La “gentile” rivoluzione del
Messale che si rifà alla terza edizione italiana voluta da Paolo VI, non è una
rivoluzione vera, perché non viene assolutamente toccata la sostanza dei concetti,
ma semplicemente vengono aggiornate alcune espressioni con una terminologia più
aderente al linguaggio moderno. A conferma qualche esempio: nel Confesso
“confesso a voi fratelli” diventa “confesso
a voi fratelli e sorelle”, “scambiatevi un segno di pace” cambia in “scambiatevi il dono della pace”, e il
saluto finale “la Messa è finita, andate in pace, ” si fa più aderente al
dovere di ogni cristiano che ha partecipato al rito “Andate e annunciate il Vangelo del Signore”.
Vorrei soffermare l’attenzione su “fratelli e sorelle”. La cultura antica è
decisamente maschilista e quella ebraica non fa eccezione, pertanto la donna è
tenuta ai margini della società ed è sottoposta prima al padre e poi al marito
con un matrimonio combinato dalle famiglie, dove lo sposo spesso è molto più
anziano.
L’immagine che i Vangeli e gli Atti degli Apostoli ci danno è quella di Gesù e
dei dodici Apostoli maschi.
E’ Gesù che dialoga con le donne (vedi la samaritana al pozzo), ma mai un
apostolo.
La scrittrice cattolica francese, Cristina Pedotti, ha recentemente pubblicato
un libro dal titolo “Gesù, l’uomo che preferiva le donne” nel quale mostra
storicamente come le donne abbiano partecipato attivamente fin dall’inizio alla
diffusione del cristianesimo, ma tranne rare eccezioni, pur avvertendone la
presenza, restano nell’ombra e nell’anonimato. Solo Paolo, che non appartiene
ai 12, scrive e parla di una coppia di collaboratori per lui importantissimi e
amati, Priscilla e il marito Aquila.
Lo stesso papa Francesco sottolinea che ormai è giunto il tempo di dare alle
donne accesso a ruoli di responsabilità nella Chiesa dai quali sono ancora
tenute lontano.
Pertanto, ciò che sembra una semplice aggiuntina, in realtà sottende l’impegno
di dare pari dignità alla donna anche attraverso le parole della preghiera.
La modifica più impattante la troviamo nel Padre Nostro con una traduzione
dall’aramaico, dal greco e dal latino meno letterale, ma soprattutto meno
criptica e più comprensibile. Difatti la Bibbia greca dei 70 che dice “eisenenkes eis periasmòn” ( eis =
dentro, è ripetuto due volte, nel verbo e come preposizione del sostantivo )
letteralmente “ non portarci dentro la
tentazione o la prova”, è tradotta da San Gerolamo nella Vulgata latina “ et ne
nos inducas in tentationem”, da cui l’italiano “non indurci in tentazione”.
E’ pensabile che il Padre, che incarna
il Figlio per liberare l’umanità intera dal peccato attraverso il sacrificio di
croce, possa indurre in tentazione le proprie creature?
Sarebbe un non senso e una contraddizione neppure ipotizzabile.
L’espressione, che sa di
paradosso, è una delle tante “provocazioni” che Gesù è solito usare per
stimolare alla riflessione: in realtà a cadere nella tentazione sono le
creature che, per fragilità, presunzione e superbia, accantonano
volontariamente gli insegnamenti di Gesù.
Così per renderlo più decifrabile il concetto “non ci indurre in
tentazione” diventa “non abbandonarci
alla tentazione”, ma la sostanza della richiesta di protezione e di aiuto della
creatura verso il Padre non muta, è stata soltanto decriptata e resa palese.
In diversi momenti della celebrazione eucaristica sentiremo pronunciare dal
celebrante altre modifiche. Si privilegerà il greco nelle invocazioni iniziali: “Kyrie, eléison e Christe, eléison.”
All’inizio del Gloria, anziché “. Pace in terra agli uomini di buona volontà”
si dirà “… pace in terra agli uomini
amati dal Signore.” E’ una variazione sostanziale, poiché “gli uomini di
buona volontà” sono solo una parte, mentre il Padre ama tutti i suoi figli (si
ricordi il dolore e poi la gioia del padre del figliol prodigo), quindi con la
nuova formula si esplicita la volontà del Padre di evitare discriminazioni. I
figli “so piezze ‘e core” anche quando si allontanano o si ribellano. Si
attende con ansia e sofferenza il loro ravvedimento. Se questo accade tra gli
umani, a maggior ragione capita al buon Dio. Alla lavanda delle mani il vecchio testo dice “Lavami, Signore,
da ogni colpa, purificami da ogni peccato”; questo il nuovo “Lavami, Signore, da ogni colpa, dal mio
peccato rendimi puro.” Subito dopo il sacerdote inviterà l’assemblea a
pregare così: “Pregate fratelli e
sorelle, perché questa nostra famiglia, radunata dallo Spirito Santo nel nome
di Cristo, possa offrire il sacrificio gradito a Dio Padre.” A questa
formula è stato aggiunto “sorelle”. Sono formulati sei nuovi prefazi che
precedono il Santo: due per i santi dottori, due per i santi pastori, uno per i
martiri e uno per la festa di Maria Maddalena. Dopo il Santo, allargando le braccia, il sacerdote pronuncerà “Veramente Santo sei Tu, o Padre, fonte di
ogni santità” e proseguirà “Ti
preghiamo: santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito.” La
precedente formula era “Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica
questi doni con l’effusione del tuo Spirito”. Onestamente “effusione” mi sembra
il vocabolo che meglio esprima l’azione misteriosa dello Spirito Santo. Nel
Cenacolo le lingue di fuoco effondono come un fluido miracoloso i nuovi carismi
che trasformano semplici e analfabeti pescatori in eccezionali missionari del
pensiero di Gesù. Faccio fatica ad inserire “la rugiada” in questo contesto. “Offrendosi
liberamente alla sua passione …” diventerà “Consegnandosi
volontariamente alla sua passione …” Dove si pronunciava “Prese il calice
del vino e di nuovo rese grazie …” Ora si dirà: “Prese il calice colmo del frutto della vite …”
I riti della Comunione si aprono con il Padre Nostro nel quale è previsto
l’inserimento di un “anche” : “come anche noi li rimettiamo ai
nostri debitori”, oltre alla variazione più significativa di cui abbiamo già
detto.
Il rito della pace cambierà da “ Scambiatevi un segno di pace” a “Scambiatevi il dono della pace”.
Quando
il celebrante mostrerà il Pane e il Vino consacrati la vecchia formula “Beati
gli invitati alla cena del Signore …” diventerà: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo. Beati
gli invitati alla cena dell’Agnello.” Così “Beati gli invitati” non apre più la formula,
ma la chiude.
Del termine della celebrazione
eucaristica si è già detto all’inizio.
Queste in estrema sintesi sono le variazioni che nei prossimi mesi diventeranno familiari a chi parteciperà alla
consacrazione eucaristica. In fondo ci troviamo di fronte a piccole revisioni
che non incidono sul valore sostanziale del rito sacramentale della santa
Messa.