La sofferenza non è segno
dell'abbandono di Dio.
Essa non è, come pensarono gli uomini dell'Antico Testamento, un castigo con
cui Dio abbandona chi patisce nelle mani dei suoi nemici. In realtà, colui che
soffre sulla croce, è Colui per il quale il Padre testimoniava: “Questo è il
mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo”. Il suo
dolore parla al nostro cuore, ascoltiamolo... Chi ha familiarità con la
reazione di tante anime del Vecchio Testamento, di fronte alla sofferenza
dovrebbe cogliere la trasformazione avvenuta. Il senso della sofferenza è
cambiato, non tanto per dichiarazioni o teorie nuove, quanto per l'atto stesso
di Cristo e per la sua particolare posizione.
Il cristiano che soffre può ad ogni istante ripetere quella che fu l'ultima
espressione di Cristo sulla Croce: “Padre nelle tue mani consegno il mio
spirito”.
Egli può essere consegnato al tormento dell'abbandono sensibile: ma la fede gli
darà la certezza che perfino nelle tenebre egli si trova nelle mani di un Padre
che lo ama. Egli non è lontano da Dio, al contrario, è a lui vicino più di
quanto non sia prossimo a tutto ciò che lo fa soffrire.
Questa visione di fede trascina con sé tutto un modo particolare di giudicare
le circostanze che hanno fatto calare su di noi la sofferenza.
Noi non abbiamo più allora quella sensazione così penosa, così demoralizzante,
d'essere consegnati ad un destino ostile, d'essere afferrati da un ingranaggio
infernale che ci stritola e contro cui non possiamo fare nulla.
Noi non siamo il giocattolo di forze cieche, non siamo figli di una natura o di
un destino crudele, in quanto il Padre, il cui amore ci avvolge nel momento
difficile del nostro soffrire, è il Dio creatore
da cui tutto dipende. Dobbiamo
sempre ricordare che Egli è colui del quale Gesù diceva ai suoi discepoli:” Non
si vendono forse due passerotti per un soldo; eppure nemmeno uno di essi cadrà
in terra senza il volere del Padre Vostro. Perfino i capelli del vostro capo
sono tutti contati”. (Lc 12, 6-7)
Grande consolazione è sentire attorno a noi l'affetto nella sofferenza, perfino
quando questo affetto è impotente, quando viene da qualcuno che nulla può sugli
avvenimenti.
A maggior ragione, è fonte di grande pace CREDERE all'amore di Colui che ci ha
creati e offre nel Figlio crocifisso la risposta a tutte le nostre attese.
Questa Fede ci ispira all'abbandono, perché solo nell'abbandono potremo
estirpare dalla nostra sofferenza ogni impulso di rivolta e di rancore, che
tanto facilmente si insinuano nei momenti di dolore.
Ora, il fatto che il Figlio di Dio ha sofferto, dà forza a questi sentimenti e
solidità al nostro abbandono, in quanto ci assicura che nel momento cruciale
del nostro soffrire, noi siamo avvolti dall'amore di Dio. Infatti il simbolo
della sofferenza, la croce, è nello stesso tempo, simbolo dell'amore.
La sofferenza, fisica o morale che sia, (lutto, separazione, insuccesso,
delusione...) non è per questo attenuata o assopita.
Essa viene interiormente trasformata, prende un senso nuovo.
Diventiamo testimoni di questa grande novità, facciamo nostro questo annuncio
di liberazione, rechiamoci in quegli angoli dove la sofferenza incatena l'uomo
e lì la nostra presenza, la nostra parola, il nostro silenzio diventi per chi
soffre motivo di speranza.