I
VANGELI DEL MESE
1 APRILE 2018 Santa Pasqua Gv 20, 1-9
Eccoci dunque giunti a
meditare il fatto della “tomba vuota”.
L’evangelista Giovanni ci presenta un racconto pasquale molto sintetico perché,
come scrive il Ricciotti, dà per conosciuti i resoconti dei Sinottici e vuole presentarci
la sua esperienza di testimone oculare sottolineando alcuni particolari non
presenti negli altri Vangeli. Giovanni ci dice che Maria Maddalena, la
discepola fedele di Gesù, è la prima donna a trovare la tomba vuota e,
successivamente, ad avere la prima apparizione del Maestro risorto.
La spiegazione della sua solitudine, secondo alcuni esegeti, è nel fatto che
Maria,avendo fretta di andare al sepolcro, ha lasciato il gruppo delle pie
donne ad acquistare gli unguenti ed è
arrivata alla tomba “quand’era ancora buio”.
Non è una stranezza che i negozi fossero aperti a quell’ora: la giornata
lavorativa iniziava al canto del gallo e i commercianti, che spesso dormivano
nelle loro botteghe o in un locale attiguo, erano sempre disponibili per i loro
clienti (oggi diremmo “aperti h24”!).
Maria, sconvolta dalla terribile scoperta, corre da Pietro e da Giovanni e dà la prima risposta, la più
accettabile dalla ragione, al fatto della tomba vuota: qualcuno ha profanato il
sepolcro e ha trafugato il defunto! L’intervento dei discepoli Pietro e Giovanni
per la storia del Cristianesimo è un momento fondamentale e ha il suo culmine
nella frase” Vide e credette “: la risposta che ha dato Maria non è
quella a cui giungerà Giovanni! I due verbi
(“vide e credette”) hanno come soggetto Giovanni che entra nel sepolcro dopo
Pietro, riconoscendogli l’autorità di Capo della comunità.
Giovanni vede il sudario e le fasce
che ricoprivano il corpo di Gesù e dopo questa visione gli si chiariscono tutti
gli avvenimenti che avevano preceduto quel momento e … crede! Cos’è che gli ha dato tale certezza? Don Antonio Persili ha scritto un
interessante saggio su questo fatto che approfondisce la traduzione di alcuni termini
greci del Vangelo di Giovanni.
La Vulgata e l’attuale traduzione cattolica italiana traducono sempre con il
verbo “vedere” i tre verbi greci che San Giovanni usa nel testo: v. 5 blépei (= constatare con perplessità),
v. 6 theorei ( = contemplare), v.8 eiden (= vedere pienamente). Il participio passato keimena ,
riferito alle fasce che stringevano il lenzuolo che avvolgeva il corpo, viene
tradotto con ”per terra”, mentre don Antonio ritiene che più corretto sarebbe
tradurlo con “distese”. Quindi dopo una lunga e accurata ricostruzione della
sepoltura di Gesù, con la precisazione delle varie funzioni dei pezzi di tela
che ricoprivano il cadavere, arriva alla conclusione che ciò che vide Giovanni
e lo fece credere era la Sindone, il lenzuolo che riporta impressa misteriosamente
l’immagine di un corpo. (La Sindone è conservata nel Duomo di Torino ed è uno
degli oggetti più studiati al mondo. I risultati delle ricerche lasciano sempre
un alone di mistero attorno a questa reliquia poiché ancora non si è capito
come si possa essere formata l’immagine presente sul lenzuolo.) La Pasqua è il
“passaggio” di mentalità dall’ idea di una vita limitata dal tempo e dallo
spazio alla fede in una vita nuova, libera da ogni limite.
Giovanni ha trovato la sua risposta al perché della tomba vuota … e ha trovato
il senso della vita.
8 APRILE 2018 II Dom di
Pasqua Gv 20,19-31
La fede nella vita dopo la morte per i discepoli, nonostante
fossero stati ben preparati dal Maestro, non è stata un’immediata certezza!
Il brano evangelico di oggi inizia con le parole “la sera” a significare lo
stato d’animo dei discepoli che stavano vivendo il loro momento di buio
incipiente e,nella penombra, erano incapaci di essere lungimiranti, di riuscire
a guardare oltre un palmo dal nostro naso. Tutte le prospettive future, le
infinite potenzialità che il Maestro aveva dato loro stavano dissolvendosi nel
buio del dolore. E’ la sera del primo
giorno dopo il Sabato. La parola
ebraica Shabbat proviene dal verbo ebraico shabat, che significa
letteralmente” smettere” (di
compiere alcune azioni). Sabato, inteso nel suo significato etimologico, può indicare
anche la conclusione di una fase, la cessazione di un tempo, di una periodo che
si è compiuto. Quindi i discepoli si trovano a dover affrontare la fine di una
fase estremamente importante per la loro vita, dopo l’illusione di aver trovato
il Messia d’Israele e la delusione della sua tragica fine.
