Contesto
storico.
Che
il Concilio Lateranense V° fosse di serie B e inutile nella sostanza lo si
rileva dalla inconsistenza delle parole pronunciate da chi non vedeva l’ora di chiudere
i lavori per mancanza di argomenti da discutere, mentre nell’Europa del nord
divampava da alcuni anni una pesante ed estesa rivolta contro la Chiesa di
Roma. Leone X, nella sua pochezza, pensa che alla guida ci sia un fraticello, definito
un “ cinghialotto nella vigna del Signore”, inadeguato a fare danni consistenti
e permanenti. Queste sono le parole di
detto papa per giustificare la chiusura del Concilio: “Infine, viene riportato a Noi (Papa Leone X) in numerose occasioni, dai
cardinali e dai prelati dei tre comitati del concilio, che non è rimasto nessun
argomento da discutere a loro parere e che ormai da numerosi mesi nulla gli è
stato portato da nessuna persona.”
Eppure, anche dopo il Lateranense V°, continuano gli insistenti appelli per un concilio
vero che ponesse al centro la Chiesa e non gli interessi politico-religiosi di
papi, cardinali, re e imperatore, cioè tutto tranne che la fede.
Lo stesso Lutero nel 1518, poco dopo la risonanza mediatica dell’affissione
delle sue 95 tesi alla porta della chiesa di Ognissanti ( Schlosskirche ) del
castello di Wittemberg, il 31 ottobre 1517, giudica così il Concilio del
Laterano: “A Roma ignorano più o meno
tutto quello che bisogna dire sulla fede. Ne hanno dato prova clamorosa in
quest’ultimo concilio romano.” e si appella all’autorità di un vero
concilio.
Nel 1520 sull’opuscolo “Alla nobiltà
cristiana della nazione tedesca”, scrive: “Quando la necessità lo impone e il papa è causa di scandalo per la
cristianità, chiunque si trovi in grado di farlo deve adoperarsi per la
riunione di un vero concilio libero.”
Per Lutero un concilio è libero quando è tolto al controllo assoluto del
Papa: tesi che dal concilio di Costanza in poi è oggetto di dibattiti e scontri
e che il Lateranense V° condanna definitivamente, perché, come vuole la
tradizione e l’investitura di Gesù a
Pietro, non è accettabile. Anche l’imperatore Carlo V, nonché re di Spagna, chiede
la convocazione di un concilio per la pacificazione della Germania che ritiene
di poter più facilmente ottenere mettendo ordine e pace tra le forze
centrifughe che chiedono una profonda riforma della Chiesa e quelle
conservatrici che osteggiano ogni cambiamento per il timore che riprendano
vigore le tesi conciliariste ( il concilio superiore al papa ) e per le
temibili conseguenze prevedibili dalla pretesa
di corpose riforme dottrinali e disciplinari ( vedi le tesi
rivoluzionarie di Lutero ).
Questi incessanti appelli avevano già “costretto” papa Pio II Piccolomini
( 1458 – 1564 ) ad emanare la bolla Exsecrabilis
con la quale è comminata la scomunica a chiunque faccia appello ad un
concilio, la cui indizione è prerogativa esclusiva del pontefice. Papato e
Curia romana erigono un muro che ritengono invalicabile e non si rendono conto
che il processo riformatore procede velocemente anche senza di loro e con maggiore
asprezza a causa della loro indifferenza e sufficienza. Nella dieta imperiale
di Norimberga (1523) cattolici e protestanti concordano nel reclamare un concilio
“libero e cristiano in terra tedesca”.
L’imperatore Carlo V appoggia e sollecita, ancora una volta, questa richiesta,
intesa come unico mezzo per ridare pace e unità all’impero che di fatto è formato
da tante entità territoriali pressoché autonome: infatti i grandi elettori e i
principi feudatari, ormai, sono divisi tra sostenitori dell’ortodossia, sebbene
in contrasto con la Curia romana per il suo strapotere e riformatori luterani.
