Amarono l’uomo, i suoi tremuli versi, il meraviglioso suo
gergo
Alessandro
Giribaldi: “ E’ morto. Più non resta di lui che un sogno,
/ e questa tristezza / ch’io diffondo. / Egli è sepolto in me: dentro il mio
cuore…/ Oh Ceccardo. Ben di quanti
incontrai nel mio cammino, te sol, te sol signore, conobbi della vita, / e
dell’errore che t’addusse fidente al gran mattino, / il mattino della bella
poesia, che noi stanchi gregari… sogguardammo talvolta... disperando... / Te
benedetto che nel vasto cuore, fermasti audacemente il tuo destino…./. Da “Canti
del prigioniero”. Ceccardi,
Baratono, Giribaldi, Varaldo, i poeti di “Vita Nova”. Giribaldi uccise un uomo
in una rissa; Ceccardo gli fu sempre vicino. Varaldo il più prolifico e
conosciuto scrittore della prima metà del ‘900. Scrisse tre volumi di poesie e oltre cento libri con
Mondadori. (Senz’altro scrisse di Ceccardo… prima di diventare amici si
batterono a duello.)
Luigi
Amaro (Sanguinetti): Ceccardo è colui che seppe infrangere gli
argini lirici di fine ‘800, e costruire le basi della poesia moderna: capace di
abbandonare gli orpelli d’annunziani, le solennità carducciane, le classicità
pascoliane.
Camillo
Sbarbaro: Io poeta? Poeta è Ceccardo... Che corpo
sproporzionato per quel cuore di fanciullo. Per la strada camminava impacciato
dalla sua grandezza. Alto, magro,
dinoccolato, dimesso negli abiti, con un’espressione di profonda tristezza sul
volto dove brillavano due grandi occhi azzurri, più rivolti al cielo che alla
terra, distratto a tal punto, da non
scorgere chi incontrava lungo il cammino: un bambino con piglio da eroe. Sbarbaro,
Ceccardo, Baratono, i tre poeti nottambuli di Montale
Bruno
Cicchetti: Ceccardo, un poeta singolare e genuino, forse
l’unico vero interprete lirico del Liberty italiano.
Eugenio
Montale: Il nostro povero Ceccardo è morto, qui in
Lunigiana e Versilia era popolarissimo. Era il cantore della gente del mio
sangue, perché d’origine sono apuano anch’io. Padre dei cantori Liguri,
monumento di geniale inattualità, poeta elegiaco e paesista, ancora in attesa
di giustizia. - Montale scrisse questa bella poesia: Sotto
quest’umido arco dormì talora Ceccardo. / Partì merciaio di Lunigiana /
lasciandosi macerie a tergo. / Si piacque d’ombre di pioppi, di fiori di cardo.
/ Lui non recava gingilli: soltanto un tremulo verso / portò alla gente lontana
/ e il meraviglioso suo gergo. / Andò per gran cammino. Finché cadde riverso -
(E’
uscito un libro di Luigi Blasucci che parla dell’influenza ceccardiana nella
poesia di Montale)
Gabriele
D’Annunzio: Amico mio di pene involto. Poeta mero e della
più pura specie. Ponetelo non lontano dal sepolcro di Mazzini, perché riposi in
quell’ideale, che Egli respirò sino all’estremo anelito. Ceccardo
chiamava Mazzini: “Il Santo”
Giuseppe
Ungaretti: ne scrive con ammirazione sul Messaggero Egiziano: Il
poeta e l’uomo e sul Popolo d’Italia: l’Apuano Signoret (un poeta
francese). “Qualcuno dirà che fu carducciano, altri citerà Leopardi; io vedo
in certi suoi ritmi purissimi, un certo suo uso vibrante delle parole, il
solo che abbia saputo realizzare una poesia impressionistica in Italia”. L’Ungaretti
francese firmava i suoi “pezzi” di rubrica quotidiana sul “Courrier
Litteraire”, con lo pseudonimo “Proconsol”.
