Proseguiamo la pubblicazione – per la loro
importanza in linea con lo spirito del “Sentiero” – delle relazioni tenute al
convegno di Sarzana a ricordo di padre Vincenzo Damarco. Quella di oggi è la
relazione di Gaetano Lettieri, docente di Storia del cristianesimo
all’Università di Roma – La Sapienza e componente del Pontificio Comitato di
Scienze storiche. Il titolo della relazione era “La figura e il pensiero di
padre Damarco quale emerge dai Commenti ai Vangeli”.
La
lezione che padre Vincenzo Damarco ci offre attraverso il suo Commento ai Vangeli
la riconosco nella passione e nella generosità che i suoi amici e ‘discepoli’
testimoniano continuamente. Quando Paola Gari è venuta a trovarmi alla Sapienza
per parlarmene, non conoscevo padre Damarco e tanto meno sapevo delle sue
opere. Ebbene, prima di entrare nel cuore del mio contributo a questo convegno,
mi preme far sapere che nella mia facoltà ho assegnato già due tesi di laurea
su padre Damarco e che intendo organizzare un seminario sulla sua figura e
sulle sue opere che coinvolga anche la congregazione dei vincenziani. Infine
non si può non accogliere con grande interesse la novità costituita dalla
prossima catalogazione del fondo padre Damarco che comprenderà, oltre alla sua
biblioteca, anche i testi con in quali dialogano le su opere…
Nel
Commento ai Vangeli, padre Damarco si propone in primo luogo di andare il più
direttamente possibile a quanto in essi considera essenziale e che emerge per profondità, semplicità e radicalità. La
prima caratteristica che si ritrova è la capacità di rimanere fedele alla
tradizione e nel contempo di riuscire, per così dire, a decostruire il dogma per
impedirne la sclerotizzazione come la sua riduzione a legge morta: obiettivo programmatico
è la trasformazione del dettato dei Vangeli in esperienza di vita.
Un
secondo elemento fondamentale, che è stato esemplarmente sottolineato da don
Giovanni Cereti nella sua introduzione alla seconda edizione del Commento, è
costituito dall’adozione del metodo storico critico. Attraverso quel metodo
padre Damarco è in grado di scandagliare in profondità il contenuto dei testi
sacri senza cedere però all’ostentazione di tecnicità interpretative o di
capziosità gratuite. Proprio alla luce dell’adozione del metodo storico critico
si deve leggere, per esempio, l’importanza accordata alle differenze e
divergenze fra i diversi Vangeli e in particolare a quelle che oppone il blocco
dei i sinottici agli scritti di Giovanni. A questo proposito si deve
sottolineare come padre Damarco riesca a dare conto di quella opposizione facendo
nel contempo emergere la profonda unità di ispirazione di tutti e quattroche si
traduce in una sorta di potenza vivificante e unificante.
Un
altro tema particolarmente importante è, se posso così definirla, la “critica
alla religione”, espressione ambigua che può assumere un segno sia positivo sia
negativo e che rimanda al teologo Karl Barth, in particolare al suo commento
alla Lettera ai Romani, scritto a ridosso della prima guerra mondiale. In esso,
come nelle pagine di padre Damarco, si può rilevare l’attenzione rivolta alla
tensione insopprimibile tra religione e Vangelo con il Vangelo che permette di
infrangere la cristallizzazione interpretativa della tradizione religiosa.
Barth e padre Damarco, ritrovano nei Vangeli un’energia che permette di
riattualizzarli continuamente ed è attingendo a quella energia, che ne
costituisce l’ispirazione, che il cristiano è chiamato a farne un elemento
fondativo del vivere nella società.
