Perché questo titolo? Lo
scoprirete leggendo questa mia esperienza.Trentatré giorni dopo essere
stato ordinato prete il vescovo mi mandò a Levanto come coadiutore-curato del
parroco di S. Andrea. Arrivai il giorno di domenica 1 agosto del 1954 e subito
il parroco mi affidò, come servizio pastorale, la cura degli adolescenti
dell’azione cattolica. Al primo incontro un ragazzo mi disse: “non creda che
tutti i giovani di Levanto appartengano a questa associazione e neppure
all’associazione Araldini dei Padri Francescani! La maggior parte di essi sono
liberi per le strade ed i locali pubblici”. Ricordando l’esempio di “Barba”
Domenico, che andava a trovare i pescatori a Fegina perché la domenica non
potevano frequentare la chiesa dovendo andare a pesca, mi misi a caccia dei
ragazzi di strada; ne trovai un gruppo che divideva il proprio tempo giocando a
“calcio balilla” in un bar presso la Pubblica Assistenza Croce Verde e la
spiaggia; un secondo gruppo giocava a pallone ai giardini pubblici, disturbando
gli anziani che sedevano al fresco e i bambini più piccoli intenti ai loro
giochi. Mentre cercavo i ragazzi incontrai un uomo, anche lui in cerca di
qualcosa: si chiamava Pietro Rosa, pittore di La Spezia, che cercava angoli
caratteristici o soggetti speciali per i suoi quadri. Nel 1964 il Vescovo mi
affidò la cura pastorale della parrocchia di S. Teresa di Gesù Bambino, nei
quartieri popolari e periferici di La Spezia. La casa canonica, al piano terra,
era composta da studio parrocchiale, cucina ed una grande sala che immaginai
fosse adibita a sala da pranzo, ma quando arrivarono da Serravalle mia madre e
mio fratello, decidemmo di mangiare in cucina, essendo l’unico locale
riscaldato e, guardando quella che secondo me era la sala da pranzo, notai che
aveva una grande parete nuda. Pensai che in quella parete disadorna ci sarebbe
voluto un quadro per abbellirla, così pensai a Pietro Rosa, il pittore che
avevo conosciuto a Levanto. Gli telefonai e lui prontamente venne. Guardando la
parete in argomento anche lui disse che ci sarebbe voluto un grande quadro e
subito realizzò uno schizzo su carta da disegno che raffigurava una famiglia di
pescatori seduta sulla spiaggia. Il soggetto mi piacque immediatamente perché
mi ricordava la mia vita di giovane prete. La chiesa di S. Teresa era simile ad
un capannone di fabbrica, in linea con l’ambiente, e notai che era
completamente disadorna, l’unico addobbo era un grande crocifisso posto sopra
l’altare. Il mese successivo Pietro Rosa mi telefonò dicendomi che il quadro
per la canonica era terminato ed era esposto in un negozio di via S. Agostino a
La Spezia. Andai a ritirarlo e, mentre uscivamo per metterlo in macchina, passò
un signore anziano che disse a voce alta: “finalmente Rosa si sveglia!” Notando
la bellezza ed i colori del quadro, ingolosito, parlai con Rosa e lo portai in
chiesa dicendogli “desidero una grande pala da mettere sull’altare sotto la
croce; deve rappresentare il Cristo deposto dalla croce”. Insieme andammo in un
negozio della città per acquistare la tela. Lui la ordinò larga 4 metri e alta
2 in quanto aveva in mente una scena grandiosa; il passo successivo fu di
ordinare, dal falegname, una cornice in legno di noce. Passati alcuni giorni mi
invitò nel suo studio di Via Lunigiana in un locale ricavato da una casa
contadina. Quando arrivai vidi che la tela era stata messa nel telaio e Rosa
stava disegnando a carboncino le figure che poi avrebbe dipinto. Così, ogni
pomeriggio, andavo ad assistere alla nascita del quadro, apprezzandolo ogni
giorno di più e, mentre dipingeva, io gli raccontavo ciò che il Vangelo dice a
proposito della scena in questione. Nel quadro sono presenti le figure di Gesù
deposto, simile a qualunque uomo deposto, morto sul lavoro, sulla strada o in
