Il 2 giugno 1946, nel comune
(allora) di Ortonovo, andarono a votare per il referendum costituzionale 2817
elettori. Per la prima volta in una consultazione nazionale votavano anche le
donne. I voti validi furono 2498, e di essi la stragrande maggioranza, 2029,
pari all’81,2 per cento, furono per la Repubblica, lasciando ai nostalgici
della Monarchia soltanto il 18,8 per cento. Fu una percentuale davvero alta,
che del resto avvicinava Ortonovo alla contigua Carrara, terra di cavatori per
antica tradizione repubblicani e anarchici. Nel comune di Carrara i voti per la
Repubblica arrivarono infatti all’88.60 per cento, mentre nell’intera provincia
di Massa Carrara, in forza di più consolidate tradizioni monarchiche in alta Lunigiana,
furono soltanto il 74,91 per cento e in provincia della Spezia, città legata
alla Regia Marina, il 69,05 per cento.
Ortonovo, dunque – oggi Luni -, affermò quel giorno con notevole forza la
propria scelta repubblicana. Da allora sono passati settantadue anni. Anche nel
territorio di Ortonovo coloro che votarono in quella circostanza (bisognava
avere ventuno anni per averne diritto) sono rimasti in pochi, ma è lecito
comunque chiedersi non tanto se quella scelta oggi sarebbe ripetuta, dal
momento che i rappresentanti della casa allora regnante dei Savoia non sembrano
davvero avere riacquistato popolarità, quanto se le vicende di oltre un
settantennio abbiano corrisposto alle attese e, viste le percentuali, agli
entusiasmi di quanti si espressero in quel senso.
Dalla scelta repubblicana, che in quel 2 giugno 1946 fu accompagnata dalle
elezioni per l’Assemblea Costituente, è derivata come si sa la Costituzione
della Repubblica, che proprio quest’anno ha compiuto i settant’anni dalla sua
entrata in vigore, il primo gennaio 1948. La festa del 2 giugno non è quindi
solo la festa della Repubblica, ma anche, a buon diritto, la festa della
Costituzione, un testo che – se anche non fosse la più bella del mondo, come
peraltro talora si dice con un po’ di retorica e nessuna prova oggettiva – è
certamente frutto di un lavoro molto accurato e di una grande sensibilità
istituzionale e democratica.
E’ la Costituzione che ha accompagnato, e in certo modo tenuto per mano
l’Italia in tutto questo tempo, motivo per il quale appare comunque riduttivo
parlare, come invece si fa sovente, di “prima”, di “seconda” e oggi addirittura
di “terza” Repubblica. Queste espressioni sono infatti riprese dall’esperienza
francese di ben cinque forme repubblicane in meno di duecento anni, ma bisogna
ricordare che, oltralpe, ognuna delle cinque “Repubbliche” ha avuto una Costituzione
ben diversa dalle altre, oltre che dai periodi monarchici o imperiali. In
Italia, a cambiare sono state le leggi elettorali, mentre la Costituzione è
stata modificata, per ora, soltanto in aspetti limitati, mantenendo solido
l’impianto originario. Sono dunque cambiati i governi, con le loro variegate
maggioranze, non le “Repubbliche”.
Da un lato questo è positivo: vuol dire che l’impianto costituzionale ha retto
a una serie di cambiamenti sociali, economici e politici di grande rilevanza,
come quelli che si sono succeduti dalla fine della guerra ad oggi. Il che è un
po’ come avvenuto negli Stati Uniti d’America, la cui Costituzione è ancora
quella del 1787, al cui testo sono stati portati soltanto “emendamenti”, non
varianti di fondo.
Dall’altro però, la sostanziale tenuta della Costituzione – e quindi della
scelta repubblicana del 2 giugno 1946 – risulta per certi aspetti ancora più
impietosa, perché mette a nudo difficoltà e contraddizioni che hanno visto la
classe politica troppe volte incapace, anche molto di recente, nel dare voce ma
anche e soprattutto nel guidare davvero il popolo italiano.
Cambiamenti, ovviamente in meglio, a parole, in settantadue anni, ne sono stati
promessi tanti, e molti, a onestà del vero, sono stati perseguiti, da una forte
politica di pace – ben diversa da quella dei secoli precedenti – al boom
economico, dal sistema delle garanzie sociali a quello delle comunicazioni. Ma
in tante altre cose sentire i politici, e non solo loro, che parlano di
“cambiamento” può forse con una certa ironia lasciar pensare che, alla fin
fine, l’Italia è pur sempre il paese del mitico Tancredi, nipote del principe
di Salina, il protagonista del “Gattopardo”, per il quale, a fronte dell’arrivo
dei garibaldini in Sicilia, “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che
tutto cambi”.
Forse non è sempre stato così, e men che meno è detto che lo sia ancora, ma il
rischio, in qualche modo, potrebbe esserci. Allora, a maggior ragione, sembra
importante rendere omaggio anche oggi a quelle italiane e a quegli italiani, un
po’ coraggiosi, un po’ entusiasti e un po’ forse anche disincantati, che
settantadue anni fa, come ieri, andarono a votare e misero una croce sul
simbolo della Repubblica. Nella
consapevolezza che indietro, giustamente, non si può tornare. E che andare
avanti spetta anzitutto alla responsabilità e alle scelte di ciascuno di noi.
Senza deleghe in bianco.