2 Settembre 2018- XXII Dom T.O. - Mc 7, 1-8.14-15,21-23
Gesù si trova in Galilea. Nei
villaggi dove si reca è sempre accolto da molte persone che cercano in Lui il
guaritore delle loro malattie e di quelle di parenti e amici (Mc 6, 55-56). La
fama di Gesù è arrivata anche nella capitale Gerusalemme e da lì partono alcuni
Farisei e Scribi per andare a conoscere quel Maestro di cui tanto si parla per
constatarne soprattutto l’ortodossia (= giusta dottrina) e l’ortoprassi (=
giusto comportamento) secondo la Legge e i Profeti.
NOTA: La
società al tempo di Gesù era formata da alcuni gruppi: quello che aveva il
potere economico (SADDUCEI), quello che aveva il potere spirituale e morale
(FARISEI e SCRIBI), quello che si opponeva al dominio romano (ZELOTI) e quello
più numeroso (il POPOLO).
Questi “Ispettori” trovano nell’agire dei discepoli di Gesù molti elementi che
non rispettano le regole della purità rituale ebraica: non si lavano le mani
prima di mangiare (… qui un piccolo rimprovero per l’igiene lo possiamo fare
pure noi …), non lavano le stoviglie in modo corretto, non si purificano
rientrando dal mercato … e pertanto chiedono a Gesù perché permette ai Suoi di
non rispettare le norme dettate dalla tradizione. Gesù, citando
il profeta Isaia (29,13), li rimprovera perché il loro rapporto con Dio si
limita ai riti e all’esteriorità (“Questo popolo mi onora con le labbra …”)
e la totalità della loro persona, con i pensieri, i sentimenti, ecc. (il “cuore”,
secondo la mentalità ebraica), viene tenuta lontana da Dio. E conclude ricordando che Dio non apprezza
questo tipo di culto: lo ritiene inutile quando è fatto di norme che non hanno
un fondamento dottrinale. San Giacomo, autore della Lettera che la liturgia ci
propone oggi come seconda lettura, era capo dei cristiani tradizionalisti di
Gerusalemme, i quali univano all’osservanza dei precetti evangelici
l’osservanza dei precetti ebraici.
Proprio lui, in un dibattito sul valore della legislazione rabbinica, dichiarò
che l’uomo è sporco non quando trascura di lavarsi le mani, ma quando trascura
“l’orfano e la vedova” (che erano considerati “i più poveri dei poveri”). Gesù richiama la
folla vicino a sé per istruirla sull’autentica religiosità usando un’immagine
molto semplice: non sono le cose esterne all’uomo a renderlo peccatore ma ciò
che viene da dentro di lui, ciò che si manifesta come pensiero, parola, opera o
omissione avendo il Male come fine. Concludendo si
può affermare che il popolo di Dio non deve” mandare al macero” tutti i riti
religiosi, ma deve viverli come punto di partenza per praticare i Comandamenti
e, in primo luogo, il Comandamento dell’amore che fonda e giustifica tutti gli
altri.
9 Settembre 2018 - XXIII Dom T.O. - Mc 7,31-37
Il Vangelo di oggi è l’invito
a imitare Gesù rivolto a coloro che vivono in terra pagana (il racconto della
guarigione del sordomuto avviene nella Decapoli, un territorio abitato da
persone che aderivano ai principi della cultura ellenista). Spesso il Cristiano è “sordomuto”:
non esercita più le sue capacità di ascolto e di parola. Spesso si sente
parlare del silenzio di Dio (“Perché Dio
non interviene contro il male?”, Perché non si fa sentire dai malfattori?” …ecc.)
ma in realtà si tratta di una nostra sordità:
non siamo più in grado di percepire ciò che Dio ci sta dicendo attraverso la
natura, la storia e gli avvenimenti della vita. Siamo costantemente impegnati
nell’ascolto degli strumenti della comunicazione globalizzata, sappiamo “tutto
ciò che succede nel mondo”: i fatti importanti… e le stupidità del gossip,
l’andamento dei titoli di borsa… e le tendenze della moda, cosa cucinano i
giapponesi il giorno del compleanno… e come costruiscono le case nella foresta
equatoriale, cosa ha fatto oggi la nostra amica… perché ha “postato” la foto
sul social…. Ma in tutte queste “conoscenze” non troviamo la risposta alle
domande sul senso della vita, sul perché del male, sul perché della nostra
insoddisfazione nonostante il possesso dei beni materiali. Un suggerimento
ce lo dà il buon ebreo che prima di leggere le Sacre Scritture dice:” Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta”.
Dobbiamo cercare le risposte dove si trovano!!! Spesso
invece non troviamo le parole: quelle per pregare, quelle per testimoniare la
nostra fede. L’afasia viene dalla superficialità con la quale ci poniamo di
fronte a Dio… viene dall’ignoranza dei contenuti fondamentali del Vangelo …
viene dalla tentazione del Male. La
preghiera è il dialogo tra l’uomo e Dio, ce l’ha insegnato Gesù col Padre
nostro: come figli onoriamo il nostro Genitore e riconosciamolo nostro
protettore del corpo (“dacci il pane”) e dello spirito (“liberaci dal male”) ed
educatore (perdonaci e spronaci a perdonare). Gesù ordina al sordomuto:
“Effatà!” cioè: “Apriti!” Nel rito del
Battesimo, dopo l’aspersione con l’acqua, il neonato cristiano viene toccato
dal celebrante sugli orecchi e sulla bocca per aprirlo all’ascolto e alla proclamazione della Parola. Come Cristiani
dobbiamo dunque ubbidire all’imperativo di Gesù e aprirci a Dio e alle creature per stabilire il dialogo che dà
significato alla vita.
