Quando la
Giornata del primo maggio ha cominciato ad essere celebrata ed a diffondersi
nel mondo, all’incirca nell’ultimo decennio dell’Ottocento, era una Giornata
che induceva a guardare avanti. La rivoluzione industriale datava certo già più
di un secolo, ma la grande diffusione delle fabbriche, con tutti i connessi
problemi legati alle condizioni del lavoro, ovvero dei lavoratori e delle
lavoratrici, in Europa risaliva a pochi decenni prima. Era già passato del
tempo, ma le lotte operaie, intese in primo luogo come rivendicazione dei
diritti e della dignità di uomini e donne del lavoro, avevano ancora molta
strada di fronte. La giornata del 1° maggio, legata nel suo sorgere ad eventi
diversi tra loro ma tutti indirizzati a un cammino di giustizia sociale e di
dignità umana, doveva dunque per necessità spingere a guardare avanti.
La
condizione degli uomini e delle donne in fabbrica era ancora spesso disumana, e
lo sarebbe stata ancora per molti decenni, sia pure con miglioramenti via via
importanti, sino almeno alla fine della seconda guerra mondiale. Nel 1936, il
celeberrimo film di Charlie Chaplin Tempi
moderni rappresentava ancora in modo straordinario quella disumanità.
Nel nostro
tempo, le conquiste del mondo del lavoro sono andate via via crescendo e spesso
il 1° maggio, se non proprio ad una scampagnata, si è andato assimilando ad una
celebrazione ripetitiva, aggiornata, se mai, alle diverse vicende locali o
regionali di crisi economica, industriale e quindi lavorativa.
Oggi però
siamo entrati in un’epoca nuova, quella del cosiddetto post-moderno: un’epoca
la cui “novità” è legata in modo particolare al dirompente influsso dei nuovi
mezzi della tecnica e delle comunicazioni sociali. Al di là delle grandi crisi
economiche, nel cui vortice l’Italia si trova coinvolta da almeno dieci anni e
che comportano forti mutamenti nelle condizioni di vita delle persone e delle
famiglie, è la natura stessa del lavoro ad essere messa in discussione, con la
diffusione sempre più massiccia della robotica e quindi la trasformazione del
concetto stesso di lavoro umano.
Non è solo
un problema economico, ma etico, e questo aspetto sta molto a cuore alla
dottrina sociale della Chiesa. Emergono infatti
veri e propri 'rischi etici', che possono mettere in crisi valori di fondo
quali dignità umana, autonomia, privacy, giustizia, solidarietà. È stato questo
il tema affrontato dal parere « Future of Work, future of Society »
pubblicato alla fine dello scorso anno, il 19 dicembre 2018, dallo « European
Group on Ethics in Science and New Technologies », organismo di
consulenza del presidente della Commissione Europea. Vi viene messo in luce
come le nuove tecnologie possono 'de-umanizzare' il lavoro e sostituirlo,
almeno in alcuni settori, producendo disoccupazione ma anche escludendo l’uomo
ed umiliandolo rispetto alle possibilità di sviluppo delle sue capacità
naturali.
Su questi temi papa Francesco è intervenuto varie volte e, di
recente, il 25 febbraio 2019 nel suo intervento all’assemblea plenaria della
Pontificia Accademia per la Vita, riunita a Roma per discutere proprio di etica
e di robotica. E il Papa, come sempre, ha parlato con chiarezza: “È importante ribadirlo: l’intelligenza
artificiale, la robotica e altre innovazioni tecnologiche devono essere
impiegate in modo da contribuire al servizio dell’umanità e alla protezione
della nostra casa comune invece che per l’esatto opposto, come purtroppo
prevedono alcune stime. L’inerente dignità di ogni essere umano va posta
tenacemente al centro della nostra riflessione e della nostra azione”.
Al centro,
come si vede, e come sempre è stato nella dottrina sociale, c’è la persona
dell’uomo, al cui valore e alla cui dignità un lavoro dignitoso e sufficiente è
essenziale: così è stato sempre scritto nelle encicliche pontificie dedicate al
tema del lavoro, dalla Rerum Novarum di
Leone XIII alla Laborem Exercens di
Giovanni Paolo II, per arrivare alla Laudato
Si’ di Francesco.
La Chiesa,
come molte volte nel corso dei secoli, guarda avanti. Senza polemica, ma quando
occorre con fermezza, richiama i fedeli, e tutti i suoi interlocutori a tenere
conto dei “segni dei tempi”, citati
da Giovanni XXIII nel documento di indizione del Concilio Vaticano II, e poi
ripresi in vari testi del Concilio stesso. Non per esserne spaventati, perché
chi annunzia la buona Novella non può mai essere spaventato, ma per svolgere in
forma adeguata il proprio impegno nel mondo.
Il primo
maggio – storicamente – è dunque occasione di festa, di incontro, ma anche di
riflessione e di visione prospettica. Perché la stessa lotta sindacale deve
guardare avanti, cogliere non solo le esigenze presenti, ma anche le condizioni
da costruire nel futuro, vicino o lontano che sia, perché la dignità degli
uomini e delle donne del lavoro sia garantita e difesa.
Per questo è
ragionevole pensare che sempre di più, nei prossimi anni, attorno al tema del
lavoro, e quindi attorno al primo maggio, ci siano le nuove tecnologie e le
conseguenti trasformazioni nelle condizioni stesse di vita e di lavoro delle
persone. Iniziamo a farlo e, in primo luogo come cattolici, chiediamo ai nostri
pastori e alle nostre associazioni di essere consapevoli di queste profonde ed
anche gravi trasformazioni e di aiutarci a riflettere nel modo più giusto
perché la nostra società resti e si rafforzi come umana, collegando sempre le
novità dei tempi con il cammino antico della Creazione.