Domenica 1° novembre,
solennità di Ognissanti (Matteo, 5, 1
– 12)
La
festa di Ognissanti è una delle più importanti dell’anno liturgico e, per
tradizione, vede le chiese più affollate che in altre circostanze. La sua
origine, al contrario di quanto a volte si ritiene, non è di derivazione
celtica, bensì viene dall’Oriente: in origine, però, la festa si celebrava la
prima domenica dopo Pentecoste, tra maggio e giugno, a conclusione del grande
ciclo pasquale. Questo avviene ancora oggi nel calendario liturgico delle Chiese
ortodosse bizantine. In Occidente, la festa fu trasportata al primo novembre da
Papa Gregorio Magno, alla fine del VI secolo, e divenne di precetto nell’anno
835, sotto Papa Gregorio IV. Il Vangelo è quello tradizionale detto “delle
Beatitudini”. Chi altri potrebbero essere i santi, infatti, se non coloro che
nella loro vita e nella loro testimonianza hanno incarnato le caratteristiche
proclamate da Gesù in quel celebre brano iniziale del Discorso della montagna ?
Ebbene, c’è un aspetto del testo riportato da Matteo, in parte differente da
quello di Luca, che merita un’osservazione. Gesù, a proposito dei “poveri in
spirito” e dei “perseguitati a causa della giustizia”, non dice che di loro
“sarà” il regno dei Cieli, bensì che “di loro è il regno dei Cieli”. Questo
particolare rientra nella tipicità messianica di Matteo, che insiste nel
presentare Gesù come l’atteso “messia”, che invera e attualizza i profeti già
con la sua venuta. Ma è un particolare che vale anche per noi, credenti:
improntando la nostra vita alle beatitudini proposte da Cristo, e agli
insegnamenti della Chiesa, noi possiamo essere già ora “nel regno”. Quindi,
possiamo anticipare il nostro essere santi, sia pure, come sempre avviene su
questa terra, in forma limitata e parziale. L’Eucaristia, cioè Cristo che viene
dentro di noi, non avrebbe del resto significato se noi già ora, in Grazia di
Dio, non fossimo parte del numero grandissimo dei santi del Cielo. L’inverno
che ci attende – oggi simboleggiato anche dal cambio di orario e dal venir meno
prima, ogni sera, della luce del sole – è spezzato e sconfitto dal calore
straordinario che proviene dalle beatitudini. Non ci sarà “inverno” nella
nostra vita, se noi ci sforzeremo di essere “santi” con Gesù e in Gesù.
Domenica 8 novembre – XXXII del
Tempo Ordinario
(Matteo 25, 1 - 13)
E’ novembre, e l’anno
liturgico si avvia verso la sua conclusione, che è una conclusione di carattere
messianico e, per così dire, “escatologico”: riguardante cioè l’annuncio e la
preparazione della venuta finale del Signore, alla fine del tempo. Anche il
Vangelo di oggi, relativo all’episodio delle “vergini savie”, ci prepara in
qualche modo alla venuta finale di Cristo, rappresentato dallo sposo che
rientra in casa a notte fonda, quando ormai quasi nessuno lo attende. Noi non
sappiamo, infatti, quando ci troveremo di fronte a Lui, né come singole persone
(alla nostra morte terrena) né come umanità nel suo complesso. Dobbiamo dunque
essere pronti, per dimostrare a Gesù che viene come lo abbiamo atteso, non solo
negli atteggiamenti esteriori (la lampada dell’olio pronta, come tengono
appunto le vergini “savie”), ma anche e soprattutto in quelli interiori. La
luce delle lampade, come quelle che si tengono accese presso le tombe delle
persone care, è segno di vigilanza, quindi anche dell’essere pronti ad entrare
nel Regno. Chi non lo farà – come le vergini “stolte” – non sarà punito per
cattiveria del Signore, ma perché, per sua libera scelta, avrà rinunciato al
mandato ricevuto con il Battesimo.
Domenica 15 novembre– XXXIII del
Tempo Ordinario(Matteo 25, 14-30)
Anche la parabola cosiddetta
dei “talenti”, presentataci dal Vangelo di oggi, rientra nel cammino
“escatologico”, legato cioè al giudizio che il Signore darà nei nostri
confronti dopo la nostra morte. Il capitolo 25° del Vangelo di Matteo, da cui
sono tratti i brani di queste ultime domeniche, è il capitolo che precede
immediatamente il racconto della Passione. Parabole come quella odierna sono
quindi presentate dall’evangelista quasi come le “ultime raccomandazioni” di
Gesù ai discepoli, prima della sua morte. Il Signore che “parte” è Gesù che
lascia la terra la sua Chiesa, per ritornare “dopo molto tempo”, cioè alla fine del tempo. Noi, suoi discepoli,
abbiamo il compito, e il dovere non solo di custodire, ma di mettere a frutto i
talenti che Egli ci lascia: non talenti materiali, si badi bene (anche se
qualcuno interpreta erroneamente questa parabola quasi come un piccolo manuale
di economia …), bensì spirituali. Quei talenti sono i comandamenti, sia quelli
della Legge antica, sia soprattutto quello specifico e tanto più importante
affidatoci da Cristo: il comandamento dell’amore. E’ l’amore per Dio e per il
prossimo che rende davvero frutto, nella nostra vita, più di qualunque bene
economico. E sulla capacità di averlo sia custodito sia manifestato a tutti,
portandone frutto, noi saremo giudicati.
