Con un’espressione tipica del
mondo del calcio, per la Chiesa Pietro e Paolo sono i gemelli della fede: tanto
identici nella dedizione esclusiva e nell’impegno totale a diffondere ovunque
la fede in Cristo, quanto diversi nel carattere e nella preparazione culturale.
Entrambi raggiungono mète altissime di fede e di appartenenza a Cristo
attraverso percorsi personali opposti: per Paolo la fede è razionale, per
Pietro la fede è la ragione del cuore, cioè l’accettazione di un sentimento
intimo di chi sa solo che senza Gesù la sua vita non ha sbocchi convincenti. E alla
base della sua azione missionaria c’è questa certezza di futuro eterno promesso
da Gesù che vuole trasmettere. Paolo, con la sua notevole cultura biblica, ha
la consapevolezza che la parola di Gesù è veleno letale per la fede ebraica
smontata pezzo a pezzo nella sua essenza e ricostruita con un collante nuovo,
inusuale e difficile da accogliere: l’amore del Padre verso le sue creature
alle quali dona il Figlio unigenito, non più l’autorità assoluta sui sudditi (l’obbedienza
supina di Abramo che accetta di sacrificare il suo unico figlio). Per questo Paolo
combatte a Gerusalemme con così grande determinazione i primi cristiani da
essere inviato a Damasco per distruggere quella comunità di infedeli-traditori
del Dio di Abramo e di Mosè. L’intervento divino sulla via di Damasco è la
brusca chiamata a invertire la rotta e a diventare l’apostolo delle genti. E lo
fa per tre anni in modo autonomo prima d’incontrare Pietro, Giacomo, Giovanni e
gli altri Apostoli a Gerusalemme nel 49-50 d.C. in quello che viene definito il
primo concilio della Chiesa, dove si discute animatamente, prima che diventi
patrimonio di tutti senza riserve, l’universalità del messaggio di Gesù,
liberando la Chiesa nascente dal cordone ombelicale con l’ebraismo ( non è
necessario accettare l’ebraismo prima di poter diventare cristiani: è il
Battesimo, non la circoncisione, che rende cristiani ). Paolo è il grande
paladino dell’autonomia della Chiesa di Cristo dalla tradizione e dalla
ritualità ebraica. Durante i suoi interventi in quel consesso sicuramente non
sarà apparso a tanti gradito né simpatico, non solo per i contenuti teologici e
organizzativi, ma anche per la foga appassionata, dove non c’è assolutamente
polemica, con cui sostiene il dovere di portare le parole di salvezza lasciate
da Gesù indistintamente a tutti i popoli del pianeta. Paolo potrà sembrare
ruvido, ma conosce una sola legge, quella del tutto o niente: barcamenarsi e vivacchiare non gli appartengono. E si
spende tutto per Colui che gli ha fatto il dono di aprirgli gli occhi in modo
burbero e spicciativo facendolo cadere da cavallo, ma che gli ha fatto
conoscere la realtà eterna dell’amore di
Dio. La sua vita ha un senso e un valore soltanto nel dare al maggior numero
possibile di “altri”, ciò che gli è stato donato per grazia divina e non per
merito suo. La teologia paolina trova il suo punto focale nel mistero pasquale
di Cristo morto e risorto. La Pasqua è la sostanza indispensabile e necessaria
della visione che Paolo ha della salvezza e dell’uomo. E’ proprio attraverso la
morte e la resurrezione del Figlio, che il Padre porta a compimento l’opera
salvifica ristabilendo l’uomo peccatore nel giusto rapporto con Lui. All’uomo “vecchio”
- la cui esistenza è segnata da una osservanza solo legalistica dei
comandamenti della Torà e dalla fragilità della carne preda del peccato – si
sostituisce l’uomo “nuovo”, il quale, abbandonandosi in toto alla grazia di Dio, vive di una fede operosa nell’amore e
la comunità cristiana, la Chiesa, diventa corpo mistico di Cristo e i credenti
popolo di Dio.
La fede di Pietro è nata ed è lievitata,
insieme a quella degli altri Apostoli, prima con stupore, poi con convinzione
sempre crescente, nella quotidianità con Gesù, quasi che Gesù si fosse
ritagliato il ruolo di chioccia premurosa verso questi semplici pescatori, che
ha deciso di trasformare in pescatori di uomini, per i quali apre un mondo
nuovo ricco di prospettive e di speranze eterne. Anche gli scritti di
Paolo riconoscono la posizione
autorevole e carismatica di Pietro: lo mostrano come primo testimone della
resurrezione di Gesù, come punto di riferimento della Chiesa madre di
Gerusalemme, come apostolo degli ebrei e dei circoncisi. Neppure il duro
confronto tra Paolo e Pietro ad Antiochia (48 d.C.) e poi a Gerusalemme (49-50
d.C.) sul rapporto tra ebrei e pagani rispetto al nascente cristianesimo,
incrina la stima e il rispetto reciproco, poiché è chiaro ad entrambi che
l’obiettivo perseguito è il medesimo.
E’ difficile seguire la cronologia dei loro spostamenti nel medio oriente, ma,
come tutte le strade portano a Roma, anche Pietro e Paolo arrivano a Roma e a
Roma subiscono il martirio tra il 65 e il 67 d.C. Pietro durante il
rinfocolarsi di una persecuzione neroniana è condannato alla crocefissione, condanna
umiliante prevista per i non cittadini romani, mentre Paolo, arrestato a
Gerusalemme su denuncia di alcuni ebrei, essendo cittadino romano, si appella
all’Imperatore ottenendo, come suo diritto, di essere sottoposto a regolare
processo nella capitale dell’Impero, ma anche il suo destino è segnato a causa
della sua fede cui non intende rinunciare e trova la morte sempre sotto le scriteriate persecuzioni di Nerone.
Guardando sulla carta
geografica l’area del Mediterraneo orientale che va dalla Turchia, a Cipro,
alla Grecia, al Libano, alla Siria, all’Illiria ( Dalmazia ) sino a Roma i
viaggi missionari di Paolo ( in misura minore di Pietro ), quasi sempre
ripetuti per controllare lo stato e i progressi delle comunità, e pensando ai
mezzi di spostamento a loro disposizione, mi sono domandato come abbiano fatto,
ma soprattutto cosa avrebbero fatto se avessero potuto disporre dei mezzi di
locomozione odierni e della tecnologia in possesso dei media.
La conclusione è d’obbligo: quando si è grandi e con le idee chiare e decise,
si possono fare egualmente cose
incredibili: Pietro e Paolo ne sono uno splendido esempio cui dovremmo prestare
la massima attenzione e considerazione per operare col medesimo spirito e
determinazione nel piccolo mondo che ci
sta intorno. Non ci viene chiesto niente
al di sopra delle nostre capacità.