Considerazioni finali.
Terminato
il Concilio sono subito emersi valutazioni e comportamenti divergenti tra le
varie componenti della Chiesa. Per esempio, la “teologia della liberazione”,
una corrente di pensiero teologico del Sudamerica molto aperto al mondo degli
ultimi, viene emarginata e stroncata, com’era successo in Francia con i preti
operai, temendo che si formassero due Chiese a confronto, una per i poveri ed
una per i ricchi, mentre ha successo un certo “reflusso” tradizionalista
attraverso lo sviluppo di movimenti laicali e secolari di natura
carismatica come l’Opus Dei, Comunione e
Liberazione, i Legionari di Cristo e i Neocatecumenali, che per certi
atteggiamenti sembrano sentirsi pervasi da uno “status” speciale, quasi la persuasione di una particolare elezione ( l’Opus Dei e i lefebvriani continuano a celebrare la Messa in latino).
Le aspettative per i risultati del Concilio, visto da molti come una “nuova Pentecoste”
sono ampie e grandi tra il clero e i
laici, ma in troppi casi restano solo aspettative. Lo stesso Paolo VI, il 29
giugno 1972 (7 anni dopo la conclusione!) nell’omelia per la festa di san
Pietro e Paolo, così si esprime, annotando anche i rischi, né ipotetici né
teorici, della perdita di importanza e di credibilità della Chiesa nella
società civile: “Sembra che da qualche
fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. Non ci si fida più
della Chiesa, ci si fida del primo profano che viene a parlarci da qualche
giornale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. Si
credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia
della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di
ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre più
dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli.”
(Fu buon profeta per i brutti avvenimenti che ancora emergono dall’interno
della Chiesa. Lo stile è diverso, ma la sostanza è la stessa delle parole di
papa Francesco. Sono passati 50anni, eppure sembrano essere cambiate solo le
cose che non turbano e non infastidiscono.) Il Vaticano II° è stato definito
anche il Concilio “della Chiesa”, “di Cristo”, “dell’uomo”: infatti è stretto
il rapporto tra l’ecclesiologia, la cristologia e l’antropologia nel dibattito
e nei documenti conciliari. Il punto focale è la Chiesa. Di essa il Concilio
esplora il mistero, delinea il disegno divino della sua costituzione,
approfondisce la natura, illustra la missione, rivaluta la vocazione del laici
e il loro ruolo nella missione del Popolo di Dio. Sempre Paolo VI nel riaprire
il Concilio (29 sett. 1963), dopo la morte di Giovanni XXIII, dichiara: “Abbia questo Concilio pienamente presente
questo rapporto tra noi e Gesù Cristo, tra la santa e viva Chiesa e Cristo.
Nessun’altra luce brilli su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del
mondo.” La Chiesa, che rivelando se stessa e la sua natura, rivela Cristo
di cui è la manifestazione visibile, è fra gli uomini e per gli uomini e “si
sente realmente e intimamente unita con il genere umano.” La Chiesa per sua
natura non può chiudersi in se stessa, in una torre d’avorio, ma deve aprirsi
nella sua missione di evangelizzazione e di salvezza all’intera famiglia umana
nel contesto di tutte le diversità entro le quali vive.
Nella costituzione Lumen gentium (
Luce dei popoli) i padri conciliari analizzano lo status della Chiesa , prendono atto che non sono presenti rilevanti
problematiche di natura teologica e dogmatica da affrontare e risolvere, pertanto
l’attenzione è tutta tesa all’aspetto pastorale, cioè alla ricerca e allo
studio degli strumenti più idonei al dialogo per richiamare l’attenzione sulla
fede nel trascendente. Il rinnovamento e aggiornamento auspicati e voluti da
Giovanni XXIII° riguardano proprio l’agire quotidiano del credente con la
parola e con l’esempio concreto, al fine di riportare i tiepidi e i lontani a
scoprire l’insegnamento di Gesù nella sua pienezza e dimostrare come anche la
vita terrena cambierebbe completamente in positivo. Partendo dall’assioma che
la ragione e la conoscenza aiutano a trovare e a far crescere la fede (tesi
già affermata dal Concilio Vaticano I nella costituzione Dei Filius ) i padri
conciliari ritengono determinante
sollecitare la partecipazione consapevole e attiva di tutti alla liturgia,
intesa come insostituibile forma di dialogo con Dio-Padre per mezzo del Figlio,
attraverso l’uso delle lingue nazionali e di altri aggiornamenti come il ritorno
dell’altare a forma di tavolo e la possibilità di ricevere l’Eucarestia con le
proprie mani.
Con una fede più consapevole è possibile liberare i fedeli da obblighi e
precetti. Esempio: che senso ha l’obbligo della Messa nelle feste di precetto?
O la confessione almeno una volta l’anno? Se non si sente il forte bisogno
spirituale della preghiera, di partecipare (non assistere!) alla Mensa
Eucaristica o di riordinare le idee e rendere fecondo il rapporto con il Padre
dialogando con il sacerdote nella confessione-riconciliazione, quanto vale la
fede dichiarata a parole? (Nella prima udienza generale del 2019 papa Francesco
ha detto: “Meglio vivere come ateo,
anziché dare una contro-testimonianza dell’essere cristiani.” )
La fede non è fatta di ripetitivi e abitudinari gesti, ma è adesione, senza
condizioni, ad un progetto di salvezza che, portandoci fuori dai limiti del
tempo, ci fa definitivamente figli di Dio.
E’ evidente come questo sia un progetto che eleva ed esalta la natura umana.
(L’uomo di oggi sembra con i fatti di pensarla in modo diametralmente opposto.)
Il Vaticano II° nel confermare la libertà di scelta da parte dell’uomo, perché
questa è la volontà divina che attraverso il sacrificio di croce del Figlio ha
già salvato anche l’ultimo che nascerà, sprona ad accogliere l’offerta di
diventare figli di un Creatore che, in
molte occasioni e diversi modi, ha manifestato la sua determinazione di voler
essere solo Padre-non padrone, quindi sempre pronto all’ascolto con gioia così
come Gesù ci suggerisce nella parabola detta “del figlio perso e ritrovato”,
“del padre misericordioso” e “del figliol prodigo”. (Luca 15,11-32 )