Domenica 22 novembre – Solennità
di Gesù Cristo Re dell’Universo (Matteo 25, 31 –
46) – Ultima domenica dell’Anno liturgico
Siamo dunque arrivati alla
conclusione dell’anno liturgico. Anno liturgico che è il simbolo della storia
dell’umanità, destinata a concludersi con la fine del mondo e la venuta del
“re”, Signore del tempo e dell’universo. Matteo conclude con questo grande annuncio
il suo Vangelo, prima della descrizione della Passione, Morte e Risurrezione di
Cristo. Lo conclude così, perché per lui, così attento all’insegnamento dei
profeti, è proprio in tal modo che si concluderà il cammino biblico del popolo
eletto, non più però solo il popolo ebraico, ma tutto il grande popolo dei
discepoli di Cristo, chiamati ad essere “santi”. Per esserlo, dobbiamo sin da
ora comprendere e fare nostre le ammonizioni di Gesù nell’ultimo giorno,
anticipate appunto nel Vangelo di oggi. Che sono il cammino della misericordia,
quel cammino che ha unito sempre la vita della Chiesa nei secoli e, in
particolare, il messaggio degli ultimi Papi, da san Giovanni Paolo II a
Francesco, in perfetta linea di continuità. Prendiamo dunque le parole con cui
proprio Francesco, quattro anni or sono, ha commentato questo brano evangelico:
“A causa dei mutamenti del nostro mondo
globalizzato, alcune povertà materiali e spirituali si sono moltiplicate: diamo
quindi spazio alla fantasia della carità per individuare nuove modalità
operative. In questo modo la via della misericordia diventerà sempre più
concreta”. L’anno liturgico finisce ma, per ora, non ancora finisce la nostra
vita terrena: dobbiamo quindi far tesoro di queste lezioni così importanti per
non sprecare il tempo ancora a nostra disposizione.
Domenica
29 novembre – I del tempo di Avvento (Marco, 13, 33-37)
Buon anno ! E’ questo il
saluto fraterno che oggi, entrando in chiesa, ma anche solo incontrando le
altre persone, dovremmo tutti scambiarci. Oggi infatti inizia un nuovo anno
liturgico, ovvero una nuova sintesi di quel cammino di storia e di fede che ci
accompagna verso il traguardo dell’incontro con Cristo. Dal punto di vista
della Chiesa, questo che inizia è un anno importante perché, in Italia,
comincerà ad essere utilizzato il nuovo messale, con modifiche che sono
anch’esse il frutto del continuo adattamento ai tempi nuovi del perenne
insegnamento cristiano. Concluso domenica scorsa l’anno A (con i brani
evangelici di Matteo), ora è la volta dei brani tratti dal Vangelo di Marco.
Può apparire curioso, ma non troppo, che il brano che leggiamo oggi sia
parallelo, nella sostanza, a quella parabola delle dieci vergini letta alcune
domeniche or sono. Allora dicemmo che era una parabola “escatologica”,
preparatoria della fine del tempo, e quindi anche dell’imminente fine dell’anno
liturgico. Ma oggi non siamo invece all’inizio ? Perché ripetere dunque quel
messaggio sull’invito alla vigilanza e all’attesa del Signore ? Il perché è
presto detto. L’anno liturgico è il simbolo della nostra vita, così come della
storia del mondo: al suo centro ci saranno i “momenti forti” della nascita di
Gesù (e infatti quella odierna è la prima domenica di Avvento, che la prepara)
e soprattutto del grande ciclo pasquale, che dopo il Venerdì Santo, la Pasqua e
l’Ascensione, si concluderà con la Pentecoste, ovvero con il manifestarsi della
Chiesa di Cristo. All’interno di questa grande storia, che avrà poi la
conclusione nella fine del mondo, ci siamo anche noi, chiamati alla salvezza
eterna, grazie al dono della fede e della libertà che ci è stata data. Libertà,
della quale però non dobbiamo abusare, perché – dice il Vangelo di oggi – siamo
anche liberi di sbagliare, di addormentarci al momento dell’arrivo del Signore.
Libertà, insomma, vuol dire anche vigilanza, attenzione, impegno: è l’augurio
migliore che la Chiesa possa fare a ciascuno di noi all’inizio di un nuovo anno
…