La medesima situazione si verifica nella popolazione, provocando ribellioni e
scontri fisici; il tutto è causa di tensioni e instabilità politica che
preoccupano l’imperatore già alle prese con la rivale Francia. Il concilio
richiesto dalla Dieta di Norimberga deve essere:
* libero, ovvero sotto
l’autorità dell’imperatore e non del Papa;
* cristiano, ovvero con la
partecipazione anche dei laici;
* la sede deve essere in
territorio tedesco per ragioni di sicurezza.
I papi, incerti sul da farsi e impreparati ad affrontare un concilio dagli
sviluppi incontrollabili e dall’esito imprevedibile, si mostrano più propensi a
favorire tentativi di riforma ( sicuramente più gestibili e controllabili )
senza l’assise conciliare, come quello del 1536 nel quale si elabora il Consilium de emendanda ecclesia (
Consigli per correggere la Chiesa ). Di fatto ogni scusa e pretesto sono buoni
per non decidere: meglio vivere alla giornata che assumersi la responsabilità,
ormai, indifferibile di mettere ordine nella Chiesa e nelle sue strutture
organizzative. A complicare la
situazione è la guerra che a più riprese, tra il 1523 e il 1559, si accende tra
la famiglia imperiale degli Asburgo e il Regno di Francia e che vede la Francia
tra due fuochi, la Spagna e l’Impero. Il papa, contrario al concilio, che
sicuramente gli sfuggirebbe di mano, è appoggiato dal re francese Francesco I°
che è ai ferri corti e in guerra aperta con Carlo V°, il quale , come
imperatore del Sacro Romano Impero, ha il compito, insieme al papa, di estirpare
ogni forma di eresia.
Come si può notare, è un vero guazzabuglio e inestricabile circolo vizioso che
rendono improponibile un concilio. Paolo III° ( eletto nel 1534 ) tenta nel1536
di indirne uno per l’anno successivo ,
1537, da tenersi a Mantova. Il duca locale, che avanza molte richieste
economiche per garantire la sicurezza e la ripresa delle ostilità tra le due
potenze europee (Francia e Impero), fanno slittare la convocazione al 1538 a
Vicenza, ossia in territorio neutrale, perché veneziano. I pochissimi vescovi
che si presentano inducono a differire a tempi migliori il concilio. Intanto si
cambia nuovamente la sede. La scelta cade su Trento, in quanto è un feudo
tedesco e imperiale, retto da un principe-vescovo, inoltre la città è
equidistante da Roma e dalla Germania. L’ennesima ripresa delle ostilità tra
Francia e Impero blocca ancora l’apertura fissata per il 1542. Finalmente la
Pace di Crépy (1544) impegna Carlo V e Francesco I a favorire la convocazione
di un concilio, di rispettarne alla lettera le decisioni e di obbligare la
convocazione dell’assemblea conciliare nella città imperiale di Trento.
Preparazione e convocazione.
A questo punto Paolo III° emana la bolla Laetare
Jerusalem che intima l’apertura del Concilio a Trento per il 15 marzo 1545,
data spostata al 13 dicembre del medesimo anno. Finalmente i lavori iniziano
senza la partecipazione dei protestanti a dimostrazione che da entrambe le
parti manca del tutto la volontà di riunificazione; infatti per la Chiesa
cattolica romana è il concilio detto della “Controriforma.”
Per molti mesi si affrontano solo questioni procedurali. Carlo V sostiene di
iniziare con la riforma disciplinare della Chiesa, il papa, attraverso i suoi
legati, è di parere opposto, poiché intende affrontare prima i temi dottrinali.
Compromesso: coesistenza temporale delle questioni disciplinari e dottrinali.
Paolo III°, però, riesce nel sul intento
facendo deliberare subito sulla dottrina, scavando così un solco profondo con
il mondo riformato, chiudendo a possibili future intese o riconciliazioni.
Finalmente l’estenuante preparazione ha termine e il 13 dicembre, terza
domenica di Avvento, iniziano ufficialmente nella cattedrale di Trento,
dedicata a san Vigilio, i lavori che durano 18 anni e che procedono in tre fasi
1545 – 1547, 1551 – 1552 e 1562 -1563 intervallate da lunghe sospensioni
causate da difficoltà interne ed esterne all’assemblea conciliare. (1,
continua )