Cercherò
di esemplificare tutto questo attraverso la lettura di alcuni passi di due
omelie di padre Damarco. Comincerei con il secondo commento al Vangelo di
Giovanni: capitolo 16, versetti 12-15, festa della Santissima Trinità. La
nozione di Trinità è senza dubbio tra le più complesse, travagliate e discusse
della tradizione cristiana. Nella Chiesa ortodossa la definizione di essa non
avviene che a partire dal quarto secolo e sembrerebbe perciò rimanere molto
distante, per non dire estranea, alle tematiche dei Vangeli. Ebbene, nel suo
commento padre Damarco si propone di far emergere questo elemento dalla pagina
di Giovanni, ottenendo una sorta di intelligenza spirituale proprio attraverso
l’applicazione del metodo storico critico. Nella lettura di padre Damarco,
così, il passo di Giovanni ci dice che il cuore del Vangelo è un cuore
trinitario, una interrelazione tra tre distinte persone divine, ma anche che
esso non ha valore, e tantomeno valore dogmatico, se non condiziona la nostra
vita. Nel Vangelo di Giovanni il Padre è davvero scaturigine del cosmo e
dinamismo che impedisce la “stasi cimiteriale”, inquietudine che ci fa guardare
oltre la nostra morte. Il mistero trinitario sembra nascere dall’intuizione del
mistero della inarrestabilità della vita e di cui ogni uomo è, ad un tempo, declinazione
e testimonianza. La seconda persona, il Figlio, è allo stesso tempo ‘via’ del
Padre e discriminante tra le forze di vita e quelle di morte, tra l’amore
altruistico come forza creante e l’egoismo come forza annichilente. La persona
del Figlio si oppone così anche alla frantumazione della norma di vita, la
religione nel suo senso più utile, nei mille articoli dei codici legali: formulazione
che ricorda quella di Bernard Henri Levy nel “Testamento di Dio”, della
“frantumazione dell’etica nei mille codici morali”. La terza persona, infine,
viene interpretata come totale immersione nel fiume della vita e indispensabile
rimedio contro le forze della morte, le derive egoistiche e le pratiche
meschine. Il Dio di Padre Damarco, anche attraverso la lezione di Bonhoeffer,
non si riduce dunque ad un dio “tappabuchi occasionale”, come neppure la Trinità
si riduce a elucubrazione mentale per chi ha tempo da perdere: insieme essi devono
promuovere un investimento totale in vita vissuta. In questo senso ogni
attività che impegna l’uomo nell’arricchimento dell’esistenza diventa
partecipazione alla dimensione trinitaria.
Similmente,
a partire da Matteo, capitolo 28, versetti 16-20, la Trinità non è interpretata
come celebrazione di una realtà misteriosa esterna bensì come essenza del
cristianesimo nel senso di testimonianza quotidiana di ogni cristiano
all’interno del suo agire nel mondo. Il Dio trinitario è un Dio che mi
interpella e nello stesso tempo mi svincola dalle categorie religiose che lo
stesso cristianesimo prevede. Passerei ora dalla riflessione sulla Trinità a
quella sull’Eucaristia e propongo di farlo a partire dal brano di Luca,
capitolo 9, versetti 11 – 17, festa del Corpus Domini. Così come la Trinità non
si riduceva a pura elucubrazione, nel commento a Luca il Corpus Domini non
significa celebrazione di un rito magico ma disponibilità a uno slancio di
donazione, invito fatto agli altri, ai più piccoli, a venire a mangiare un pane
condiviso, a farci Eucaristia per gli altri. Per padre Damarco nella carità si
riassume tutto il cristianesimo e nel Padre Nostro legge “dacci ogni giorno il
pane che ci occorre”, di più “dacci ogni giorno il pane di domani”. Allo stesso
modo visitazione dell’altro diventa accesso ai, e condivisione dei, doni dello
spirito. Viene qui, da parte di padre Damarco, un monito fortissimo e non privo
di polemica: “Dovrebbero finire quelle comunioni insensate nelle quali il
fedele si ripiega in se stesso, in un mare di languorosa melassa, dimenticando
che proprio quando si esce di chiesa prende senso la comunione”. Il Vangelo
deve farsi testimonianza e testimonianza presso gli altri: tramite gli altri la
vera Eucaristia comincia con il “missa est” e l’invio nel mondo. “Fate questo
in memoria di me” diventa innanzitutto “Date loro voi stessi da mangiare”:
questo è l’imperativo eucaristico. A tale proposito mi sembra utile far
riferimento a un’altra omelia, quella che ha per oggetto il discorso della
montagna in Matteo e che padre Damarco legge inserendolo nella dialettica tra
Antico e Nuovo Testamento, per cui esso rappresenta qualcosa di assolutamente
inedito nella tradizione ebraica e dunque dirompente di alcune sue
sclerotizzazioni. Naturalmente padre Damarco è cosciente della totale identità
ebraica di Gesù e sa che la sua provocazione ha per obiettivo l’apertura della
legge all’accoglienza e al recupero del suo spirito vivificante. Riferendosi a
Matteo, 5, 1-12, ed utilizzando le parole di Giovanni, padre Damarco dice che
con quel discorso Gesù viene a fare “cieli nuovi e terra nuova”, ed invita
perciò ognuno di noi a sbarazzarsi di tutte le vecchie categorie perché ”il
mondo nuovo è quello di una solidarietà inaudita e senza confini”. E prosegue:
“Queste beatitudini non sono un inno alla povertà, che è sì presente ma in
un’altra pagina, esse sono piuttosto un inno alla libertà”, alla liberazione. Il
filosofo Levinas, con un meraviglioso doppio ossimoro, direbbe “farsi ostaggi
del disarmo altrui”.