N° 5 - Maggio 2019
UN PRIMO MAGGIO PER GUARDARE AVANTI
di Egidio Banti

Quando la Giornata del primo maggio ha cominciato ad essere celebrata ed a diffondersi nel mondo, all’incirca nell’ultimo decennio dell’Ottocento, era una Giornata che induceva a guardare avanti. La rivoluzione industriale datava certo già più di un secolo, ma la grande diffusione delle fabbriche, con tutti i connessi problemi legati alle condizioni del lavoro, ovvero dei lavoratori e delle lavoratrici, in Europa risaliva a pochi decenni prima. Era già passato del tempo, ma le lotte operaie, intese in primo luogo come rivendicazione dei diritti e della dignità di uomini e donne del lavoro, avevano ancora molta strada di fronte. La giornata del 1° maggio, legata nel suo sorgere ad eventi diversi tra loro ma tutti indirizzati a un cammino di giustizia sociale e di dignità umana, doveva dunque per necessità spingere a guardare avanti.
La condizione degli uomini e delle donne in fabbrica era ancora spesso disumana, e lo sarebbe stata ancora per molti decenni, sia pure con miglioramenti via via importanti, sino almeno alla fine della seconda guerra mondiale. Nel 1936, il celeberrimo film di Charlie Chaplin Tempi moderni rappresentava ancora in modo straordinario quella disumanità.
Nel nostro tempo, le conquiste del mondo del lavoro sono andate via via crescendo e spesso il 1° maggio, se non proprio ad una scampagnata, si è andato assimilando ad una celebrazione ripetitiva, aggiornata, se mai, alle diverse vicende locali o regionali di crisi economica, industriale e quindi lavorativa.
Oggi però siamo entrati in un’epoca nuova, quella del cosiddetto post-moderno: un’epoca la cui “novità” è legata in modo particolare al dirompente influsso dei nuovi mezzi della tecnica e delle comunicazioni sociali. Al di là delle grandi crisi economiche, nel cui vortice l’Italia si trova coinvolta da almeno dieci anni e che comportano forti mutamenti nelle condizioni di vita delle persone e delle famiglie, è la natura stessa del lavoro ad essere messa in discussione, con la diffusione sempre più massiccia della robotica e quindi la trasformazione del concetto stesso di lavoro umano.
Non è solo un problema economico, ma etico, e questo aspetto sta molto a cuore alla dottrina sociale della Chiesa. Emergono infatti veri e propri 'rischi etici', che possono mettere in crisi valori di fondo quali dignità umana, autonomia, privacy, giustizia, solidarietà. È stato questo il tema affrontato dal parere « Future of Work, future of Society » pubblicato alla fine dello scorso anno, il 19 dicembre 2018, dallo « European Group on Ethics in Science and New Technologies », organismo di consulenza del presidente della Commissione Europea. Vi viene messo in luce come le nuove tecnologie possono 'de-umanizzare' il lavoro e sostituirlo, almeno in alcuni settori, producendo disoccupazione ma anche escludendo l’uomo ed umiliandolo rispetto alle possibilità di sviluppo delle sue capacità naturali.
Su questi temi papa Francesco è intervenuto varie volte e, di recente, il 25 febbraio 2019 nel suo intervento all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, riunita a Roma per discutere proprio di etica e di robotica. E il Papa, come sempre, ha parlato con chiarezza: “È importante ribadirlo: l’intelligenza artificiale, la robotica e altre innovazioni tecnologiche devono essere impiegate in modo da contribuire al servizio dell’umanità e alla protezione della nostra casa comune invece che per l’esatto opposto, come purtroppo prevedono alcune stime. L’inerente dignità di ogni essere umano va posta tenacemente al centro della nostra riflessione e della nostra azione”.
Al centro, come si vede, e come sempre è stato nella dottrina sociale, c’è la persona dell’uomo, al cui valore e alla cui dignità un lavoro dignitoso e sufficiente è essenziale: così è stato sempre scritto nelle encicliche pontificie dedicate al tema del lavoro, dalla Rerum Novarum di Leone XIII alla Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, per arrivare alla Laudato Si’ di Francesco.
La Chiesa, come molte volte nel corso dei secoli, guarda avanti. Senza polemica, ma quando occorre con fermezza, richiama i fedeli, e tutti i suoi interlocutori a tenere conto dei “segni dei tempi”, citati da Giovanni XXIII nel documento di indizione del Concilio Vaticano II, e poi ripresi in vari testi del Concilio stesso. Non per esserne spaventati, perché chi annunzia la buona Novella non può mai essere spaventato, ma per svolgere in forma adeguata il proprio impegno nel mondo.
Il primo maggio – storicamente – è dunque occasione di festa, di incontro, ma anche di riflessione e di visione prospettica. Perché la stessa lotta sindacale deve guardare avanti, cogliere non solo le esigenze presenti, ma anche le condizioni da costruire nel futuro, vicino o lontano che sia, perché la dignità degli uomini e delle donne del lavoro sia garantita e difesa.
Per questo è ragionevole pensare che sempre di più, nei prossimi anni, attorno al tema del lavoro, e quindi attorno al primo maggio, ci siano le nuove tecnologie e le conseguenti trasformazioni nelle condizioni stesse di vita e di lavoro delle persone. Iniziamo a farlo e, in primo luogo come cattolici, chiediamo ai nostri pastori e alle nostre associazioni di essere consapevoli di queste profonde ed anche gravi trasformazioni e di aiutarci a riflettere nel modo più giusto perché la nostra società resti e si rafforzi come umana, collegando sempre le novità dei tempi con il cammino antico della Creazione.

 



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