N° 1 - Gennaio 2018
MIGRANTI E RIFUGIATI: UOMINI E DONNE IN CERCA DI PACE
di Egidio Banti


La Giornata mondiale della pace, fissata nel primo giorno dell’anno civile, venne istituita da Paolo VI l’8 dicembre 1967, e quindi si tenne per la prima volta il primo gennaio 1968. I meno giovani ricordano bene quegli anni.
Gli arsenali delle armi nucleari, abbondantemente custoditi dalle principali potenze mondiali, impedivano l’esplodere di una terza guerra mondiale, ma la pace restava un sogno. Erano in particolare gli anni della guerra in Vietnam, una guerra strana, per certi versi incredibile e destinata a rivelarsi del tutto inutile, nonostante l’enorme sacrificio di vite umane provocato dai bombardamenti americani, e non solo. L’opinione pubblica mondiale era turbata, e soprattutto tra i giovani il no alla guerra, a quella guerra, fu tra le ragioni principali dell’esplodere di un fenomeno complesso e variegato, sociale, culturale, politico e di costume, quello che va sotto il nome di “Sessantotto”. Anche il mondo cattolico era attraversato da forti tensioni. Non dimentichiamo che don Lorenzo Milani, morto ancora giovane nel giugno 1967, non era conosciuto tanto per il suo impegno educativo (“Lettera a una professoressa”), quanto per il no deciso all’obiezione di coscienza al servizio militare, che allora era un reato penale e che lo portò di fronte ai giudici.
Un po’ dappertutto, ed anche alla Spezia, a Sarzana, a Carrara, gruppi e movimenti cattolici manifestavano insieme alle forze di sinistra per chiedere la fine dei bombardamenti in Vietnam. Paolo VI non pronunciò parole aperte di condanna di quegli eventi bellici – anche se la fine dei bombardamenti, decisa nel 1972, lo portò a una presa di posizione di sollievo e di rinnovato auspicio di pace -, ma è difficile non vedere nella decisione di quel dicembre 1967 un riferimento neanche troppo indiretto a quanto stava accadendo. Del resto, diversi vescovi, tra cui in primo luogo il cardinale genovese Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, colsero l’occasione per condannare apertamente il comportamento delle superpotenze e, nella fattispecie, quello degli USA.
Il tema della pace è stato sempre ai primi posti nella dottrina sociale della Chiesa. Basti pensare al comportamento dei papi durante le due guerre mondiali – Benedetto XV durante la prima (“Si fermi l’inutile strage!”), Pio XII durante la seconda (“Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”) -, o al clamore suscitato dall’enciclica specifica che Giovanni XXIII nel 1963 intitolò “Pacem in terris”. Per questo la Giornata mondiale voluta da Paolo VI, e giunta quest’anno alla sua cinquantunesima edizione, è venuta assumendo via via un ruolo centrale e decisivo nell’aggiornamento dei temi legati alla dottrina sociale. La pace, che come i papi hanno più volte spiegato, non è solo assenza di guerre guerreggiate, ma impegno concreto di sviluppo e di promozione umana, è divenuta così una sorta di cartina di tornasole per mettere alla prova coloro che la Chiesa cattolica definisce “gli uomini di buona volontà”.
Se scorriamo, anno dopo anno, gli oltre cinquanta messaggi che quattro successivi pontefici hanno dedicato a questo tema, vediamo infatti una sorta di completa “enciclopedia” dei temi sociali. Prendiamo Francesco, e i suoi (sinora) cinque messaggi dedicati all’argomento: essi hanno riguardato, nell’ordine, la “fraternità, fondamento e via per la pace”, la lotta alle tante forme di schiavitù ancora presenti nel mondo, il no all’indifferenza del cuore, la “non violenza, stile di una politica per la pace” e, quest’anno, “migranti e rifugiati, uomini e donne in cerca di pace”.
Le migrazioni, provocate dalle guerre locali, dalle carestie o semplicemente dalla ricerca di un benessere maggiore per sé e per i propri figli, costituiscono uno dei grandi aspetti dell’epoca cosiddetta globale. Nessuno, e men che meno la Chiesa, nega la necessità che gli stati pongano a detto fenomeno regole e limitazioni, ma pur sempre in un quadro mondiale di diritti che nessuna forma di razzismo, magari solo strisciante, o di ipocrita (ed inutile) egoismo può ignorare. Su questo tema si sofferma il messaggio di Francesco per il primo gennaio 2018, e ne sono evidenti gli aspetti di stringente attualità, per l’Italia e certo non solo per l’Italia. La grandezza della Chiesa cattolica, e il rispetto che essa – nonostante i limiti umani che la caratterizzano e le vere e proprie colpe di alcuni suoi esponenti – mantiene nel mondo nascono per noi credenti dall’azione della Grazia divina, ma agli occhi degli uomini dalla sua capacità di intervenire sempre al momento giusto con parole sagge e profonde. Che poi queste parole vengano ascoltate e messe in pratica, purtroppo, è un altro discorso. Il papa propone, al riguardo, una decisa azione internazionale, che abbia sullo sfondo i quattro verbi che sono centrali nel misurarsi con il fenomeno delle migrazioni: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Per la Chiesa, dice il papa, ciò è ancora più urgente nel 2018, centenario della “nascita al cielo” di santa Francesca Saverio Cabrini, patrona dei migranti. Dunque la Chiesa farà la sua parte. Ma noi credenti sapremo farla altrettanto? Riuscendo a sfidare i luoghi comuni, culturali e politici, che remano in direzione opposta? Sono questi i veri interrogativi al centro di una riflessione sulla Giornata della pace di quest’anno.



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