L A
G R A Z I A
1. Nel
numero scorso del Sentiero ho brevemente esaminato il significato e il valore
delle virtù cardinali e teologali, conseguenza logica è parlare anche della grazia,
loro stretta parente.
Fede, Speranza, Carità = Grazia
Questa è un’espressione
palindroma, cioè, si può leggere da sinistra verso destra e da destra verso
sinistra, infatti fede, speranza e carità rappresentano la grazia, mentre la
grazia si esprime con la fede, la speranza e la carità. Non è un gioco di
parole, basta riflettere un attimo: la grazia in cosa consiste e come si
manifesta se non con la fede nella verità rivelata da Dio-Creatore, se non con
la speranza del nostro futuro eterno avvolti nella luce divina, e, se non con
la carità-amore del Padre verso di noi e la nostra verso i fratelli, in
particolare, quelli più deboli e fragili o avversi? Ecco perché la grazia non è un concetto
astratto che si esaurisce nelle parole di quell’espressione palindroma. La
grazia è un percorso di vita con un obiettivo finale chiaro e preciso che
prevede atti e gesti concreti indicati dalle virtù cardinali; infatti queste ultime
suggeriscono come dare esecutività alle virtù teologali, che a loro volta, come
detto, indicano la grazia. Come si può notare è un circolo virtuoso che
giustifica appieno e dà valore al vivere quotidiano di ciascuno, se accolto e
fatto proprio. “La grazia si chiama
grazia perché è gratis, altrimenti si chiamerebbe premio, ma la grazia suppone
la gratitudine altrimenti si estingue. Questo vale davanti a Dio e davanti agli
uomini.” (Adolfo L’Arco).
Tentiamo di dare una definizione semplice: la grazia è dono gratuito di Dio, messo in opera
attraverso l’incarnazione del Figlio Unigenito e un perdono che rigenera
spiritualmente la creatura umana che può tornare a dialogare con il suo
Creatore.
Spesso si tende a contrapporre giudaismo e cristianesimo, Legge e amore, il Dio
dell’Antico Testamento (A.T.) come
il Dio della Legge, giudice severo che impone sudditanza piena e totale e il
Dio di Gesù ( Nuovo Testamento ) che è il Padre buono, il
Dio dell’amore che abolisce ogni distanza e si fa prossimo a ogni persona in
una reciproca ricerca. Alcune espressioni presenti nella primissima letteratura
cristiana sembrano confermare questa tesi.
Un esempio per tutte. Nella lettera ai Romani (6,14–16) si afferma che
l’accesso a godere la gloria di Dio non dipende più dall’osservanza della
Legge, ma si basa ormai tutto sulla speranza e sulla fiducia nell’opera
salvatrice compiuta da Gesù. Questa interpretazione dell’A.T. non è corretta come
lo dimostra la realtà delle Scritture, ma ha una sua giustificazione: forte era
il contrasto tra chi riteneva necessaria la circoncisione e chi invece la
riteneva un’indebita imposizione prima del battesimo ai non ebrei che
intendevano convertirsi. In pratica era la contrapposizione tra chi intendeva
il cristianesimo una costola diretta dell’ebraismo e chi ne rivendicava la sua
piena autonomia teologica. La lettera ai Romani, che non sono ebrei, sotto
questo aspetto è significativa. Nella
storia d’Israele Dio si manifesta con l’iniziativa di liberazione e di
alleanza, di ricostruzione di un rapporto dialogante e amicale. Infatti Dio
libera il suo popolo dalla schiavitù e lo educa progressivamente ad affidarsi a
Lui, attraverso il Decalogo, inteso come indirizzo e guida al fine di trovare
la propria vera identità. E Israele, a poco a poco, impara a riconoscere il suo
Dio come un amico, alleato e salvatore con cui dialogare. Il modo di
manifestarsi può sembrare diverso, perché il non apparire mai lo fa sentire
lontano e un po’ freddo, ma l’agire di Dio è sempre improntato sull’amore: “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti
conservo ancora benevolenza.” (Ger31,3) Questo amore è assolutamente libero
e volontario – “farò grazia a chi vorrò
far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia.” (Es 33,19)
– e, in modo particolare, non presenta nessuna logica di scambio (do ut des),
ma è la gratuita volontà di Dio: “il
Signore si è legato a voi e vi ha scelti perché vi ama.” (Dt 7, 7-8). Da
quanto detto si evince che Dio ha instaurato con il suo popolo un dialogo di
amicizia e di amore forte e delicato: “Non
temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.
Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno, se
dovrai passare in mezzo al fuoco non ti scotterai, la fiamma non ti potrà
bruciare, perché io sono il Signore tuo Dio (…. ); tu sei prezioso ai miei
occhi, perché sei degno di stima e io ti amo.” (Is 43, 2-4) I vocaboli
fondamentali per comprendere il modo di operare e di essere di Dio sono bontà e
fedeltà, grazia e verità; infatti “I
sentieri del Signore sono verità e grazia”, ribadisce il Salmo 25,10.
Sicuramente nei secoli si è stratificata un’idea dicotomica tra il Dio dell’A.T.
e quello del N.T. Forse l’approccio del mondo ebraico al divino
e al Decalogo
(Legge mosaica), inteso come legge da obbedire, quasi subendola come un
obbligo, per potersi meritare ed essere il solo popolo eletto e protetto,
mentre la presenza fisico-corporea del Figlio Unigenito, Gesù, inviato per
essere, con la sua predicazione e morte, testimone diretto della volontà divina
e della vicinanza del Padre verso la sua creatura umana, ha portato a pensare
due aspetti diversi della stessa divinità. Gesù non è venuto a smentire il
Padre, bensì a confermare e a sigillare la testimonianza concreta della volontà
del Padre e del suo amore. (Continua, 1)