N° 4 - Aprile 2021
I nostri fratelli maggiori
di Giuliana Rossini


La storia antica liquida gli Ebrei con poche righe. Di fatto a differenza dei popoli loro contemporanei, non hanno compiuto eccezionali imprese, non grandi battaglie, non hanno costruito imperi, ne straordinari edifici come le ziggurat e le piramidi, essendo un popolo essenzialmente nomade.
Avevano però una ricchezza che ai più non può apparire tale, ma che li innalzava sopra di tutti: credevano in un unico Dio, trascendente, che abitava nei cieli, puro Spirito al di là delle meschinità piccolezze degli dei degli altri popoli circostanti, spesso raffigurati come grotteschi animali, con difetti e vizi simili a quelli degli uomini. Potrebbe apparire diversamente, ma il Dio degli Ebrei è “pietoso e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore”.
Egli è il buon pastore che ama le sue pecore e le conduce a pascoli erbosi e ad acque tranquille.

Certo punisce coloro che non contraccambiano il suo amore, ma lo fa con dolore, quasi andando contro la propria natura, pronto al perdono in caso di pentimento del suo popolo. Infatti “non serba per sempre la Sua ira, ma si compiace di manifestare il suo amore”. (Michea 7,14-20). Isaia (49,8-15) ci dice che il signore non può dimenticarsi dei suoi fedeli, come una donna non può non commuoversi per il figlio delle sue viscere, quasi a dire che Dio è per noi Padre e Madre contemporaneamente. La sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita. Anche i salmi sono un canto d’amore fra Dio e gli uomini, sulla Sua tenerezza che si spande su tutti.
Non sono una profonda conoscitrice dell’Antico Testamento, ma là si racconta di un padre pronto a sacrificare il suo unico figlio, dono avuto in tarda età, pur di obbedire alla volontà di Dio (prefigurazione del sacrificio di Gesù).

Oggi ciò stride un po’ con la nostra mentalità moderna, ma per Abramo fu un grande gesto d’amore che ci fa percepire l’amore del Padre celeste per l’umanità intera.
Quando il popolo smarrisce la retta via, il Padre Misericordioso manda i suoi profeti per raddrizzarla, non avranno una buona accoglienza, tuttavia le loro luminose parole restano come un dono prezioso per tutti gli uomini di buona volontà.

Gesù è Ebreo figlio di Ebrei e non poteva nascere che là dove tutti aspettavano da secoli il Messia, annunciato solennemente dai profeti.
Quando i tempi furono maturi il Cristo venne, ma i suoi non lo riconobbero. Certo Egli non fu tenero nei confronti della classe sacerdotale dominante e dei suoi comportamenti lontani dagli antichi insegnamenti. Li chiamò sepolcri imbiancati Perché volevano apparire come non erano e sottolineò che cercavano di scaricare ogni peso sulle spalle della povera gente. Soprattutto aggiunse che volevano essere i primi in ogni situazione, mentre Lui predicava che chi voleva essere il primo doveva farsi ultimo e servo di tutti. Infine fece una frusta con delle cordicelle, rovesciò i banchi dei mercanti del tempio e li cacciò dalla casa del Padre Suo, trasformata in una spelonca di ladri.

Si capisce che tutto ciò non poteva che irritare la classe dominante che tramò, riuscendovi, per mandare Gesù a morte.
Ma per questo Lui era venuto, per salvare con la Sua vita (la vita di un Dio!) l’umanità intera. Egli aveva previsto tutto: “Se il seme caduto a terra non muore non porta frutto” aveva annunciato e anche” quando sarò innalzato attirerò tutti a Me”. E così avvenne.

Risorgerà dopo tre giorni vincendo per sempre la morte.
Ma per coloro che lo avevano rifiutato la punizione non si fece attendere: furono cacciati dalla loro vigna che fu affidata ad altri e persero la prerogativa di essere il popolo di Dio.

Gli Ebrei però, rimangono depositari di un immenso patrimonio spirituale e culturale; sono, come ebbe a dire, il Santo Padre Giovanni Paolo II, i nostri fratelli maggiori, coi quali possiamo e dobbiamo dialogare, mettendo in comune le ricchezze reciproche per cercare di realizzare un mondo migliore.



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