Domenica 7 marzo – Terza di
Quaresima - (Giovanni
2, 13 - 25)
“Si avvicinava la Pasqua dei Giudei…” inizia il brano
evangelico della liturgia odierna, e la frase vale anche per noi: la Pasqua è
il momento centrale dell’anno liturgico e della vita cristiana. Non a caso la
Chiesa – nel testo di annuncio delle feste mobili che abbiamo ascoltato il
giorno dell’Epifania – chiama la domenica “Pasqua della settimana”. Tutto per
noi si concentra e si ricapitola nella Pasqua. Anche per questo motivo, oggi,
la liturgia dell’anno si discosta dalla lettura dei brani di Marco, propria
dell’anno B, per proporci un testo di Giovanni. Giovanni è, tra gli
evangelisti, colui che più si concentra nella descrizione delle catechesi con
cui Gesù prepara i discepoli al momento difficile della sua morte, ma anche
alla prospettiva eucaristica ed escatologica della risurrezione. Oggi la frase
centrale riguarda appunto l’annuncio con cui Gesù paragona se stesso al tempio
di Gerusalemme: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”.
Giovanni stesso annota: “Egli parlava del tempio del suo corpo”. Nasce di qui
il fondamento della nostra fede, che non è fede in un pensiero astratto, bensì
in una Persona, Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Per questo il nostro
vescovo, Luigi Ernesto Palletti, nel messaggio alla diocesi per la Quaresima di
quest’anno, ha sottolineato come la frase “Convertitevi e credete al Vangelo”
significhi, in realtà, non solo credere al testo di un libro ma anche ed in
particolare “seguire Colui che è la lieta notizia che il Padre ha mandato, il
Signore Gesù”. E’ Gesù il vero “Vangelo”, ovvero la “buona notizia” vivente con
noi, sino alla fine del tempo. Il brano odierno, con il parallelo tra Gesù
stesso e il tempio, ce lo conferma.
Domenica 14 marzo – Quarta di
Quaresima (Giovanni 3, 14 - 21)
Un tempo questa era l’ultima domenica del tempo di
Quaresima, che ne prevedeva solo quattro, essendo seguito dalle due domeniche
dette di Passione. Oggi le domeniche di Quaresima sono considerate cinque.
Resta il fatto che si intravvede ormai la sua conclusione. Così, nella liturgia
odierna, il rigore penitenziale si attenua e già fa capolino la gioia della
Pasqua ormai vicina. Non a caso, dalla prima parola della liturgia latina,
questa si chiama la domenica “Laetare”, verbo latino che vuol dire “Rallegrati”.
Ed anche il viola dei paramenti talora viene sostituito dal rosaceo. Il Vangelo
è ancora di Giovanni, con un brano molto ricco di temi, tra i quali quello
della luce, che è uno dei grandi temi giovannei. Già nel primo capitolo del
quarto Vangelo, infatti, Gesù viene indicato come “la Luce vera”, che illumina
il mondo immerso nelle tenebre. Sembra una contrapposizione radicale, che
simboleggia quella tra il bene e il male. Ma la luce e le tenebre non possono
essere poste sullo stesso piano: “Dio,
infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché
il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Ovvero perché la Luce, rappresentata da
Cristo, innalzato sulla croce, sconfigga in via definitiva le tenebre. A una
condizione, però, che vale per ciascuno di noi: “Chi crede in lui non è
condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel
nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Dobbiamo dunque credere in Cristo e
convertirci a Lui per essere salvi.
Domenica 21 marzo – Quinta di
Quaresima (Giovanni 12, 20 - 23)
Il brano odierno del Vangelo, tratto ancora dal
Vangelo di Giovanni, mette in primo piano le figure di Andrea e di Filippo.
Fratelli di Pietro, erano pescatori a Betsaida, come anche i figli di Zebedeo,
ovvero Giacomo e Giovanni. Forse anche per questo, tra gli evangelisti, è
proprio Giovanni a parlare più degli altri di loro, sottolineando, in
particolare per Filippo, il ruolo di segretario e quasi, diremmo oggi, di
“addetto stampa” di Gesù. Anche in questo caso è proprio Filippo colui al quale
si rivolgono alcuni greci, interessati a conoscere il Signore. E’ verosimile,
dunque, che, al contrario degli altri apostoli, egli conoscesse la loro lingua.
L’episodio, che in qualche modo anticipa l’apertura del cristianesimo ai
“gentili”, ovvero ai non ebrei, apertura che gli Atti degli apostoli
confermeranno in pieno, è l’occasione per una nuova catechesi di Gesù sulla sua
ormai imminente morte e risurrezione: “Se
il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto”. Gesù riconosce, in forza della natura umana che in lui
si affianca a quella divina, di essere “turbato” per quanto lo attende, come
confesserà anche nella preghiera al Padre la notte del tradimento. Come tutti siamo
turbati, quando pensiamo alla sofferenza e alla morte. Ma Gesù è consapevole di
come, nel suo sacrificio umano, sia implicita la salvezza eterna, non certo e
non solo per Lui, ma per tutti noi, se saremo fedeli nel seguirlo.
Domenica 28 marzo – Domenica
delle Palme (Marco 14, 1- 15, 47)
Il Vangelo odierno è particolarmente lungo, in
quanto la sua lunghezza si collega con l’assoluta centralità di quanto viene
letto, non solo nella liturgia, ma nella fede stessa della Chiesa. Uno dei due
misteri fondamentali della fede è infatti, come ricorda il catechismo, la
“Incarnazione, passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo”: ebbene, due dei
tre eventi, la passione e la morte, sono proprio racchiusi nel brano di oggi.
Che, dunque, va seguito e meditato con la massima concentrazione, magari
facendo forza alla stanchezza. Il testo che viene letto, in questo che è l’anno
B del lezionario, è quello di Marco. E’ il più breve dei quattro racconti della
passione, ma dal testo promana un senso di grande efficacia, diremmo plastica,
quasi fotografica. C’è un passaggio, del resto, che appare curioso, quasi ridondante,
e invece non lo è: “Allora tutti lo
abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso
soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo,
fuggì via nudo”. Le fonti antiche della Chiesa ci raccontano che il ragazzo che
fugge via altri non era se non lo stesso Marco, discepolo di Pietro, che
racconta di aver seguito Gesù sin quando aveva potuto, riuscendo comunque, e
non per tradimento, a fuggire via per evitare la cattura. Marco intende, con quel passaggio, porre quasi la sua
“firma” di testimone autentico a un racconto che, come sappiamo, sfiderà i
secoli. Aprendo la via alla storia di tante persone martirizzate proprio per la
fede in Cristo. Il primo martire è Gesù: proprio per questo, oggi, i paramenti
dei sacerdoti sono di colore rosso, e non violaceo, perché il racconto della
passione è il racconto del primo e fondamentale martirio, della prima e
ovviamente più grande testimonianza di fede.