Nelle settimane scorse papa
Francesco, con la lettera apostolica intitolata “Aperuit illis” (“Aprì a loro
[la mente]”) ha istituito una nuova ricorrenza domenicale, nell’ambito del
cosiddetto “tempo ordinario” (quello nel quale il sacerdote indossa paramenti
di colore verde): dal 2020 la terza domenica di tale tempo ordinario, sempre
collocata nella seconda metà del mese di gennaio, sarà la “Domenica della
Parola di Dio”. Il papa ha preso tale decisione, anche a seguito del Sinodo dei
vescovi che Benedetto XVI aveva convocato nel 2008 proprio sul tema della
Parola di Dio, per sottolinearne la centralità nella vita della Chiesa e,
quindi, nella vita del cristiano, anche in una prospettiva ecumenica.
Ci sarà forse tempo e modo di approfondire anche su queste pagine tale
iniziativa del Papa, in un’epoca come la nostra nella quale la “parola”, in
tutti i sensi nei quali la si voglia considerare, sembra perdere di significato
e di valore, con tutte le negative conseguenze che ne derivano. Ma sembra bello
richiamarla oggi mentre si stanno ricordando i quarantacinque anni dalla morte
di padre Vincenzo Damarco, il religioso vincenziano vissuto in Val di Magra
nella seconda metà del Novecento e del quale più volte abbiamo avuto occasione
di parlare qui sul “Sentiero”. Damarco, del resto, era molto legato non solo a
Sarzana, dove esercitò per diversi anni la sua attività pastorale e formativa,
ma anche all’allora Ortonovo ed in particolare all’Olmarello, sede storica, in
quel tempo, della sua congregazione e luogo di impegnate attività di carattere
sociale.
Damarco – grazie alla sua intelligenza, alla profondità teologica che lo
contraddistingueva ed anche, non di meno, alla sua straordinaria “carica” umana
- era per così dire in anticipo sui tempi, anche rispetto ad una Chiesa che,
dopo aver stupito il mondo con il coraggio del Concilio Vaticano II, faticava
non poco a mettere in atto le indicazioni conciliari. Anche per questo entrò in
contrasto con le strutture della diocesi e si trovò malvisto anche da alcuni
confratelli, motivo per il quale dovette lasciare Sarzana all’inizio degli anni
Settanta e morì poi proprio a Sarzana, dove era rientrato per alcuni giorni, a
soli cinquantadue anni di età.
Era stato allontanato, ma mai condannato o formalmente “punito”, perché le sue
catechesi e i suoi testi non furono mai in contrasto con i fondamenti della
dottrina cristiana e perché, anche quando qualcuno lo esortava a reagire, a
polemizzare, a disobbedire, Damarco pose l’obbedienza sempre tra i valori
fondanti del suo agire da uomo e da religioso.
Il tempo, si dice, è un gran medico della storia, così che, a mezzo secolo di
distanza dalle vicende che lo videro allora protagonista, molti dei suoi
insegnamenti riecheggiano oggi nelle significative novità pastorali introdotte
da Francesco nel suo pontificato. Il tema della “Parola” è uno di quegli
insegnamenti. Nel volume “Commento ai Vangeli”, da alcuni anni ristampato e
diffuso a cura dell’associazione “Amici di padre Damarco”, alcune pagine a
carattere introduttivo sono dedicate proprio a “Dabar”, l’espressione che in
lingua ebraica significa “Parola”, ed anche simili se ne trovano in diverse
parti del libro. . C’è
un rapporto, ovviamente stretto e unitario, tra l’azione delle tre Persone
divine: non solo il Padre e Figlio-Cristo-Parola, ma anche lo Spirito Santo. Lo
sottolinea papa Francesco nella sua lettera apostolica (“Con Gesù Cristo la rivelazione di Dio
raggiunge il suo compimento e la sua pienezza … lo Spirito Santo continua
la sua azione”), lo sottolinea Damarco nel suo testo (“Gesù non ha potuto dir
tutto … Lo Spirito Santo è la risposta permanente alle domande che l’umanità
pone a Dio”).
Anche
la visione eucaristica dell’attuale pontefice, riconfermata solo pochi giorni
fa in un articolo pubblicato dall’” Osservatore romano” il 21 ottobre e
intitolato “La vita nuova”, richiama alcune pagine di Damarco, come questa:
“Ogni volta che mi accosto al corpo di Cristo immolato io devo rinnovare le mie
intenzioni di immolazione e di solidarietà, e ciò mi fa entrare nel giro
dell’amore di Dio e di Gesù”. E il papa, nell’articolo citato: “L’Eucaristia è davvero il sacramento della Chiesa, la
rivelazione che siamo già una cosa sola nel Signore… Tutto di noi (storia,
gesti, sogni, affetti, difetti, doni...) entrando nell’amore, passa per la
strada della Pasqua di Gesù, oltrepassa la morte ed entra nella risurrezione
della comunione: e questa è davvero vita
nuova!”.
Come si vede, è proprio la forza della Parola, che è capace di superare il
tempo e di diventare storia. Non si tratta di paragonare un umile sacerdote
vincenziano al papa (Damarco stesso avrebbe rifiutato con forza il paragone),
ma di sottolineare invece come l’esperienza di Chiesa, sia nel tempo attuale
(nell’unione “cattolica” da un luogo del mondo all’altro) sia nel collegamento
tra il tempo attuale e i tempi passati (in particolare nella storia personale
di ciascuno di noi e nella nostra sempre incompleta capacità di comunicarla
agli altri), sia davvero sempre capace di rappresentare la sintesi della
Gerusalemme terrena, anticipo di quella futura, dove saremo “tutto in tutti”.
In questo senso – che è conoscenza e insieme monito – i credenti ripetono a se
stessi che “Ecclesia semper reformanda”, ovvero che la storia della Chiesa è
sempre stata e ancora sarà un cammino di perenne riforma, di adeguamento ai
“segni dei tempi”. Alcuni, quei segni, li vedono forse in anticipo e magari
pagano, per questo. Ma il loro ruolo resta prezioso, ed anzi fondamentale in
quel cammino che si è detto. Per questo padre Damarco viene ricordato e
ringraziato a Sarzana in una Messa celebrata alle 17 del 29 ottobre in San
Francesco, e per questo anche chi non può essere presente potrà farlo ogni
giorno nel ricordo affettuoso e, da credente, in quella “comunione dei santi”
che, avvicinandosi il primo novembre, la Chiesa ci ricorda una volta di più
nella sua millenaria saggezza.