16 Settembre 2018 - XXIV
Dom T.O. - Mc 8,27-35
Gesù e i suoi discepoli sono
nel nord della Galilea, nei villaggi attorno a Cesarea di Filippo, una
cittadina posta ai piedi del monte Ermon, nei pressi della sorgente del fiume
Giordano. Mentre si spostano da un villaggio ad un altro Gesù chiede ai Suoi: “La gente, chi dice che io sia?”. I
Dodici forniscono tre risposte: o Giovanni il Battista, risorto dopo essere
stato decapitato (e questo lo pensava anche Erode: Mc 6,14-15) o il profeta
Elia o uno dei Profeti. Quando Gesù chiede che cosa ne pensino invece loro,
Pietro prontamente risponde: “Tu sei il Cristo!”. Pietro riconosce in Gesù il
Prescelto da Dio = l’Unto = il Messia!NOTA: La religione ebraica con il titolo
di Messia designava il grande e forte re condottiero, discendente di Davide,
destinato da Dio a liberare il suo popolo. Gesù comanda ai discepoli di non
parlare con alcuno di questa loro conclusione. E subito dopo fa il primo
annuncio della sua Passione, Morte e Resurrezione, deludendo le loro
aspettative di un Regno di pace e prosperità che il Messia avrebbe costituito
per il popolo. Pietro si sente in dovere di rimproverarlo. Pietro non riesce ad
accettare il cammino della croce e si prende un aspro rimprovero dal Maestro,
come se fosse un tentatore che non vuole scegliere la via divina della salvezza
(perdere la propria vita per poterla salvare nella gloria della Pasqua) ma
seguire quella più facile che porta alla perdizione.
La strada
tracciata da Gesù è quella che ogni discepolo deve seguire: “Hypaghe opiso mou! ” ” Vai dietro di me!” ci dice Gesù con
fermezza, come ha detto a Pietro quando si lamentava … Seguiamolo, fidiamoci di Lui! E’ ‘una guida
con esperienza: per quella strada c’è già passato!!!
23 Settembre 2018 - XXV Dom T.O. - Mc 9,30-37
Il Vangelo di oggi ci presenta
Gesù che, con il gruppo dei discepoli, continua il viaggio verso Gerusalemme compiendo
un itinerario non solo geografico ma anche di formazione spirituale. Il Maestro
fa il secondo annuncio profetico della sua Passione e Resurrezione. In tutti e
tre gli annunci segue lo stesso schema: parla della Sua morte e resurrezione
come se parlasse di un’altra persona, evidenzia la non accettazione da parte
dei discepoli di questa affermazione così poco attraente, ribadisce che le
priorità del regno di Dio sono differenti da quelle di questo mondo. Nel regno di Dio
non c’è posto per l’ambizione sociale e vige la regola del servizio, Gesù lo
ripete ai discepoli perché sa che non lo hanno ancora capito. Destabilizzando
ancora di più le loro certezze prende un bambino e lo mette al centro del
gruppo, al centro della loro attenzione, e spiega che tutto parte
dall’accoglienza degli ultimi. Nella società ebraica il bambino non aveva
nessun valore, era un essere insignificante … ma Gesù lo pone alla base della
struttura della comunità che vuole costituire: “Chi accoglie uno di questi
bambini nel mio nome, accoglie me!”. I
bambini considerati dunque come ambasciatori del Re, come rappresentanti di
Gesù.
30 Settembre 2018- XXVI Dom
T.O. – Mc 9,38-43.45.47-48
Anche nel brano evangelico di
oggi i discepoli dimostrano di aver ancora bisogno di imparare le regole della
nuova Comunità. Giovanni informa il Maestro che ha vietato a un uomo di
scacciare i demoni perché lo faceva nel nome di Gesù e non apparteneva al loro
gruppo. E il Maestro lo invita a lasciar fare il Bene a chiunque: l’agire per
il Bene fa entrare automaticamente nella Comunità. Anche il semplice gesto di
offrire l’acqua al discepolo è come se fosse rivolto a Cristo. Mi sembra di
leggervi una promessa di vita eterna (“non perderà la sua ricompensa”) per chi
fa il Bene per Amore, anche se non appartiene a pieno titolo alla Comunità…. Completando
la sua predica Gesù condanna ad una pena atroce chi ostacola la fede delle
persone semplici e invita il discepolo a liberarsi da tutto ciò che ostacola il
suo cammino verso la vita eterna, fosse anche una mano o un piede (cioè
qualcosa di importante). Il
simbolo della Geenna, luogo idolatrico e impuro di Gerusalemme (metafora
dell’Inferno, della condanna alla pena eterna), del fuoco e del verme che rode
(Isaia 66,24) rappresentano l’ineluttabile sofferenza che spetterà a chi non
seguirà l’insegnamento del Maestro.