Quarantacinque anni sono
cinque di più dei quaranta che il popolo ebraico, il “popolo eletto” della
Bibbia, trascorse nel deserto prima di arrivare alla terra promessa. Un periodo
lungo, anche in tempi di grandi trasformazioni come gli attuali, e comunque un
periodo simbolico: quaranta, come è noto, sono anche i giorni trascorsi da Gesù
nel deserto prima dell’inizio della sua vita pubblica, e da lì è derivato il
periodo liturgico della Quaresima (quaranta giorni, appunto).
Quarantacinque sono invece gli anni trascorsi da quell’autunno del 1974 nel
quale chiuse a Sarzana la sua vita terrena il sacerdote vincenziano padre
Vincenzo Damarco. Di lui abbiamo parlato più volte sul “Sentiero” e lo facciamo
ancora una volta per la persistente attualità del suo pensiero, che le
iniziative intraprese negli ultimi mesi dal gruppo sarzanese degli “Amici di
padre Damarco”, e tuttora in corso, hanno continuato a manifestare.
Quaranta anni – o quarantacinque, non è molto diverso – sono un lasso di tempo
che, sia nella vita sia nella storia, indicano un cammino, un percorso,
un’esplorazione del nuovo, ed anche un continuo interrogarsi da parte del
cristiano, e più in generale della persona umana, su se stesso e su quanto lo
circonda.
Il tema del “cammino”, ci dice la Bibbia – Damarco era attentissimo alle
indicazioni ed alle suggestioni presenti nella Sacra Scrittura -, è un cammino
che anticipa, da Abramo a Mosè, alla cattività babilonese e ancora oltre, la
natura stessa della Chiesa. La costituzione “Lumen gentium” del Concilio
Vaticano II, nella cui stesura un ruolo importante lo ebbe Joseph Ratzinger, il
futuro Benedetto XVI, chiama per l’appunto la Chiesa “popolo di Dio” che –
sulle orme bibliche – “cammina alla ricerca della città futura e permanente”.
Ma cammino vuol dire anche “riforma”, nel senso dell’espressione classica
“Ecclesia semper reformanda”, ovvero “la Chiesa si deve continuamente
riformare”, che è la conseguenza del suo essere in cammino e sempre, s’intende,
nella fedeltà al Vangelo e alla gerarchia.
Per questo i quarantacinque anni dalla scomparsa di padre Damarco – che a suo
modo, e nel piccolo di Sarzana, fu un grande riformatore degli anni del
Concilio – non sono trascorsi invano. Credo che a molti, e non solo tra gli
amici di Damarco, il cuore abbia fatto un balzo nel petto leggendo, ancora una
volta, le parole di Papa Francesco nel suo discorso del 21 dicembre per gli
auguri natalizi alla curia.
. Mai dunque stare fermi, e sempre vivere la fede e
l’ascolto della Parola come sussidi fondamentali per la vita cristiana.
Se si leggono i “Commenti ai Vangeli” di padre Damarco si trovano proprio
spunti molto interessanti per l’attualità del nostro tempo. Anche per questo un
gruppo degli “Amici di padre Damarco”, recatosi nelle settimane scorse a Roma,
ha chiesto ai superiori di quella che fu la sua congregazione, i “Preti della
Missione”, di poter venire a Sarzana per una chiusura importante delle
iniziative per questi quarantacinque anni.
Una “chiusura” che, però, non
sarebbe tale, rappresentando invece lo spunto forte per nuovi cammini, e se
possibile per nuovi traguardi. Il Papa, nel discorso citato, riferendosi a una
celebre intervista (l’ultima!) del cardinale Martini, ha sottolineato che la
Chiesa di oggi già “è rimasta indietro di duecento anni”, e che quindi deve
riscuotersi, nella sequela di Cristo, perché è suo dovere farlo.
Padre Damarco, non da solo, si capisce, ci potrà aiutare con la testimonianza
che ha lasciato e con gli scritti che ci ha donato, in questo compito
fondamentale, sul quale chi è credente sa che sarà un giorno giudicato.
Egidio Banti