Rileggendo il foglietto “La
Domenica” del 7 Giugno scorso, Solennità della SS. Trinità, mi sono ritrovato a
meditare dove il mistero trinitario diventa veramente il mistero che con le
forze umane non puoi sciogliere, ma che devi accettare con l’umiltà della fede
che si fida ciecamente di Dio.
Le maggiori eresie trinitarie e cristologiche del lontano passato sono nate
proprio dalla testardaggine di voler trovare la soluzione razionale. Grandi pensatori,
tipici del Medioriente greco, abituati a commentare la immensa filosofia greca,
per secoli non si sono voluti arrendere, ottenendo il risultato di far nascere
tante eresie che hanno spezzato l’unità della Chiesa cattolica. Unità spezzata
che dopo decine di secoli perdura, ora in modi civili e rispettosi, ma perdura.
Tre espressioni in particolare hanno richiamato la mia attenzione. Le prime due
sono nel Credo, quando si dice del Figlio “nato dal Padre prima di tutti i
secoli” e poi “Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa
sostanza del Padre.” La terza è nel Prefazio che precede il Sanctus: “con il tuo
unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità
di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza.” Il concetto che un
padre possa generare un figlio è comprensibile a tutti. Difatti, con le dovute
precauzioni e le sostanziali differenze, anche l’uomo è in grado di generare,
altrimenti non ci sarebbe la continuità della specie. Io sono stato generato da
mio padre e sono della sua stessa sostanza avendo ricevuto il suo DNA, cioè il
codice genetico che senza ombra di dubbio conferma la identità della sostanza.
Quindi è abbastanza percepibile il senso dei vocaboli: nato, generato e stessa
sostanza. Io e mio padre siamo due persone distinte con la medesima sostanza.
Allora era del tutto sconosciuta l’esistenza biologica dei codici genetici,
quindi era una difficoltà insormontabile dimostrare la medesima sostanza tra
padre e figlio. Oggi non è più un problema, ma una certezza.
Il primo intoppo, nel mio ragionare, lo
incontro quando penso all’altro significato di “nato” e “generato dal Padre.” I
due participi passati in questione indicano che, se il Figlio è nato e il Padre
lo ha generato, il Figlio, magari, per “un milionesimo di secondo” non c’era anche
se la nascita è avvenuta prima di tutti i secoli, quindi non sono coevi, cioè
eterni ed infiniti in modo uguale, sebbene della stessa sostanza. Anche lo
Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, per un “altro milionesimo di
secondo” non c’era.
In altri termini chi genera è prima del generato, secondo il modo di ragionare
della mente umana ed è inconcepibile pensare ad un figlio coevo e coetaneo del
padre biologico. A questo punto, sono obbligato a ritenere che l’intelligenza
umana non è riuscita ad inventare e a coniare vocaboli più idonei e precisi di
“nato”, di “generato” e di “procede” per farmi comprendere ciò che si nasconde
dietro di loro, cioè la verità. Infatti leggendoli si viene fuorviati, perché appaiono
tre persone distinte, di cui due nate e generate in momenti diversi, mentre
nell’unità trinitaria sono identici, cioè della stessa sostanza e unici negli
attributi (infiniti ed eterni). Aristotele con il suo concetto di Logos,
pensiero eterno ed infinito in grado di realizzarsi creando, ci suggerisce,
senza saperlo, la definizione di Dio. Non a caso la Bibbia dei 70 in greco
chiama Dio, il Logos, cioè il Pensiero assoluto. Qui incontro il secondo
intoppo.
Razionalmente occorre riconoscere che due eterni e due infiniti non possono
coesistere, poiché si limiterebbero l’un l’altro, figuriamoci tre ( Padre,
Figlio, Spirito Santo )!! E allora? Mi
sono dato l’unica provvisoria soluzione che ho trovato possibile: Umilmente
devo ricorrere ad un atto di fede ed aspettare che si realizzi la promessa
fatta da Gesù che, alla fine dei secoli quando tornerà sulla terra, ci renderà
chiara ogni cosa.
Del resto anche il C.C.C. ( Catechismo della Chiesa Cattolica) si limita a
riportare quanto hanno decretato e diventato obbligo di fede, i Concili di
Efeso ( 431 ) e di Calcedonia ( 451 ), suggerendoci semplicemente di credere, senza surriscaldare la mente in
speculazioni inutili che portano in un
vicolo cieco o all’errore.
Così pensando al mio modestissimo tentativo
di mettere in piedi un ragionamento, mi consola il constatare quante menti eccelse o si sono onestamente arrese
o sono andate dritte nell’eresia provocando danni immensi.
Secondo me, il buon Dio nella sua paternità
ha il diritto di chiederci di riporre
fiducia in Lui e di credere che verrà il momento in cui tutto sarà
chiaro anche per gli umani in modo definitivo ed eterno.