Il Console d’Egitto della
Repubblica di Apua, di Ceccardi.
Lorenzo
Viani (sconvolto) a Luigi Beccherucci: Porta una corona al
fratello mio immortale... Scrisse versi che quando gli italiani sapranno
leggere e scrivere per lor conto e diletto arderanno inconfondibili nel sole.
Giorgio
Caproni: Il mio primo referente è Ceccardo Roccatagliata
Ceccardi, autore alle origini della poesia moderna in Italia.
Mario
Novaro: Grande è la mia tristezza…ma mentre entra nel silenzio,
il suo verso che non può morire, sfavilla più puro e più alto.
Pierangelo
Baratono, aspirante come lui al titolo di poeta maledetto. Un
fanciullino per lo sconfinato desiderio di affetto, per gli sbalzi fulminei
dalla disperazione alla gioia, dall’impeto eroico alla tenerezza lirica.
Federico
Triglia: l’amico, sul Secolo XIX l’indomani della sua morte: E’
colpa degli uomini, non di Ceccardo se di lui rimane assai poco. Questo poeta, questo erudito, non lascia
nessun volume dietro di se, ma coloro che lo hanno conosciuto non lo
dimenticheranno mai. (E’ vero: ancora nel 1974 Montale parla di lui nella
poesia: Caffaro)
Carlo
Bo: Maledetto Ceccardo, aspetta ancora il suo vero inventore.
Un po’ come dire che gli si deve rendere giustizia. Ceccardo non era fatto per
vivere e forse per questo l’ha saputa cantare così bene questa vita di umiliazione
e di miseria. (Ceccardo
amava i poeti Maledetti francesi: “sono un fratello di Tristan Corbiere e di
Arturo Rimbaud e un piccolo cugino di Paolo Verlaine”, diceva. In memoria
di Corbiere, chiamò il figlioTristano: per questo fu chiamato il “Maudit
apuano”)
Manlio
Concogni: Ceccardo è certamente vittima di una grande ingiustizia. Ebbe la
disavventura di essere oltreché un poeta, un personaggio pittoresco. E temo che
il secondo abbia eclissato il primo. Ma di lui si dovrà pur parlare una buona
volta.
Ardengo
Soffici a Italo Sottini (che col poeta ebbe in comune la
fratellanza apuana e la fede in Giuseppe Mazzini): Il fuoco vorace dell’amor
patrio nel petto, e quell’austera eleganza del gergo, sono le ragioni capitali
perché la poesia del vate apuano, alta sempre, attinge sovente, la sublimità.
Non credo di illudermi affermando che essa può essere, se non comparata
puntualmente, avvicinata a quella immortale del cantore delle Grazie (Foscolo),
delle Ginestre (Leopardi), di Shelley e di Keats.
Ceccardo
diceva
di essere “Un mendicante d’azzurro e di sole, un uomo che di sogni è vissuto
e di sogni morrà”.
(Sul busto bronzeo di Tullio Andreani, a Ortonovo.
Monumento da restaurare cara Baruzzo).
Nell’archivio
di D’Annunzio, Pascoli, Carducci, c’erano “Sonetti e Poemi” e “Apua Mater”.
Tutti
i giornali annunciarono la sua morte. Ettore Janni scrisse un lungo articolo
sul Corriere della Sera. Nino di Vallorba dettò anche l’epigrafe da scolpire
sulla sua tomba: Qui riposa / Ceccardo Roccatagliata Ceccardi / che l’epoca
sua derise come uomo, / finse d’ignorare come altissimo poeta.
Quanta
diversità, dalla semplice, lapidaria, epigrafe, dettatasi da se medesimo
Hic
constitit Viator
(Qui si è fermato il viandante)
“Di vizi ricco e di virtù, da
lode. / Morte sol gli darà fame e riposo”