Una prima reazione è quella di “chiudere le porte per timore dei Giudei”.
A fronte di qualcosa che non va come avevamo previsto o come desideravamo che
andasse, la tendenza è quella di chiudersi, di proteggersi, di irrigidirsi, di
temere.
All’improvviso “venne Gesù e si fermò in mezzo a loro”e disse: “Pace a voi!”. Il termine “pace”
deriva dalla radice sanscrita “pac” che vuol dire “legare, unire,
saldare”. Con questo augurio Gesù volle infondere coraggio ai suoi discepoli
per non separarsi, per resistere e tenere in piedi quella comunità che si era formata,
Il primo incoraggiamento che Gesù dà è
mostrare le mani e il costato per far fare ai discepoli memoria storica di
tutto il percorso fatto: tutto quello che hanno visto e vissuto c’è stato
veramente e quei segni rappresentano una prova, una tappa che ha chiuso una
fase del cammino che ora devono proseguire in un modo nuovo. Ancora una volta
Gesù cerca di incoraggiare i discepoli dicendo loro di rimanere saldi, di non
sgretolarsi. La frase “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” invita i
discepoli a continuare l’opera di Gesù, ad insegnare agli altri uomini l’ ABC
della Vita vera, ad imparare a leggerlo
e a metterlo in pratica . Quindi alita su di loro lo Spirito della Vita, la più
grande eredità che Gesù lascia ai suoi discepoli! Gesù trasmette loro quella fiamma che ardeva
in lui e che serve per poter compiere la Missione. Il compito dei Ministri
della comunità ecclesiale è quello di rimettere sulla buona strada chi ha
difficoltà a procedere incontro a Dio (etimologicamente la parola “peccatore”
viene dal termine latino Peccus = “difettoso nel piede” e che,
pertanto, fa fatica a camminare). Il discepolo Tommaso rappresenta quella parte
del umanità che non si accontenta delle parole, del razionale, del simbolico ma
ha bisogno dei fatti, ha bisogno del fenomeno vivo, ha bisogno del contatto
diretto, del contatto corpo a corpo. Per questo Tommaso, detto Didimo (“fratello
gemello”), non si accontenta di quello che gli altri discepoli gli dicono ma
per credere ha bisogno che Gesù entri in contatto diretto con lui. In quella Domenica, la prima dopo
la Domenica della Resurrezione, Tommaso ha il dono di fare l’esperienza
sensibile del Risorto e le perplessità svaniscono in un attimo, inizia ad avere
nuovamente fiducia in Gesù e lo riconosce come suo Signore e suo Dio.
Gesù qui dice che beati ( pienamente felici) saranno proprio quelli che
sapranno cogliere i “segni”, mettersi in ascolto e affidarsi anche nel momento
in cui calano le tenebre …. quelli che sapranno guardare oltre il superficiale,
oltre l’apparenza.
15 APRILE 2018 III Dom di Pasqua Lc 24,35-48
Gesù compie la terza apparizione a Gerusalemme
narrata dall’evangelista Luca e ha i discepoli come destinatari. Dopo il saluto
ebraico “Shalom” (Pace) Egli intende allontanare dai suoi amici qualsiasi
dubbio riguardante la Sua presenza. Nel versetto 36 troviamo le parole “Gesù in
persona”. Nel Cristianesimo la Persona è
considerata un’unione inestricabile di materia e di spirito. Alcuni credono che
il Cristianesimo sia una religione spiritualistica che non lascia molto spazio
ai valori del corpo. Ovviamente non è così ed è vero piuttosto che sono state
le religioni dell’antichità a ritenere
il corpo una prigione ( per esempio i Greci) o la vita nel corpo una punizione
( Induisti che lo credono ancora oggi) e
che nei primi quattro secoli d.C. la
letteratura greca e romana ha deriso il
Dio dei cristiani, che si era abbassato a prendere un corpo umano, che si era
reso ridicolo a conservarlo dopo la morte, e i suoi seguaci, che aspirano a
portarsi dietro la zavorra del corpo per l’eternità!
Gesù non è un fantasma, come le circostanze portavano a credere.
