Il Concilio di Trento, dando
per scontata l’impossibilità di ricomporre lo scisma e ripristinare l’unità
della Chiesa, è convocato sostanzialmente per contenere e replicare alle tesi
luterane, ormai diffuse in tutto il Nord Europa. Pertanto obiettivo primario è
quello di fornire un’adeguata risposta dottrinale alle questioni sollevate da
Lutero e dagli altri riformatori. Ne consegue che l’opera dottrinale scaturita
dal Concilio non è una esposizione organica della fede cattolica, perché ciò
che non è contestato dai riformatori tedeschi non viene affrontato: esempio, i
temi riguardanti la Trinità, il mistero dell’incarnazione e della resurrezione
di Gesù. Nei decreti dogmatici il Concilio ribadisce la dottrina cattolica e
condanna con i canoni gli errori del tempo. Difatti viene fornita una dottrina
organica e completa con una teologia precisa, logica e comprensibile sui
sacramenti, che Lutero demolisce tranne il Battesimo. Riguardo al problema
della giustificazione ( salvezza ), che tanto angustia e tormenta Lutero, il
Concilio è chiaro sulla necessità
imprescindibile della grazia divina unita, però, alla cooperazione dell’uomo, fatta
di fede e opere. L’uomo, sebbene corrotto dal peccato originale, non perde
completamente la sua libertà e capacità di scelta ( libero arbitrio ), ma con
l’aiuto sostanziale della grazia, ha la forza di risorgere e riconciliarsi con
il Padre. Dal punto di vista
disciplinare il Concilio rappresenta un punto fermo della vita religiosa della
Chiesa. Nella terza fase ( 1562 – 63 ) l’espressione “cura animarum” è presente in
tutti i decreti, quale monito costante della missione della Chiesa che è la
cura delle anime. Il ruolo dei vescovi e del clero ha senso e valore solo attraverso la loro
funzione pastorale a servizio dei fedeli: la loro ragione d’essere è insegnare
il Vangelo ed amministrare i sacramenti al fine di accrescere la fede nella
salvezza eterna.
Sul piano istituzionale si rafforza il centralismo, difatti il ruolo
del papa ne esce rafforzato.
Sul piano politico restano
insolute le questioni dei privilegi, delle interferenze e dei diritti attribuiti
a sovrani e principi cattolici di
intervenire nelle faccende interne alla Chiesa.
A conferma dell’importanza e
dei limiti del Concilio di Trento riporto alcuni pareri di autorevoli teologi e
storici cattolici. Lo storico Hubert Jedin così sintetizza il succo del
Concilio: “Esso ha rigorosamente
delimitato il patrimonio della fede cattolica nei confronti dei protestanti.[…]
Esso ha contrapposto alla riforma protestante una riforma cattolica […] che
eliminò certamente gli inconvenienti più gravi sul piano diocesano e
parrocchiale e negli ordini religiosi, rafforzò di fatto il potere dei vescovi
e portò in primo piano le esigenze della pastorale.” ( problema quest’ultimo
tanto a cuore a papa Francesco che afferma “non siate funzionari del sacro”)
G. Winkler nella sua “Storia della Chiesa
cattolica” così valuta il Concilio: “D’altro
lato dobbiamo considerare il concilio come la risposta alla multiforme sfida
della riforma protestante. Esso precisò, chiarì, ma cementò il contrasto
confessionale e fornì le formule di fede
alla controriforma.”
G. Martina ne “La Chiesa nell’età della riforma” così si esprime: “ Il concilio di Trento non è riuscito a
ristabilire l’unità….Questo apparente fallimento non diminuisce l’importanza
sostanziale del Tridentino. Essa deriva dall’influsso enorme che ha avuto nella
Chiesa, nella chiarificazione dottrinale e nella restaurazione disciplinare.
Possiamo raccogliere in tre motivi essenziali il significato storico del
Tridentino: mise in evidenza la forte capacità di ripresa della Chiesa;
rafforzò quell’unità dogmatica e disciplinare che spicca se paragonata
all’opposta eppure contemporanea evoluzione delle correnti protestanti; infine
esso aprì una nuova epoca nella storia della Chiesa, ed in certo modo ne
determinò i tratti essenziali dal Cinquecento ai nostri giorni.”
Un giudizio molto critico ce lo offre Paolo
Sarpi, teologo secentesco appartenente all’Ordine dei Servi di Maria, che nella
sua “Istoria del Concilio Tridentino” così esprime il suo disappunto: “Questo concilio, desiderato e procurato
dagli uomini pii per riunire la Chiesa che cominciava a dividersi, ha così
stabilito lo schisma et ostinate le parti, che ha fatto le discordie
irreconciliabili; e maneggiando da li prencipi per la riforma dell’ordine ecclesiastico,
ha causato la maggior deformazione che sia mai stata da che vive il nome
cristiano, e dalli vescovi sperato per racquistar l’autorità episcopale,
passata in gran parte nel sol pontefice romano, l’ha fatto loro perdere tutta
interamente, riducendoli a maggior servitù: nel contrario temuto e sfuggito
dalla corte di Roma come efficace mezzo per moderare l’esorbitante potenza, da
piccioli principii pervenuta con vari progressi ad un eccesso illimitato..”
In conclusione appaiono
evidenti alcune considerazioni:
-
sono subito apparse chiare l’impotenza,
l’impossibilità e, forse, anche la scarsa disponibilità da ambo le parti a
provare di riannodare un dialogo costruttivo;
ormai il tono polemico dello scontro, non solo dialettico, ma anche teologico,
canonico, istituzionale e fisico, è tale da soffocare sul nascere ogni
tentativo di apertura;
-
l’obiettivo, quindi diventa quello di definire
e ribadire il patrimonio della fede cattolica, in contrapposizione alle tesi
protestanti;
-
consegue che il concilio tridentino si trasforma nel concilio della Controriforma
nel senso di ribadire l’ ortodossia cattolica, sebbene, per i denigratori, è il
concilio della restaurazione.
E’ merito dei papi
immediatamente successivi a Trento l’attuazione dei decreti conciliari, seppure,
per essere applicati in tutta la Chiesa, si è dovuto discutere e avere il beneplacito dai governi nazionali:
quello spagnolo accetta i decreti con la clausola limitativa “fatti salvi i diritti regali”, mentre
quello francese accetta i decreti dogmatici, ma non quelli di riforma canonica
al fine di garantire maggiore autonomia ai suoi vescovi per poterli
condizionare.
Pio V ( 1566 – 1572 ) unifica
il Breviario, pubblica il Catechismus romanus e riforma il Messale che rimane
in vigore fino al Concilio Vaticano II ( 1962 – 65 ).
Gregorio XIII ( 1572 – 1585
) incentiva con determinazione la
creazione dei seminari diocesani e abbandona il vecchio calendario giuliano per
il più preciso Calendario gregoriano, tuttora in vigore.
Sisto V ( 1585 – 1590 ) riforma
l’amministrazione centrale della Chiesa e della Curia ( rimasta invariata fino
al 1908 ) e obbliga i vescovi alla visita
ad limina,** alla quale ancora oggi sono tenuti.
** “Ad limina apostolorum visitatio” ( visita alle soglie - tombe – degli apostoli, quindi Roma ). Ogni
cinque anni tutti i vescovi devono presentare una relazione scritta sullo stato della loro diocesi alla Santa
Congregazione concistoriale ( oggi detta Congregazione dei vescovi ) ed avere
un incontro privato col Papa per illustrare a voce le particolarità e le
necessità della loro diocesi dal punto di vista religioso, sociale e culturale.