PADRE NOSTRO
Il P.N., sintesi di tutto il Vangelo (
Tertulliano, De oratione 1 ) e
perfezione stilistica e teologica
( Enzo Biagi), è la preghiera per eccellenza,
perché insegnataci da Gesù (Catechismo della Chiesa Cattolica n.2765)
dietro espressa richiesta dei suoi
discepoli : “Signore, insegnaci a
pregare.” (Lc 11,1) “Se
passi in rassegna tutte le parole delle preghiere contenute nella Sacra Scrittura,
per quanto io penso, non ne troverai una
che non sia contenuta e compendiata in questa preghiera insegnataci dal Signore
.” ( Sant’Agostino, Epistulae, Lettera a Proba ). Esempio di perfetta armonia, nel P.N. non solo vengono “ domandate tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche
nell’ordine in cui devono essere desiderate. Cosicché questa preghiera non solo insegna a
chiedere, ma plasma anche tutti i nostri
affetti.” ( San Tommaso d’Aquino, Summa
theologiae )
Il P.N. ci propone il
succedersi di tre impegni e di tre richieste, con i quali l’uomo esprime la
libera accettazione ad essere e a fare secondo la volontà di Dio e poi chiede
ciò che necessita per le sue esigenze materiali e spirituali:
1.
L’impegno
alla testimonianza : sia santificato il tuo nome
2.
L’impegno
alla fedeltà : venga il tuo regno
3. L’impegno all’amore : sia fatta la tua volontà
1. La
richiesta del sostegno di Dio : dacci oggi il nostro pane quotidiano
2. La
richiesta del perdono dei peccati : rimetti a noi i nostri debiti
3. La
richiesta della salvezza : non ci indurre in tentazione, ma liberaci
dal male.
“Se
il discorso della montagna è dottrina di vita, l’Orazione domenicale ( preghiera
del Signore, dal latino Dominus ) dà una
nuova forma ai nostri desideri, ai moti interiori che animano la nostra vita.
Gesù ci insegna la vita nuova con le sue parole e ci educa a chiederla mediante
la preghiera.”
( Catechismo della Chiesa .Cattolica n. 2764 )
Il P.N. è una preghiera data
per scontata tanto è lineare e semplice nelle sue espressioni, eppure ogni
parola racchiude una pietra d’angolo per la vita materiale e spirituale di ogni
credente. Indica punto per punto il cammino dell’anima verso la méta e le linee
guida della vita terrena.
Padre
Sin
dalla prima parola Gesù ci introduce nella nuova dimensione del rapporto con
Dio, che non è più il Dominus, il Dominatore e re degli eserciti, ma il Padre,
che non ci chiede di essere servi fedeli, ma figli. Lui, creatore di tutte le
cose, a chi sa ascoltarlo con il rispetto dovuto ad un padre, ma con la
libertà e la fiduciosa intimità di
figlio, dà i suggerimenti per vivere
correttamente la vita terrena con la certezza di averlo premurosamente vicino soprattutto
nei momenti difficili e nella tentazione. Lui è sempre il Padre che accoglie
con gioia il ritorno del figlio caduto nella trappola della tentazione, ma che sa riconoscere l’errore e pentirsene. Non
si dimentichi la parabola del Figliuol
prodigo.
nostro
Altro insegnamento:
non Padre mio, bensì nostro, cioè dell’intera umanità, del ricco e del povero,
del santo e del peccatore che sa riconoscere l’errore e farne ammenda. Padre nostro, ma non genericamente di tutti:
Dio ama tutti, perché vuole la salvezza di tutti, ma ama ognuno singolarmente.
Come un buon padre di famiglia ama tutti i suoi figli senza distinzione o
preferenze e conosce di ciascuno le diversità di carattere, i bisogni e le
esigenze particolari, così il Padre nostro ama tutti e ciascuno dei suoi figli.
Ne consegue che l’aggettivo “nostro” conferma e ribadisce il nuovo rapporto di
relazione con Dio che, per mezzo del sacrificio di Gesù, è tornato ad essere il
Padre delle sue creature che apre le porte del Cielo.
che
sei nei cieli Anche nelle
religioni non cristiane la divinità ha dimora in cielo. Sicuramente per la
maestosità e per l’immensità il cielo con le sue stelle e la luce del sole
sembra essere il luogo ideale quale residenza divina. Del resto nella Bibbia
Dio appare sempre alto nel cielo avvolto in una nube che lo nasconde all’occhio
umano. L’espressione è nella versione di Matteo e manca in Luca; forse, dando
per scontato il concetto, nella comunità frequentata da Luca non veniva
recitata.
