1)
Per dare seguito a “Il dopo prima Comunione e Cresima ” del mese di Novembre ho
scoperto che già nel 2007 affrontavo lo stesso argomento che evidentemente mi
preme, più che ad altri, da tempo.
2)
Esempio verificato personalmente: i 57
cresimati di lunedì 31 ottobre 2016 la domenica successiva si erano già
volatilizzati dalla S. Messa e dall’Oratorio. Stessa sorte per i 21 di martedi
31 ottobre 2017. C’è un perché o è un
evento normale? Non manca forse la
formazione permanente? Le parole del vescovo Luigi Bettazzi e di papa Benedetto
XVI potrebbero aiutare a capire che il dopo Cresima è ancora un percorso
delicato e decisivo che merita grande attenzione, non abbandono e dimenticanza.
Però necessitano preparazione, progetti operativi e programmi concreti. O sono
orbo o non c’è niente di tutto questo, tranne un po’ d’improvvisazione.
3) Papa
Francesco in questi giorni ha detto che gli Oratori devono tornare ad essere scuola di vita e laboratori di attività, il tutto dedicato ai
giovani. Verba volant?
ATEO A
DICIOTTO ANNI ? ( da Il Sentiero del
3-2007 )
Nel rimettere ordine nella mia libreria, sollecitato, soprattutto, dalla
curiosità di riscoprire i libri rimasti dimenticati per anni, ho ritrovato un
volumetto divorato sicuramente più volte per la presenza di sottolineature
leggere della matita e di altri simboli appena accennati, quasi a voler
evidenziare con pudore e rispetto verità e concetti condivisi, senza violare la
pulizia delle parole e della pagina. L’autore, mons.Luigi Bettazzi, vescovo di
Ivrea, nel 1981 si pone la tormentata domanda “Ateo a diciotto anni?” e con un
dialogare pacato, sereno e semplice aiuta a meditare sulle contraddizioni del
mondo in cui viviamo. Al giovane lettore si rivolge così: “Caro Amico, mi dicesti un giorno che eri ateo. Ateo a diciott’anni. Mi
dicesti che ti eri allontanato dalla Chiesa, che non credevi più in Dio e in
Gesù Cristo. Pensai subito a quanti giovani sono nelle tue condizioni, a
quanti, giovani o no, sono “lontani” dalla Chiesa, definiti “materialisti e
atei” perché attestano di non credere nel mondo dello spirito e nella realtà di
Dio. Ma pensai anche a quanti, pur senza giungere a dichiarazioni così
drastiche, hanno abbandonato ogni professione di religiosità, giungendo, al di
là delle etichette e delle affermazioni, a vivere un materialismo concreto, un
ateismo pratico. Eppure anche tu, come la quasi totalità degli italiani, sei
stato battezzato, hai fatto la Prima Comunione, hai ricevuto la Cresima. Per il
Battesimo niente da dire, visto che di solito si viene battezzati appena nati,
quindi senza alcuna responsabilità propria. Ma la Prima Comunione si riceve
quando si è già fanciulli e con una certa preparazione; e una più seria
preparazione precede la Cresima, che si riceve nell’adolescenza. Dunque vi è
stato un tempo in cui credevi. Con la fede da bambino o da ragazzo, ma credevi.
Perché allora hai smesso di credere?
Perché sei giunto a dichiararti ateo?”
O a praticare un ateismo di fatto?
Davanti a questo quadro sconsolante che tormenta perché appalesa la totale
mancanza del significato base della vita, “io ci sono, perché c’è un Dio”,
ovvero, io esisto perché esiste un Creatore ( in altri termini, non sono un
frutto del caso, né un prodotto
biologico ), l’autore si pone il più classico dei quesiti: poiché la fede e la
Parola sono intoccabili, potremmo non esserci accorti che è arrivato il momento
di porle in modo diverso se vogliamo mantenere aperto o tentare di aprire un
dialogo. Così con molta sobrietà propone una rivoluzione copernicana. Mentre “l’itinerario tradizionale, che si riteneva
il più sicuro e solido, partiva dalla prova dell’esistenza di Dio, da qui si
passava a dimostrare la divinità di Gesù Cristo, soprattutto attraverso i
miracoli; e dalle parole di Gesù si ricavava poi il valore della Chiesa, ho
pensato, allora, che il discorso potesse partire dal tipo di fede più sicura e
più diffusa tra i giovani, che è la fede nell’uomo (e non è l’uomo il
centro della creazione?). Di qui si potrà
passare a incontrare Gesù Cristo, l’uomo che si rivela superiore all’uomo. E il
Dio che cercheremo non sarà comunque il Dio astratto di certe filosofie, ma un
Dio che si interessa della nostra vita, che ci ama, ci segue, che entra nella
nostra storia. E la Chiesa sarà valutata per l’aiuto, sostanziale e discreto,
che ci potrà offrire per vivere la solidarietà con Dio e con gli uomini.”
Con profetica lungimiranza questi concetti mi sembrano anticipare le parole che
Benedetto XVI, fin dai suoi primi interventi pubblici, ha ribadito e ribadisce
con solerte insistenza. Il 6 set. 2006 nella cattedrale di Monaco di Baviera
nella sua omelia sottolineava così un elemento fondamentale dell’insegnamento:
“Stimolate gli alunni a porre domande non
soltanto su questo e su quello, ma soprattutto sul “dove” e sul “verso” della nostra vita.” In
altro modo, “chi sono” e “perché sono” al fine di escludere di essere una
“cosa” manipolata e manipolabile, ma di essere qualcosa di progettualmente
appagante. Sempre in Baviera, durante la Messa sulle rive del Danubio, ha
rivolto un monito ben preciso: “La fede è
semplice. Vedendo le grandi Summae di teologia o pensando alla quantità di
scritti ogni giorno contro o a favore della fede, si è tentati di scoraggiarsi
e di pensare che credere sia molto complicato. Non è così: la fede è semplice.”
E’ paradossale che un teologo, notoriamente eccelso, si esprima in tal modo, ma
la prospettiva è pienamente evangelica e pastorale, così come l’ammonimento
chiaro e netto verso tutti, credenti e no, religiosi e laici, nei confronti
delle incombenti trappole della precettistica e del nozionismo religioso appiccicaticcio:
dire che la ragione e la conoscenza aiutano la fede, come il Papa sostiene, è
ben altra cosa. Nel timore di non essere stato sufficientemente comprensibile
insiste: “Se la gente si allontana è
anche perché gli abbiamo dato l’impressione che il credere sia un sistema
complesso, mentre, invece, è tutto così facile: c’è un Dio, un Dio che è Amore
e che ha voluto incontrarci nella persona di Gesù di Nazareth. Per vivere la
Speranza, per conoscere quanto basta, sono sufficienti le poche parole del
Credo.”
A distanza di 25 anni, ciascuno con la propria esperienza pastorale e di vita,
mi sembra che ci pongano le stesse domande. Per dialogare è il giovane che deve
sintonizzarsi con i metodi della Chiesa gerarchica o viceversa? E’ la pecora smarrita
che cerca il pastore o è il pastore che preoccupato affronta le insidie, i
rischi e le fatiche della ricerca? Che responsabilità ha il seme caduto nella
pietraia e nella siepe? Lui il suo compito lo assolve appieno, perché le
piantine nascono: forse è l’inesperto seminatore del momento che nel lasciar
cadere i chicchi di grano non si accorge che ai margini del campo di solito c’è
la siepe e il viottolo pietroso e pertanto vanno prese certe precauzioni
essenziali, se non si vuole sprecare tempo e semenza…e perdere un’anima che a
suo modo è in cammino e cerca.