guerra; per questo Rosa ha sempre citato il dipinto come “l’Uomo deposto”,
mentre io gli dicevo “Gesù Uomo deposto”. Devo dire una cosa che può sembrare
incredibile: la figura di Gesù, uomo deposto, mi ha sempre ricordato
Michelangelo per la potenza della scena rappresentata. San Paolo, nella lettera
alla comunità cristiana di Filippi (città della Macedonia), scrive “ Cristo
Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la Sua
uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo
divenendo simile agli uomini, facendosi ubbidiente fino alla morte di croce;
per questo Dio l’ha esaltato e Gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni
altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla
terra e sotto terra ed ogni lingua proclami che Gesù è il Signore a gloria di
Dio Padre”. Michelangelo, nel Giudizio Universale, ha raffigurato Gesù Signore
e Giudice. Rosa, nel quadro, ha raffigurato Gesù servo uomo, obbediente fino
alla morte, ma con una potenza che li accomuna. Le altre figure rappresentano
Giuseppe di Arimatea, proprietario del terreno in cui verrà poi posto Gesù nel
sepolcro e che Giuseppe aveva scavato per se stesso e Giovanni, Apostolo ed
Evangelista – l’unico apostolo presente sul Calvario e un giovane rappresentato
nell’atto di spingere Giovanni che sostiene il corpo dell’uomo deposto. Questa
figura mi ricorda l’evangelista Marco che scrive: “mi stavo coricando per la
notte quando udii che nella strada passava una folla urlante; uscii per seguire
il corteo che si dirigeva verso un uliveto al di là del torrente Cedron; tra la
folla vi erano le guardie del tempio che, arrivati nell’uliveto, presero Gesù e
lo legarono per portarlo via. Gridai per farmi riconoscere e un soldato cercò
di catturarmi ma riuscii a fuggire rifugiandomi nei vicoli della città ed a
rientrare così in casa”. A sinistra del quadro si nota la figura di una donna
che rappresenta Maria di Magdala, la quale sostiene un braccio di Gesù deposto.
Rosa mi disse che la giovane donna era l’immagine della propria figlia. A
destra del quadro si vede un gruppo composto da una donna seduta a terra e che
stringe tra le braccia un bambino piccolo e dietro di lei un uomo
incappucciato, che rappresenta Niccodemo (un famoso maestro ebreo discepolo
nascosto di Gesù). Vedendo la donna con il bimbo in braccio guardai Rosa
meravigliato chiedendogli: “se la donna è la madre di Gesù, cosa ci fa con il
bimbo in braccio? “E lui mi rispose: “lo vedi che sei poco intelligente? Non lo
sai che una madre, quando perde un figlio è come se lo stringesse tra le
braccia ancora bimbo?” Poi con un tono ironico aggiunse: “ma voi preti non dite
che la Madonna è la madre di tutti gli uomini? E allora quel bimbo “sono me”.”
Questa è la firma di Rosa nel quadro. Il vecchio alle spalle della madre tiene
le mani appoggiate su di lei e sembra volerla proteggere e confortare, ma Rosa
mi disse: “è lui che ha bisogno di protezione e conforto perché la donna è più
forte dell’uomo!” Quando il quadro fu posto in chiesa Rosa mi disse: “la scena
rappresentata è dura e triste, ma se noi abbiamo la forza ed il coraggio di
salire la montagna, la striscia di azzurro che compare sulla cima del monte
significa che al di là della scena esiste il sole e la luce di Dio. La pala ora
si trova alle Grazie nel convento Olivetano, perché Rosa è nato in quel paese
ed è giusto che là sia conservata e nella chiesa che è stata la mia parrocchia
per tanto tempo e che ho amato, è rimasto quel crocifisso dal quale Gesù,
chinando lo sguardo, sembra che dica “dov’è finito il mio corpo?” Il corpo di
Gesù è in Paradiso con il Padre dove speriamo di essere accolti anche noi. Quando,
o se, entrate in chiesa, guardate bene il crocifisso sull’altare e pensate:
rappresenta il servo di Dio che ci trasporta con se verso il Padre