In tutta la Val di Magra esiste ormai da tempo una rete di
associazioni, piccole e meno piccole, che approfondiscono, anche sulla base di
esperienze dirette, le grandi tematiche relative all’accoglienza ed
all’integrazione di quanti sono giunti ed ancora giungono nel nostro territorio
fuggendo, spesso, da situazioni disumane di guerra, di violenza, di pesante
sottosviluppo o simili.
Queste attività - pur in un contesto non facile per la persistente crisi
economica e per l’impatto che nella vita di ciascuno hanno le trasformazioni
tecnologiche in corso hanno sin qui
ottenuto riscontri sicuramente positivi.
Non può che essere positivo, infatti, il dialogo con persone appartenenti a
popoli diversi dal nostro e con sulle proprie spalle il vissuto di esperienze
che meritano non solo comprensione, ma riflessione: i migranti, come sempre
avvenuto nella storia, non solo ci chiedono aiuto, ma anche ci insegnano molto
e quindi essi stessi aiutano noi a vivere in un contesto migliore.
Per queste ragioni, le associazioni di cui sopra si è detto si sono riunite
nelle settimane scorse a Sarzana per esaminare la situazione creatasi in
seguito all’entrata in vigore del Decreto Legge 4 ottobre 2018 n. 113,
convertito in legge soltanto grazie a ripetuti voti di fiducia il 28 novembre
scorso (“Decreto Sicurezza” o “Decreto Salvini”).
La nuova legge, di fatto, trasforma l'accoglienza nelle reti SPRAR (l'unico
strumento di accoglienza che coinvolge le amministrazioni locali: Luni e
Castelnuovo Magra proprio alla fine dell’anno scorso avevano presentato uno
specifico progetto, insieme ad Arcola), prevedendola solamente per i titolari
di protezione internazionale e per i minori non accompagnati. Una tale scelta
indirizza il sistema di accoglienza solo verso i grandi centri (CARA, CAS),
sovradimensionati e spesso relegati in luoghi isolati, rendendo così molto
difficile quel processo di inclusione sociale che dovrebbe invece essere
elemento portante di una strategia di integrazione che vada a vantaggio sia dei
richiedenti asilo sia delle comunità ospitanti.
Non solo. L’impossibilità per chi richiede asilo di iscriversi all'anagrafe
impedisce di accedere compiutamente a servizi basilari come la sanità, senza
contare che l’esclusione dal registro anagrafico, impedendo l’accesso alla residenza
ed il rilascio della carta d'identità, esclude la possibilità di essere
beneficiari di un contratto di lavoro, favorendo il diffondersi del lavoro nero
e di illegalità in generale.
I minori non accompagnati, a loro volta, rischiano, al compimento del 18° anno
di età, di uscire dai percorsi di accoglienza e di finire in strada o,
alternativamente, di richiedere il prosieguo amministrativo con rette a totale
carico del Comune sino al compimento del 21° anno di età. Non a caso l'ANCI -
Associazione Nazione Comuni Italiani - ha già stimato in non meno di 280
milioni di euro i costi amministrativi conseguenza diretta del decreto che
ricadranno su Servizi Sociali e Sanitari territoriali e dei Comuni.
Abolire la protezione umanitaria e sostituirla con il permesso di soggiorno per
motivi speciali aumenterà inoltre i contenziosi giudiziari, in quanto detta
disposizione appare in palese contrasto con i principi di cui all'articolo 10
della Costituzione italiana, ed accrescerà le presenze sul territorio di persone
“irregolari”: si otterrà dunque esattamente l’effetto contrario di quanto si
dichiara di voler ottenere, nel momento in cui il problema sembra essere invece
l’opposto, ovvero quello di favorire un processo ordinato e regolare di
integrazione, anche tra culture diverse, a beneficio di tutti. Per questi
motivi, il documento delle associazioni, elaborato a Sarzana, afferma trattarsi
non di una “legge sicurezza”, ma, paradossalmente, di una “legge insicurezza” …
Tutto ciò rischia di vanificare gli sforzi dei Comuni, compresi, come detto,
anche Luni e Castelnuovo, i quali, attuando o decidendo di attuare nei propri
territori la rete SPRAR, stanno fornendo un notevole contributo per assicurare
un'equa distribuzione dei migranti, sostenibile su tutto il territorio
nazionale, e non solo nelle grandi aree urbane.
Il documento delle associazioni osserva anche che “Il trattenimento
amministrativo dei richiedenti asilo nei Centri di permanenza per il rimpatrio
non può diventare di fatto una forma di reclusione applicata senza il
riconoscimento giudiziale di un reato. Esso non dovrebbe andare oltre le esigenze
della prima identificazione.
Considerata, infatti, l'oggettiva difficoltà di effettuare rimpatri volontari e
l'assenza di ulteriori accordi con i paesi di origine, i richiedenti asilo
trattenuti, al termine dei 180 giorni previsti dalla legge, rimarrebbero in
Italia senza avere diritti, con ovvie ricadute in termini di marginalità
estreme, disoccupazione ed illegalità”.
Con l’entrata in vigore della nuova normativa, anche nel territorio spezzino
molti migranti rischiano ora di trovarsi a non avere più luoghi e strutture di
ospitalità e di accoglienza. Vi saranno inoltre, e già in parte si stanno
manifestando, ricadute negative sul personale lodevolmente impegnato nelle
strutture di accoglienza.
Molto importante diventa allora, a fianco delle amministrazioni comunali, il
ruolo delle associazioni, già “esperte” in questa delicata materia, ed anche,
in particolare, quello della Chiesa cattoliche e delle altre confessioni
cristiane presenti sul territorio. Papa Francesco e la Conferenza episcopale
italiana non cessano di esortare le comunità ecclesiali presenti in tutto il
Paese di farsi “esempio concreto” di accoglienza e di integrazione. Molte comunità,
con a fianco la Caritas ed altre strutture associative, già lo stanno facendo
ogni giorno, ma appare evidente che si deve fare di più. E’ una sfida per
tutti, e certo in modo speciale per coloro che hanno letto nel Vangelo le forti
parole del Maestro: “Avevo fame … avevo sete … ero malato … ero pellegrino … e
non avete fatto nulla per me !”.