sia
santificato il tuo nome Riconosciuto quale Creatore di tutte le cose e
Padre, il suo nome merita il massimo rispetto
e adorazione da parte di ogni essere umano. Come? Con la preghiera e con
una vita che si mostri di esempio e di disponibilità verso il prossimo, specie
se considerato “scarto”. “Quando diciamo
“Sia santificato il tuo nome”eccitiamo noi stessi a desiderare che il nome di
Lui, ch’è sempre santo, sia considerato
santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato,cosa questa che non
giova a Dio, ma agli uomini.” ( Sant’Agostino, Epistulae, Lettera a Proba )
venga
il tuo regno E’
l’auspicio perché nei nostri cuori e nel mondo trovi piena realizzazione la sua
creazione così come l’aveva immaginata,
poi alterata dal peccato originale. E’ desiderio divino che il regno di Dio
cresca e si affermi anche nell’oggi, così da guardare con fiduciosa speranza al
ritorno di Cristo per il giudizio finale. “Quando
diciamo “venga il tuo regno, il quale, volere o no, verrà senz’altro, noi
eccitiamo il nostro desiderio verso quel regno, affinché venga per noi e
meritiamo di regnare in esso.” (Sant’Agostino, Epistulae, ibid. )
sia
fatta la tua volontà Anche
se la nostra incomprensione delle tue vie è preoccupante, la tua volontà è la
salvezza dell’uomo per la quale hai incarnato il tuo Figlio Unigenito nel seno
di Maria. Aiutaci ad accettare la tua volontà, donaci la capacità di avere
fiducia in Te e la consolazione della tua paterna vicinanza attraverso lo
Spirito Santo.
come
in cielo, così in terra. Che in cielo sia fatta la tua
volontà è una certezza, in terra certamente no. Noi, tuoi fragili e indegni
strumenti, chiediamo che il mondo impari
nel possibile ad imitare il Paradiso. “Quando
diciamo “Sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra” noi gli
domandiamo l’obbedienza, per adempiere la sua volontà, a quel modo che è
adempiuta dai suoi angeli nel cielo.”
( Sant’Agostino, ibid. )
Dacci
oggi il nostro pane quotidiano E’ la richiesta per avere ogni giorno il vero
necessario per ciascun uomo, liberandoci dai desideri e dalle brame del
superfluo. In questa espressione è presente
ciò che oggi chiamiamo “dottrina sociale della Chiesa,” che mira ad
annullare le forti differenze sociali, economiche e culturali, purtroppo presenti da sempre. C’è il richiamo
esplicito anche ad un altro pane, quello che, come l’acqua offerta alla
samaritana, toglie ogni stimolo di fame.
E’ il Pane di vita eterna, ovvero il Corpo di Cristo e la Parola di Dio che
Gesù ci ha rivelato. “Quando diciamo
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano” , con la parola oggi intendiamo nel tempo presente, in cui o chiediamo
tutte le cose che ci bastano indicandole tutte con il termine pane che fra esse
è la cosa più importante, oppure chiediamo il sacramento dei fedeli che ci è
necessario in questa vita per conseguire la felicità non già di questo mondo,
bensì quella eterna.” ( Sant’Agostino, ibid. )
rimetti
a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori Il
testo originale dice “i nostri peccati”,
ma è chiaro che i debiti nei confronti del Padre sono spirituali, cioè peccati.
I conti in sospeso che abbiamo con Dio non sono certo di natura economica, ma
sono le nostre fragilità verso le tentazioni che si traducono anche nel non
rispettare il nostro prossimo. “Se tu presenti la tua offerta
all’altare e lì ti ricordi che tuo
fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, và
prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.” (
Mt 5, 23 ) A Dio è doveroso presentarsi in modo adeguato, in linea con quanto
insegnato dal Figlio Gesù. “Quando
diciamo “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri
debitori,” richiamiamo alla nostra attenzione che dobbiamo chiedere e fare per
meritare di ricevere questa grazia” (
Sant’Agostino, ibid. )
e
non ci indurre in tentazione E’ una
evidente provocazione alla riflessione, perché come un buon padre non può mettere in difficoltà i figli, così il
nostro Padre celeste non può creare le
occasioni per lasciarci cadere
nell’errore, può semmai metterci “ alla
prova per irrobustire la nostra volontà “ ( prima lettera di Pietro ), ma senza andare mai oltre le nostre possibilità di autodifesa,
quindi, in realtà, è la nostra forte
richiesta di afferrarci e di prenderci per mano
nel momento della tentazione. Lasciati soli la nostra vigilanza e
perseveranza vacillano e cadono. Non è
il Padre che ci pone in difficoltà,
piuttosto siamo noi che preferiamo
dimenticare i suoi insegnamenti. “Quando
diciamo “Non c’indurre in tentazione”, ci eccitiamo a chiedere che, abbandonati
dal suo aiuto, non veniamo ingannati e non acconsentiamo ad alcuna tentazione
né vi cediamo accasciati dal dolore.” ( Sant’Agostino, ibid.)
ma liberaci dal male
Cristo
ha manifestato la sua vittoria sul principe del male e di questo mondo,
attraverso la morte e resurrezione. Questa vittoria l’ha messa a disposizione
dell’uomo per liberarlo dal peccato e rendergli possibile la salvezza eterna.
Quindi il Padre, con il sacrificio del Figlio, ha già ottemperato a questa
nostra richiesta. Sta a ciascuno di noi
saper cogliere lo strumento messo a disposizione di ciascuno: fare la sua volontà. “ Quando diciamo “ liberaci dal male” ci
rammentiamo di riflettere che non siamo ancora in possesso del bene nel quale
non soffriremo alcun male. Queste ultime parole della preghiera del Signore
hanno significato così largo che un cristiano, in qualsiasi tribolazione si
trovi, nel pronunciarle emette gemiti, versa lacrime, di qui comincia, qui si
sofferma, qui termina la sua preghiera.” ( Sant’agostino, ibid.)
Amen
E così sia, come ha stabilito la tua
volontà. ( C.C.C. 2865 )
Antonio Ratti