N° 6 - Giugno 2018
CONCILIO VATICANO I
di Antonio Ratti

    CONCILIO VATICANO I (1869 – 1960) (XX ecumenico)

 Contesto storico.  Parlare di un Concilio che viene dimenticato e abbandonato al suo destino da 5 papi (Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII) e chiuso nel 1960, perché il Vaticano II, indetto da Giovanni XXIII, non ne fosse la prosecuzione, è alquanto difficile. Otto mesi di lavori conciliari ( 8 dicembre 1869 – 18 luglio 1870 )  hanno prodotto  il controverso dogma dell’ infallibilità papale ex cathedra (Costituzione Pastor Aeternus ) e il dogma della conoscenza di Dio con la ragione, fatta salva la necessità della rivelazione (Costituzione Dei Filius ), per contrastare, in linea con il Sillabo ** ( documento pontificio pubblicato nel 1864), il pensiero materialista, liberale e anticlericale, cioè tutto il nuovo che rapidamente si va diffondendo nel vecchio continente. Giovanni XXIII nell’indire il Vaticano II dichiara che intende consultare tutto il corpo docente della Chiesa al fine di individuare le linee guida per PORRE la fede immutabile ad un mondo che muta in continuazione; cioè, per trovare lo spirito, il linguaggio, i metodi e la cultura adeguata al nostro tempo, la Chiesa intera deve interrogarsi, fare un’analisi obiettiva sulla propria identità per prepararsi alle sfide che l’attendono e che cercano di metterla in un angolo della storia. Tutto ciò manca a Pio IX e con lui, solitario protagonista del suo Concilio, si chiude un’era di restaurazione e di chiusura, come se negare l’evidenza fosse l’unico mezzo per difendere e tutelare la Chiesa e il suo anacronistico doppio potere (temporale e spirituale), che nessuno ormai è disposto a riconoscere. Papa Francesco avrebbe dato scandalo affermando: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiudersi nelle strutture che ci danno una falsa sicurezza.” (Evangelii gaudium). Onestamente occorre riconoscere che nei suoi 32 anni di pontificato ( il più lungo in assoluto ) ha dovuto confrontarsi con situazioni politiche, culturali, come l’anticlericalismo o il marxismo, e sociali che avrebbero fatto tremare i polsi e venire i brividi anche a persone ben più attrezzate a fronteggiare un vero cambiamento epocale, ma la sua natura mite e introversa ha di fatto chiuso e isolato la Chiesa, ripiegata su se stessa e impotente, nella “fortezza”vaticana, così come lui era solito rifugiarsi nella città fortificata di Gaeta, quando Roma diventa insicura per la sua incolumità. Già il suo successore Leone XIII, definito “esperto tessitore”, presta la sua attenzione alla dottrina e alla pastorale, più che alla politica. Padre N. Fabbretti nel suo libro “I vescovi di Roma” sottolinea come “egli teme e denunzia gli errori e le perversioni del pensiero e delle coscienze da parte di regimi e sistemi, anche se tra loro diversi. Ha una visione chiara del problema sociale e pensa di delineare in una enciclica la dottrina cattolica in merito alla questione sociale. E’ all’orizzonte la Rerum novarum (1891), primo grande testo sociale della Chiesa…. E’ il primo coordinatore del pensiero ecclesiastico in ordine alla giustizia nei tempi moderni”. Dopo un secolo arrivano la “Pacem in terris” e la” Populorum progressio” di cui Leone XIII può essere considerato il primo precursore.  L’accenno a Leone XIII vuole evidenziare come pochi anni e il cambio di persona al vertice possano cambiare l’approccio della Chiesa verso la società civile con le sue positive e soprattutto negative posizioni di pensiero, senza perdere la sua identità, tutt’altro.
Contesto politico. Le condizioni politiche dell’Europa, alla ricerca di nuovi equilibri di potere tra Stati  emergenti e la debolezza della  Stato pontificio, endemicamente arretrato, povero, mal governato, sottoposto alla dura censura dell’Indice e reso ancora più fragile dal processo di unificazione, sotto la regia di Cavour, dell’Italia che da “espressione geografica” si sta trasformando in Stato unitario e sovrano, avrebbero dovuto consigliare prudenza prima di avventurarsi verso un Concilio al quale avrebbero partecipato vescovi appartenenti a Nazioni ai ferri corti tra loro. Difatti il Concilio s’interrompe bruscamente per lo scoppio della guerra franco- prussiana (19 luglio del 1870 – 10 maggio 1871 ) e, quindi, rinviato sine die il 20 ottobre dello stesso anno e mai più ripreso. I moti risorgimentali in Italia, Roma inclusa, e l’instabilità politica europea con l’Impero prussiano e l’antagonista Francia di Napoleone III in forte ascesa a scapito dell’Impero austro-ungarico, che vede traballare la sua leadership anche in Italia a vantaggio dei francesi, ai quali il papa ha chiesto sostegno, avrebbero dovuto far riflettere. Anche in campo culturale l’800 è attraversato da movimenti di pensiero decisamente contrari alla dottrina della Chiesa, come il razionalismo, il liberalismo massonico, il materialismo e il marxismo. Pio IX pensa di porre un efficace argine contro queste nefaste ideologie con la pubblicazione dell’enciclica Quanta cura e del Sillabo ( 8 dic. 1864 ), documento quest’ultimo di netta chiusura al modernismo, che, però, ottiene il risultato opposto a quello sperato.           (1, continua)

                                                                                                       Antonio Ratti

 

** SILLABO. Appendice dell’enciclica Quanta cura. Costituito da un elenco di 80 proposizioni giudicate gravemente erronee, è il manifesto del rigetto da parte della Chiesa cattolica della cultura politica liberale e democratica. Il documento, congiuntamente alle teorie panteistiche e razionalistiche che ponevano in discussione l’idea stessa di Dio, condannava le libertà di espressione, di religione e di culto e la laicità dello Stato, riaffermando il potere temporale della Chiesa.




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