Il 4 ottobre 1984 -
esattamente 35 anni fa – il presidente del Burkina Faso Thomas Sankara
pronunciò di fronte all’assemblea generale dell’ONU un discorso da molti
considerato come uno dei più importanti discorsi politici di tutto il Novecento.
Un discorso che assume anche per noi una particolare attualità perché, di
fatto, analizza le ragioni dell’attuale ingente fenomeno migratorio dall’Africa
verso l’Europa e, quindi, ne indica quelle che ne sono le possibili soluzioni. Già
ne avevamo parlato qui sul Sentiero esattamente un anno fa, in occasione di uno
spettacolo sulla vita di Sankara tenuto ad Arcola a cura del gruppo degli Amici
padre Damarco e dell’associazione “Voltalacarta”, e patrocinato anche dal
Comune di Luni. Ne riparlo oggi anche perché è davvero auspicabile che, dopo
mesi ed anni di confusione (e purtroppo, di tante vittime), la questione delle
migrazioni dall’Africa possa per lo meno essere compresa nella sua autentica
portata.
Il problema non è lo stucchevole anche se drammatico dilemma se accoglierli
tutti o no, magari immaginando (bisogna sempre costruire dei nemici per
difendere non i valori, che non ne hanno bisogno, ma gli interessi) che davvero
qualcuno persegua un tale obiettivo. La radice del problema non sta in Europa,
e nemmeno in Libia o in Tunisia, bensì nell’Africa sub-sahariana. Quella di cui
fa parte il Burkina Faso (già colonia francese dell’Alto Volta, uno dei paesi
più poveri del mondo). Il paese che Sankara, divenutone presidente nel 1983, a
soli trentaquattro anni, cercò di trasformare non solo in uno stato
democratico, ma soprattutto in un modello capace di presentare al mondo i reali
problemi dell’Africa, e facendo così capire che proprio lì stava, e oggi anche
di più, il futuro del mondo.
Parlando all’ONU, il giovane presidente rivendicò con forza il diritto del suo
popolo e di tutti i popoli africani a non considerarsi più dipendenti dal mondo
cosiddetto sviluppato, bensì a prendere in mano il proprio destino: “Affermiamo
la nostra consapevolezza di appartenere a un insieme tricontinentale, convinti
che una solidarietà speciale unisca i tre continenti, Asia, America Latina e
Africa, in una lotta contro gli stessi banditi politici e gli stessi
sfruttatori economici”.
Vediamo ancora altri brani di quel discorso: “Altri hanno spiegato, e senza dubbio spiegheranno ancora,
quanto è cresciuto l’abisso fra i popoli ricchi e quelli la cui prima
aspirazione è saziare la propria fame e calmare la propria sete, e sopravvivere
seguendo e conservando la propria dignità. Ma è al di là di ogni immaginazione
la quantità di derrate dei poveri che sono andate a nutrire il bestiame dei
nostri ricchi! ... Parlo
in nome delle madri dei nostri paesi impoveriti che vedono i loro bambini
morire di malaria o di diarrea e che ignorano che esistono per salvarli dei
mezzi semplici che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo
piuttosto investire nei laboratori cosmetici, nella chirurgia estetica a
beneficio dei capricci di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato
dagli eccessi di calorie nei pasti, così abbondanti e regolari da dare le
vertigini a noi del Sahel”.
Leggiamo
ora queste parole, davvero drammatiche nella loro attualità: “Parlo, anche, in nome dei bambini. Di quel
figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in una
bottega dei ricchi. Il negozio è protetto da una finestra di spesso vetro; la
finestra è protetta da inferriate; queste sono custodite da una guardia con
elmetto, guanti e manganello, messa là dal padre di un altro bambino che può,
lui, venire a servirsi, o piuttosto, essere servito, giusto perché ha
credenziali garantite dalle regole del sistema capitalistico”.
Dichiarava Sankara: “Il nuovo ordine economico mondiale per cui stiamo
lottando e continueremo a lottare può essere raggiunto solo se saremo capaci di
fare a pezzi il vecchio ordine che ci ignora; se occuperemo il posto che ci
spetta nell’organizzazione politica internazionale e se, data la nostra
importanza nel mondo, otterremo il diritto di essere parte delle discussioni e
delle decisioni che riguardano i meccanismi regolatori del commercio,
dell’economia e del sistema monetario su scala mondiale. Il nuovo ordine
economico internazionale non può che affiancarsi a tutti gli altri diritti dei
popoli, – diritto all’indipendenza, all’autodeterminazione nelle forme e
strutture di governo – come il diritto allo sviluppo”.
Thomas Sankara era un cristiano, non un islamico. Non
voleva né colonizzare né tanto meno islamizzare l’Occidente. Ma ammoniva tutti
noi con lo stesso concetto che anni prima l’Abbé Pierre aveva sintetizzato nella
frase “Un giorno le loro voci si
leveranno come un tuono”. Gli africani non chiedevano e non chiedono posto
in Occidente. E perché mai dovrebbero chiederlo, lontano dalla loro terra?
Chiedevano e chiedono di essere autorizzati al proprio sviluppo, mettendo fine
a quello che già san Giovanni XXIII e san Paolo VI chiamavano nelle loro
encicliche e nei loro documenti lo scandalo del commercio internazionale.
Diciamolo una volta per tutte: non è possibile fermare le migrazioni se non si
pone fine alla depredazione post-coloniale o neo-coloniale dell’Africa, tuttora
in corso, e ragione anche di tanti soprusi e di tanta corruzione internazionale.
Perché è proprio quella depredazione che le favorisce, spesso ingannando o
sfruttando quelli che sono indotti a migrare. Ed è paradossale, per non dire
due volte scandaloso (ma papa Francesco lo dice eccome, ed anche per questo è
attaccato duramente dai cortigiani del potere annidati anche dentro la Chiesa),
che le stesse persone o le stesse organizzazioni siano quelle che costruiscono
la propaganda contro i migranti e nello stesso tempo alimentino quelle
migrazioni con la loro condotta economica.
Non a caso l’Occidente – o forse alcuni paesi
dell’Occidente – valutò quel discorso come una minaccia per i propri interessi
economici. E a suo modo, sottotraccia un po’ come sempre, non tardò a
rispondere: il 15 ottobre 1987, trentadue anni fa, un colpo di stato guidato
dal suo “vice” (e sino a quel momento amico fraterno) Blaise Compaoré depose
Sankara, che venne subito passato per le armi. Compaoré divenne il dittatore
del Burkina Faso restando in carica quasi trent’anni ed annullando di fatto
ogni ambizione di riforma avviata dal suo predecessore.
Ricordare dunque i 35 anni di quel discorso all’ONU non vuol dire solo
ricordare un uomo coraggioso e lungimirante. Vuol dire anche seguire il papa e
la Chiesa - tutta la Chiesa, ben compresa quella africana, che non è affatto né
contro le migrazioni né contro il papa! – nel promuovere un’azione
internazionale che punti a rimuovere le ragioni vere e profonde di fenomeni
come quelli che abbiamo di fronte. A cominciare dalla nostra Europa, che
dovrebbe porsene alla guida. Senza guardare i falsi profeti e gli ipocriti di
un mondo globale che, prima o poi, non li accetterà più.