I fantasmi non esistono! (… anche se oggi assistiamo al successo che ha per i bambini
la festa di Halloween, il tripudio dell’horror e degli spettri, ….. e
poi gli stessi bambini non vengono portati ai funerali “per non
traumatizzarli”! Preferiamo la paura finalizzata alla paura anziché la
preghiera finalizzata alla Speranza!). Gesù nell’incontro con i discepoli sottolinea
la sua presenza corporale in “carne e ossa” e, per dimostrare la piena
funzionalità del Suo corpo, chiede qualcosa da mangiare. Il Cristo, in tutti i
suoi incontri ( non ci conviene più chiamarli “apparizioni”) dopo la
Resurrezione, condivide il cibo con i Suoi, al punto che lo stesso Pietro nel kérygma
afferma: ” … a noi che abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la Sua
resurrezione dai morti.”(At, 10,41), dando al fatto di essere stati a mensa con
Lui la garanzia di attendibilità come testimoni. Questo incontro si conclude
con il discorso di Gesù che, dopo aver interpretato la Pasqua alla luce delle Sacre
Scritture, parla della missione della Chiesa che, sostenuta dallo Spirito Santo
che sta per venire, deve salvare tutti gli uomini, invitandoli alla conversione
per il perdono dei peccati.
22 APRILE 2018 IV Dom di Pasqua Gv 10,11-18
Il testo di oggi ci presenta
un altro momento della rivelazione di che Gesù fa di sé: Egli è il buon Pastore
che dà la vita per le sue pecore!
Nella civiltà ebraica del I sec. d.C. era molto evocativo parlare di pastori e
di greggi poiché tutti conoscevano il particolare rapporto di fiducia e di
rispetto che hanno le pecore verso il pastore e di affetto e protezione che ha
il pastore verso ogni pecora.
Parlando alla folla Gesù si paragona ad
un pastore che chiama ogni pecora per nome, che viene ascoltato dalle pecore,
che conduce al pascolo, che cammina davanti e le pecore lo seguono. Nella
cultura semitica dare il nome ad una persona significa possedere tutta la
realtà della persona: è infatti il padre che dà il nome al figlio, sono Adamo
ed Eva che, dopo l’ordine di Dio, prenderanno possesso degli animali della
terra dando loro il nome … è Dio che ordina agli Ebrei di non chiamarlo per
nome (2° Comandamento). Gesù dice che conosce il nostro nome, cioè sa chi siamo
veramente. Noi, le pecore, ascoltiamo la voce del pastore perché la
riconosciamo tra le altre voci e quindi obbediamo. Nella Bibbia il verbo “ascoltare”
è sinonimo di “obbedire”. Gesù ci guida, ma non fa come i pastori del deserto
che stanno dietro il gregge per controllare che nessuna pecora fugga: Egli si
fida di noi, ci lascia soprattutto liberi di seguirlo, mentre ci indica la
Strada. Il Buon Pastore conosce ogni singola pecora, con l’intensità con cui il
Figlio conosce il Padre e il Padre conosce Lui. Il verbo “conoscere” in
ebraico esprime una profonda relazione d’amore, che rende unico e irripetibile
l’uno per l’altro. Gesù aggiunge: “Io do la mia vita per le mie pecore”.
Ed è una dichiarazione di profondo amore, è l’offerta di sé compiuta
liberamente. Chi si affida a Gesù sa che
non sarà mai lasciato solo, che non perderà la propria vita e che c’è un ovile
sicuro dove avrà tutto ciò di cui ha bisogno.
29 APRILE 2018 V Dom di Pasqua
Gv 15, 1-8
Il Vangelo di oggi riporta
un’altra similitudine che Gesù fa sul rapporto tra Lui e i suoi discepoli. Utilizza
l’immagine della vite che in Israele era il simbolo della prosperità e della
felicità che Dio avrebbe dato al popolo ebreo e a tutti i popoli attraverso il
Messia (Is 5, 1-9). In ricordo di questa promessa uno degli ornamenti più vistosi
del tempio di Gerusalemme era una grande vite d’oro con grappoli enormi, alti quanto un uomo adulto.
Gesù si autodefinisce “la vite” e definisce “tralci” i suoi discepoli. Come in
natura i tralci producono frutto se sono uniti alla vite così i discepoli
devono essere uniti a Gesù per poter dare frutto. Viene evocata anche la
necessità della potatura, sia per togliere i tralci che non danno frutto, sia
per far migliorare la produzione al tralcio che ha comunque fruttificato. La
potatura toglie ciò che è inutile, ciò che prende nutrimento ma non rende per
quanta energia ha consumato.
Se ci affidiamo alle mani sapienti del Padre Egli ci metterà in condizione di
essere dei buoni tralci. Il nostro compito sarà quello di crescere attaccati
alla Vite che ci vivifica con la Sua linfa (= la Sua Parola e il Suo esempio).