Per la sesta volta
dall’inizio del suo pontificato, il 1° gennaio 2019 papa Francesco celebra una
nuova Giornata mondiale della pace. Egli si pone così ancora una volta nel
solco dei suoi predecessori, a cominciare da san Paolo VI, che quella Giornata
volle istituire alla fine del 1967, celebrandola per la prima volta all’inizio
del 1968. Come è noto, ogni sommo pontefice, in questa circostanza, trasmette
alla Chiesa, ma anche ai popoli del mondo ed ai loro governanti, un messaggio
dedicato ad un tema specifico. Il tema del 2019, cinquantaduesima Giornata di
questa ormai lunga serie, è il seguente. “La buona politica è al servizio della
pace”. Ancora una volta, dunque, seguendo i suoi immediati predecessori, ma
anche, ancora prima, san Giovanni XXIII con la sua straordinaria enciclica del
1963 “Pacem in terris”, il papa indica la complessità ed anche la ricchezza del
tema della pace.
Una pace che non è
solo assenza di guerre o di violenze, ma che deve essere vista come un processo
attivo e positivo. Per questo la pace va di pari passo con la politica, che è,
o dovrebbe essere, la guida positiva della comunità civile. Si tratta di un
concetto abbastanza ovvio. Però un’osservazione va fatta: in cinquantadue anni,
due volte soltanto la parola “politica” è comparsa nel titolo di un messaggio
per la Giornata mondiale, ed entrambe le volte ad opera di papa Francesco. La
prima volta fu due anni or sono, nel 2017, quando il tema proposto fu “La non
violenza, stile di una politica per la pace”. Quest’anno il concetto di
politica viene ripreso per la seconda volta, con l’aggiunta di un aggettivo
importante: “la buona politica” che, dice il papa, deve essere “al servizio
della pace”.
Viene dunque da
chiedersi che cosa si debba intendere per “buona politica”. E’ quasi
inevitabile sottolineare come, nella visione cristiana del mondo e della
storia, l’aggettivo “buono” sia anzitutto legato ad un’altra parola,
fondamentale per noi credenti in Cristo, ovvero la parola “notizia”. La “buona
notizia” dell’annuncio cristiano non è altro infatti che la traduzione italiana
della parola greco “ev-angelo”, Vangelo.
Così come la notizia
del Natale, e poi ancora di più quella della Risurrezione di Cristo sono
“buone” nel senso di decisive e determinanti per le persone umane e per il loro
futuro, così, sia pure in un ambito più ristretto, la “buona politica” è la
politica positiva, capace di non guardare a se stessa, alla propria
autoreferenzialità, bensì volta a costruire con tutti un dialogo di governo
della cosa pubblica.
Per questo, il
commento al messaggio del 2019, pubblicato il 6 novembre scorso sul bollettino
della sala stampa vaticana, si conclude così: “Siamo pertanto chiamati a portare e ad annunciare la pace
come la buona notizia di un futuro dove ogni vivente verrà considerato nella
sua dignità e nei suoi diritti”.
Se la buona notizia evangelica
unisce dunque insieme la prospettiva della vita terrena con quella
dell’eternità in Dio, la pace, grazie all’azione della politica, deve essere,
in un ambito più ristretto, la “buona notizia di un futuro” immediato, terreno,
ma ovviamente non privo di importanza.
In un tale futuro ogni persona
vivente deve essere considerata “nella
sua dignità e nei suoi diritti”. Si tratta di un concetto evidente: chi è
figlio di Dio, e chi è destinato, grazie alla “buona notizia” del Vangelo di
Cristo, ad un destino di eternità “nel grembo del Padre”, non può non essere
considerato anche in questa vita come persona destinata alla gloria, e quindi
non le possono essere negati dignità e diritti.
Accade talora di leggere
articoli o testi di persone ed anche di studiosi che si dicono cattolici e che
sembrano criticare la Chiesa, specie nella sua attuale fase storica, in quanto
sarebbe troppo attenta a promuovere aspetti “mondani” della vita, quali appunto
la dignità della persona e i suoi diritti. Le parole di papa Francesco,
peraltro in assoluta coerenza e continuità con quelle dei predecessori, fanno
giustizia di quelle critiche infondate. Vale la pena di ricordare il nome di un
grande umanista a noi caro, il fiorentino Giannozzo Manetti che, vissuto tra il
1396 e il 1459, fu, tra il 1447 e il 1455, il segretario di papa Niccolò V, il
grande sarzanese Tommaso Parentucelli. Manetti scrisse un testo latino che è
tuttora alla base del pensiero cristiano, e che dovrebbe forse tornare di
attualità in tempi nei quali un po’ tutti, a fronte di cambiamenti davvero
epocali che sembrano minare alla radice l’umanità stessa, vanno alla ricerca di
un “nuovo umanesimo”. Quel libro era intitolato “De dignitate et excellentia
hominis”, ovvero “Trattato sulla dignità e sulla grandezza della persona
umana”.
E’ possibile dire che in quel
trattato – che certo Manetti fece leggere in anteprima al suo mentore
Parentucelli, parlandone con lui – ci siano le basi della “buona politica” che
papa Francesco ci ricorda oggi essere fondamento della pace.
Una politica che non è, nella
visione del papa, quella di un singolo partito né di un’alleanza di partiti. Non
c’è bisogno di contratti per questa “buona politica”, ma di riflessione e di
azione. Partendo dalla persona umana e dalla sua grandezza. Tanto rilevante che
Dio stesso scelse di affidare al proprio Figlio unigenito, oltre alla natura
divina, anche quella di umana persona, facendone strumento di annuncio e di
redenzione.
Contemplare, come facciamo in
questi giorni, quel Bambino appena nato in una mangiatoia non può essere
sentimento né attesa: vuol dire invece meditare su noi stessi e sul cammino
(difficile) di costruzione di una vera pace che a noi è stato affidato.