N° 3 - Marzo 2021
COMMENTO ai VANGELI – Marzo 2021, Anno B
di Egidio Banti

 

 

Domenica 7 marzo – Terza di Quaresima  - (Giovanni 2, 13 - 25)

“Si avvicinava la Pasqua dei Giudei…” inizia il brano evangelico della liturgia odierna, e la frase vale anche per noi: la Pasqua è il momento centrale dell’anno liturgico e della vita cristiana. Non a caso la Chiesa – nel testo di annuncio delle feste mobili che abbiamo ascoltato il giorno dell’Epifania – chiama la domenica “Pasqua della settimana”. Tutto per noi si concentra e si ricapitola nella Pasqua. Anche per questo motivo, oggi, la liturgia dell’anno si discosta dalla lettura dei brani di Marco, propria dell’anno B, per proporci un testo di Giovanni. Giovanni è, tra gli evangelisti, colui che più si concentra nella descrizione delle catechesi con cui Gesù prepara i discepoli al momento difficile della sua morte, ma anche alla prospettiva eucaristica ed escatologica della risurrezione. Oggi la frase centrale riguarda appunto l’annuncio con cui Gesù paragona se stesso al tempio di Gerusalemme: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Giovanni stesso annota: “Egli parlava del tempio del suo corpo”. Nasce di qui il fondamento della nostra fede, che non è fede in un pensiero astratto, bensì in una Persona, Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Per questo il nostro vescovo, Luigi Ernesto Palletti, nel messaggio alla diocesi per la Quaresima di quest’anno, ha sottolineato come la frase “Convertitevi e credete al Vangelo” significhi, in realtà, non solo credere al testo di un libro ma anche ed in particolare “seguire Colui che è la lieta notizia che il Padre ha mandato, il Signore Gesù”. E’ Gesù il vero “Vangelo”, ovvero la “buona notizia” vivente con noi, sino alla fine del tempo. Il brano odierno, con il parallelo tra Gesù stesso e il tempio, ce lo conferma.

 

Domenica 14 marzo – Quarta di Quaresima (Giovanni 3, 14 - 21)

Un tempo questa era l’ultima domenica del tempo di Quaresima, che ne prevedeva solo quattro, essendo seguito dalle due domeniche dette di Passione. Oggi le domeniche di Quaresima sono considerate cinque. Resta il fatto che si intravvede ormai la sua conclusione. Così, nella liturgia odierna, il rigore penitenziale si attenua e già fa capolino la gioia della Pasqua ormai vicina. Non a caso, dalla prima parola della liturgia latina, questa si chiama la domenica “Laetare”, verbo latino che vuol dire “Rallegrati”. Ed anche il viola dei paramenti talora viene sostituito dal rosaceo. Il Vangelo è ancora di Giovanni, con un brano molto ricco di temi, tra i quali quello della luce, che è uno dei grandi temi giovannei. Già nel primo capitolo del quarto Vangelo, infatti, Gesù viene indicato come “la Luce vera”, che illumina il mondo immerso nelle tenebre. Sembra una contrapposizione radicale, che simboleggia quella tra il bene e il male. Ma la luce e le tenebre non possono essere poste sullo stesso piano: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Ovvero perché la Luce, rappresentata da Cristo, innalzato sulla croce, sconfigga in via definitiva le tenebre. A una condizione, però, che vale per ciascuno di noi: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Dobbiamo dunque credere in Cristo e convertirci a Lui per essere salvi.

 

Domenica 21 marzo – Quinta di Quaresima (Giovanni 12, 20 - 23)

Il brano odierno del Vangelo, tratto ancora dal Vangelo di Giovanni, mette in primo piano le figure di Andrea e di Filippo. Fratelli di Pietro, erano pescatori a Betsaida, come anche i figli di Zebedeo, ovvero Giacomo e Giovanni. Forse anche per questo, tra gli evangelisti, è proprio Giovanni a parlare più degli altri di loro, sottolineando, in particolare per Filippo, il ruolo di segretario e quasi, diremmo oggi, di “addetto stampa” di Gesù. Anche in questo caso è proprio Filippo colui al quale si rivolgono alcuni greci, interessati a conoscere il Signore. E’ verosimile, dunque, che, al contrario degli altri apostoli, egli conoscesse la loro lingua. L’episodio, che in qualche modo anticipa l’apertura del cristianesimo ai “gentili”, ovvero ai non ebrei, apertura che gli Atti degli apostoli confermeranno in pieno, è l’occasione per una nuova catechesi di Gesù sulla sua ormai imminente morte e risurrezione: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Gesù riconosce, in forza della natura umana che in lui si affianca a quella divina, di essere “turbato” per quanto lo attende, come confesserà anche nella preghiera al Padre la notte del tradimento. Come tutti siamo turbati, quando pensiamo alla sofferenza e alla morte. Ma Gesù è consapevole di come, nel suo sacrificio umano, sia implicita la salvezza eterna, non certo e non solo per Lui, ma per tutti noi, se saremo fedeli nel seguirlo.

 

 Domenica 28 marzo – Domenica delle Palme (Marco 14, 1- 15, 47)

Il Vangelo odierno è particolarmente lungo, in quanto la sua lunghezza si collega con l’assoluta centralità di quanto viene letto, non solo nella liturgia, ma nella fede stessa della Chiesa. Uno dei due misteri fondamentali della fede è infatti, come ricorda il catechismo, la “Incarnazione, passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo”: ebbene, due dei tre eventi, la passione e la morte, sono proprio racchiusi nel brano di oggi. Che, dunque, va seguito e meditato con la massima concentrazione, magari facendo forza alla stanchezza. Il testo che viene letto, in questo che è l’anno B del lezionario, è quello di Marco. E’ il più breve dei quattro racconti della passione, ma dal testo promana un senso di grande efficacia, diremmo plastica, quasi fotografica. C’è un passaggio, del resto, che appare curioso, quasi ridondante, e invece non lo è: “Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo”. Le fonti antiche della Chiesa ci raccontano che il ragazzo che fugge via altri non era se non lo stesso Marco, discepolo di Pietro, che racconta di aver seguito Gesù sin quando aveva potuto, riuscendo comunque, e non per tradimento, a fuggire via per evitare la cattura. Marco intende, con quel passaggio, porre quasi la sua “firma” di testimone autentico a un racconto che, come sappiamo, sfiderà i secoli. Aprendo la via alla storia di tante persone martirizzate proprio per la fede in Cristo. Il primo martire è Gesù: proprio per questo, oggi, i paramenti dei sacerdoti sono di colore rosso, e non violaceo, perché il racconto della passione è il racconto del primo e fondamentale martirio, della prima e ovviamente più grande testimonianza di fede.



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