Dove si
può essere preti se non nel mondo? E tuttavia, a causa dell’ambiguità di questa
parola e dell’uso abusivo che se ne fa, è indispensabile fermarci un momento a
riflettere. Molte generazioni di sacerdoti non sono forse state educate al
disprezzo del mondo! Una delle tristi conseguenze di questo fatto è la seguente:
il prete è rimasto confinato nell’esercizio di funzioni esclusivamente sacre,
tagliato fuori quasi totalmente dalle realtà della vita. Di qui una
predicazione astratta, senza vita, priva di qualsiasi influenza sul
comportamento dell’uomo che vive immerso nella realtà quotidiane. Che cosa
desidera la Chiesa dai suoi sacerdoti oggi? Chiede che sappiano raggiungere gli
uomini nella loro vita reale. Questo vuol dire che il prete deve essere capace
di intuire e di definire le innumerevoli responsabilità che incombono sull’uomo
nei diversi ambiti del suo sviluppo: famiglia, professione, società. Gesù ha
detto che il buon pastore conosce le sue pecore. Ora, la conoscenza dell’uomo del
ventunesimo secolo non è la stessa che gli apostoli potevano avere nel momento
in cui Gesù faceva questa conoscenza dell’uomo, un elemento essenziale della
attività pastorale. Come avvicinare, comprendere, scoprire l’uomo di oggi!
Inebriato dai propri successi, cosciente della propria dignità, geloso della
propria autonomia, questi non si lascia facilmente scoprire. E allora il prete
può, anzi, deve ricorrere alle diverse scienze umane per acquisire una
conoscenza più concreta delle persone alle quali porterà l’annuncio della
Salvezza. Ma pur cercando di entrare veramente in comunione con il suo
interlocutore, il prete non deve mai dimenticare che la conoscenza pastorale
non è di ordine intellettuale: è di ordine vitale. Colui che ha una vera
vocazione apostolica si servirà delle inchieste sociologiche per rendere le sue
conoscenze più precise, farà ricorso alle esperienze della psicologia per
raggiungere le profondità della coscienza, studierà il comportamento
dell’individuo che vive in società, si servirà della filosofia per conoscere e
comprendere il mondo che lo circonda. Ma la vera scoperta dell’uomo nella sua
natura profonda gli sarà rivelata
soprattutto da un amore disinteressato e da un servizio incondizionato di Dio e
degli uomini. Ecco come Paolo VI, il Papa del silenzio e della sofferenza, con
un amore speciale alla Chiesa e all’uomo ne sottolinea la sua importanza e il
servizio: “La Chiesa si è occupata dell’uomo quale oggi in realtà si presenta.
La scoperta dei bisogni umani ha assorbito tutti i nostri sforzi. Noi dobbiamo
servire l’uomo, in particolare chi soffre di più, chi è più solo. La Chiesa si
è dichiarata in un certo senso serva dell’uomo”. Uno dei segni di vocazione
sarà dunque questa capacità di simpatia profonda e di servizio degli altri. E’
bello vedere oggi molti giovani che possiedono questa disposizione fondamentale
di presenza ai loro fratelli. Ora si comprende meglio il significato delle
parole di Gesù rivolte ai suoi apostoli, quando li invita a lasciare tutto per
seguirlo. (Mc 10, 28-30). La sua intenzione non era di obbligarli a separarsi
dagli uomini, ma di portarli a raggiungere una libertà che permettesse di farsi
tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. (1Cor9, 22). Ho scritto
queste riflessioni sulla figura del sacerdote perché viviamo in un mondo sempre
più immerso nel relativo, che tende ad appiattire e svuotare il suo ministero.
Proprio per questo è urgente comprendere il vero significato della sua
missione. Essere accanto ad ogni uomo, offrire con gioia I sacramenti
dell’Amore di Gesù. “Chi ci separerà da questo Amore? Forse la tribolazione,
l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in
tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colui che ci ha
amati. Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli, né
principianti, né presente, né avvenire, né potenze, né altezze, né profondità,
né alcuna creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù.” (Rom8,
34-39)