: "Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?" (Rm 10, 14 ). Nel contempo anche la testimonianza della vita dev'essere ripresa in tutta la sua forza, infatti: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore glip uni per gli altri" (Gv 13, 35). Molti sono gli impegni e i gesti concreti di carità: riscoprire il dono di un po' di tempo da dedicare all'ascolto di coloro che sono soli, compiere gesti di prossimità - magari con qualche piccolo, ma essenziale servizio - , risanare fratture o tensioni con il dono del perdono,  offrire la preghiera per quelle situazioni che sembrano insuperabili. Affidiamo tutto ciò alla fantasia della carità e non cessiamo di esserne operatori semplici e autentici.
A tutti, dunque, chiedo e assicuro un ricordo nella preghiera, con l'augurio di poter vivere l'evento pasquale nella comunione col Signore risorto, liberi dal peccato che forma la tenebra nei nostri cuori. La novità della Pasqua di Risurrezione, accolta con cuore sincero, ci renda sempre più fermi nella fede, perseveranti nella speranza e operosi nella carità".
Giovedì 1 aprile  - Molto commoventi i riti della Settimana Santa  e molto profonde le esortazioni del nostro Vescovo che, per carenza di spazio disponibile, posso riportare solo molto parzialmente.
Partendo dal Giovedì Santo, davvero significativa è  la S.Messa crismale nella quale il Vescovo consacra il crisma (unguento), unitamente all'olio dei catecumeni ed all'olio degli infermi e quindi vengono consacrati i cosiddetti "oli santi". Il crisma verrà poi utilizzato nel Battesimo, nella Cresima e nell'Ordinazione dei Presbiteri e dei Vescovi, mentre l'olio dei catecumeni viene usato nel Battesimo  e l'olio degli infermi viene usato per l' Unzione degli infermi.
Alla Messa crismale, presieduta dal Vescovo, partecipano tutti i sacerdoti della Diocesi, a significare l'unità della Chiesa locale, raccolta attorno al proprio Vescovo. Inoltre in questa Messa tutti i sacerdoti rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione.
"Ecco riscoprire le radici della nostra esistenza sacerdotale - afferma il Vescovo - riscoprire le promesse con le quali il Signore ha voluto segnare la nostra vita, vuol dire riscoprire la radice di quella profezia che ci permette di guardare e di dire: "Domani ci sarà e, qualunque modo sarà, io lo debbo abitare da figlio di Dio, da discepolo di Cristo, da testimone del suo Vangelo". Allora diventeremo profezia per il mondo, acclamati, non acclamati: non serve a nulla. L'ingresso in Gerusalemme insegna. Ma autentici sì! Autentici in questa parte dell 'unica Chiesa, di un unico cammino, di un'unica fede, di un'unica testimonianza, di un unico corpo presbiterale, perché no? Siamo presbiterio, siete presbiterio col Vescovo,  un'unica voce, un'unica solidarietà, un'unica luce che percorre, attraverso sia pure canali diversi, tutto quello che è il tessuto della nostra Chiesa e deve irrorare quel tessuto con la verità  dell'Evangelo. Ecco questo noi siamo chiamati ad essere. Chiediamo al Signore Gesù che ci dia la forza ed impegnamoci perché  in quelle promesse che fra poco rinnoverete e rinnoveremo insieme, ci sia anche quell'adesione, quello che in fondo Pietro dice, senza contare sullo Spirito: "Sarò con Te fino alla morte". Ecco, senza lo Spirito non ci si fa, ma con lo Spirito è possibile testimoniare quotidianamente l'annuncio del Vangelo".
Molto commoventi  anche i riti del Venerdì Santo di cui, per motivi di spazio, posso riportare solo la parte finale dell'omelia del Vescovo: "Cristo morendo nel punto più basso dell'umanità ha fatto sì che sotto quel punto non ci potesse essere nessuno, ma da quel punto in poi tutti potessero essere riacquisiti nell'amore del Padre ed allora ecco il nome, quel nome donato che è al di sopra di ogni altro nome, quel nome che, invocato veramente,  dona salvezza,  dona identità, dona luce, dona sapienza e dona la possibilità di leggere anche il momento della Croce nella luce della gloria. Non per altro nei Vangeli si dice che in quel momento si fece buio su tutta la terra: il sole non poteva più splendere, ma non poteva più splendere non perché erano prevalse le tenebre, ma perché la luce di Cristo era talmente potente che aveva anche oscurato la luce del sole e per vedere questa luce ci vuole la fede. Senza la fede qui vediamo solo la sconfitta; con la fede qui vediamo la vittoria.
Accogliamolo così e insieme viviamo questo nostro Venerdì di Passione per poi incamminarsi verso la gloria della Resurrezione".



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