La Giornata mondiale
della pace, fissata nel primo giorno dell’anno civile, venne istituita da Paolo
VI l’8 dicembre 1967, e quindi si tenne per la prima volta il primo gennaio
1968. I meno giovani ricordano bene quegli anni.
Gli arsenali delle armi nucleari, abbondantemente custoditi dalle principali
potenze mondiali, impedivano l’esplodere di una terza guerra mondiale, ma la
pace restava un sogno. Erano in particolare gli anni della guerra in Vietnam,
una guerra strana, per certi versi incredibile e destinata a rivelarsi del
tutto inutile, nonostante l’enorme sacrificio di vite umane provocato dai
bombardamenti americani, e non solo. L’opinione pubblica mondiale era turbata,
e soprattutto tra i giovani il no alla guerra, a quella guerra, fu tra le
ragioni principali dell’esplodere di un fenomeno complesso e variegato,
sociale, culturale, politico e di costume, quello che va sotto il nome di
“Sessantotto”. Anche il mondo cattolico era attraversato da forti tensioni. Non
dimentichiamo che don Lorenzo Milani, morto ancora giovane nel giugno 1967, non
era conosciuto tanto per il suo impegno educativo (“Lettera a una
professoressa”), quanto per il no deciso all’obiezione di coscienza al servizio
militare, che allora era un reato penale e che lo portò di fronte ai giudici.
Un po’ dappertutto, ed anche alla Spezia, a Sarzana, a Carrara, gruppi e
movimenti cattolici manifestavano insieme alle forze di sinistra per chiedere
la fine dei bombardamenti in Vietnam. Paolo VI non pronunciò parole aperte di
condanna di quegli eventi bellici – anche se la fine dei bombardamenti, decisa
nel 1972, lo portò a una presa di posizione di sollievo e di rinnovato auspicio
di pace -, ma è difficile non vedere nella decisione di quel dicembre 1967 un
riferimento neanche troppo indiretto a quanto stava accadendo. Del resto,
diversi vescovi, tra cui in primo luogo il cardinale genovese Giacomo Lercaro,
arcivescovo di Bologna, colsero l’occasione per condannare apertamente il
comportamento delle superpotenze e, nella fattispecie, quello degli USA.
Il tema della pace è stato sempre ai primi posti nella dottrina sociale della
Chiesa. Basti pensare al comportamento dei papi durante le due guerre mondiali
– Benedetto XV durante la prima (“Si fermi l’inutile strage!”), Pio XII durante
la seconda (“Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”) -,
o al clamore suscitato dall’enciclica specifica che Giovanni XXIII nel 1963
intitolò “Pacem in terris”. Per questo la Giornata mondiale voluta da Paolo VI,
e giunta quest’anno alla sua cinquantunesima edizione, è venuta assumendo via
via un ruolo centrale e decisivo nell’aggiornamento dei temi legati alla
dottrina sociale. La pace, che come i papi hanno più volte spiegato, non è solo
assenza di guerre guerreggiate, ma impegno concreto di sviluppo e di promozione
umana, è divenuta così una sorta di cartina di tornasole per mettere alla prova
coloro che la Chiesa cattolica definisce “gli uomini di buona volontà”.
Se scorriamo, anno dopo anno, gli oltre cinquanta messaggi che quattro
successivi pontefici hanno dedicato a questo tema, vediamo infatti una sorta di
completa “enciclopedia” dei temi sociali. Prendiamo Francesco, e i suoi
(sinora) cinque messaggi dedicati all’argomento: essi hanno riguardato,
nell’ordine, la “fraternità, fondamento e via per la pace”, la lotta alle tante
forme di schiavitù ancora presenti nel mondo, il no all’indifferenza del cuore,
la “non violenza, stile di una politica per la pace” e, quest’anno, “migranti e
rifugiati, uomini e donne in cerca di pace”.
Le migrazioni, provocate dalle guerre locali, dalle carestie o semplicemente
dalla ricerca di un benessere maggiore per sé e per i propri figli,
costituiscono uno dei grandi aspetti dell’epoca cosiddetta globale. Nessuno, e
men che meno la Chiesa, nega la necessità che gli stati pongano a detto
fenomeno regole e limitazioni, ma pur sempre in un quadro mondiale di diritti
che nessuna forma di razzismo, magari solo strisciante, o di ipocrita (ed
inutile) egoismo può ignorare. Su questo tema si sofferma il messaggio di
Francesco per il primo gennaio 2018, e ne sono evidenti gli aspetti di
stringente attualità, per l’Italia e certo non solo per l’Italia. La grandezza
della Chiesa cattolica, e il rispetto che essa – nonostante i limiti umani che
la caratterizzano e le vere e proprie colpe di alcuni suoi esponenti – mantiene
nel mondo nascono per noi credenti dall’azione della Grazia divina, ma agli
occhi degli uomini dalla sua capacità di intervenire sempre al momento giusto
con parole sagge e profonde. Che poi queste parole vengano ascoltate e messe in
pratica, purtroppo, è un altro discorso. Il papa propone, al riguardo, una
decisa azione internazionale, che abbia sullo sfondo i quattro verbi che sono centrali
nel misurarsi con il fenomeno delle migrazioni: accogliere, proteggere,
promuovere, integrare. Per la Chiesa, dice il papa, ciò è ancora più urgente
nel 2018, centenario della “nascita al cielo” di santa Francesca Saverio
Cabrini, patrona dei migranti. Dunque la Chiesa farà la sua parte. Ma noi
credenti sapremo farla altrettanto? Riuscendo a sfidare i luoghi comuni,
culturali e politici, che remano in direzione opposta? Sono questi i veri
interrogativi al centro di una riflessione sulla Giornata della pace di
quest’anno.