N° 10 - Novembre 2017
In ricordo di Nardino Grassi
di Egidio Banti

Nardino Grassi, che su questa terra ha chiuso gli occhi per sempre all’inizio del mese di luglio, era stato, tra il 1944 e il 1945, giovanissimo partigiano della brigata “Ugo Muccini”. Come tutti i partigiani, anche allo scopo di non compromettere familiari ed amici rimasti a casa, aveva dunque un “nome di battaglia”, diverso dal suo nome di battesimo. Il nome di battaglia di Nardino era “Topolino”. Già questo particolare suscita simpatia e tenerezza e, adesso, accresce il nostro rimpianto per la perdita, tra di noi, di una persona straordinaria per umanità, per rettitudine e per coerenza. Già quando si trattò di “andare ai monti”, ovvero di unirsi alle formazioni partigiane che lottavano contro il nemico invasore, quindi per la libertà e per la pace, il giovane Nardino, poco più che venticinquenne, non ebbe incertezze. Il suo essere cattolico, legato con convinzione alla fede dei genitori e della sua terra, non era un motivo di remora ma, se mai, un motivo in più per un impegno che per lui era impegno di umanità e di giustizia. Lo raccontava sempre, negli anni successivi, e spesso lo aveva raccontato anche a me, nelle tante manifestazioni del 25 aprile e non solo nelle quali non mancava mai, come alfiere della bandiera partigiana.
La Resistenza non è stata, nel suo profondo, un movimento ideologico, le ideologie, se mai, sono venute dopo, bensì fu un movimento dal basso, di uomini e donne che non ne potevano più dell’oppressione, della guerra, della violenza. La rettitudine e l’integrità di coscienza di Nardino Grassi non potevano che portarlo dunque alla scelta di diventare “Topolino”: giovane e di corporatura minuta, quel nome gli si attagliava quasi alla perfezione, portando con sé la simpatia ma anche l’ammirazione dei commilitoni.
Ma la vita di Nardino Grassi, benché abbia conosciuto una sorta di “battesimo di maturità” in quei mesi partigiani, non si è certo esaurita lì. Io lo conobbi a lungo, come giovane cronista, nel suo ruolo di cancelliere capo della pretura di Sarzana. Ruolo difficile e spesso anonimo, quello del cancelliere, né giudice né investigatore né avvocato. Ebbene, Nardino Grassi seppe per lunghi anni interpretarlo in modo originale e, ancora una volta, ricco di umanità. I giudici che si succedevano su quello scranno pretorile, alle prese molte volte con procedimenti all’apparenza minori e poco interessanti, imparavano presto a trovare in lui non solo un collaboratore fedele e professionalmente ineccepibile, ma anche un consigliere prezioso, capace non di determinare giudizi che a lui non competevano, bensì di rappresentare aspetti ed elementi di valutazione che, magari, a prima vista potevano anche sfuggire. Lo stesso faceva nei confronti degli imputati o, come nel mio caso, dei cronisti di turno. Insomma, chi aveva modo di conoscerlo difficilmente riusciva a fare a meno della sua competenza e della sua intelligente premura.
Lo stesso è valso, per decenni, nei luoghi dove ha vissuto con la sua famiglia, tra Ortonovo, Luni Mare, Marinella di Sarzana. E, in modo tutto particolare, nelle comunità parrocchiali che ha frequentato. Non si metteva in mostra, non lo voleva fare, ma era quasi onnipresente, specie nelle occasioni importanti.
Ma se è giusto, svolgendo un tema, lasciare per ultime le cose più importanti, altrettanto giusto è che questo breve ricordo si concluda con il richiamo alla sua famiglia. La perdita dell’amatissima consorte e compagna di vita, alcuni anni fa, lo aveva prostrato in maniera incredibile, e, per chi lo ha conosciuto e incontrato in seguito, è stata la conferma di come per lui la famiglia fosse davvero centrale, superiore a tutto. Così come lo dimostrano l’amore e l’interesse con cui ha sempre seguito la figlia Stefania nelle diverse attività professionali, di insegnamento, ed anche artistiche che la vedevano di volta in volta protagonista.
Ora che non è più tra noi, forse riusciamo davvero ad accorgersi di quanto fosse preziosa la sua presenza, e di come sia dolorosa avvertire la sua mancanza. Di “Topolino” ci resta però il ricordo, insieme al desiderio di poterlo incontrare di nuovo lassù, unito di nuovo, e stavolta per sempre, alla sua consorte: un pensiero, quest’ultimo, che certo gli ha reso meno dolorosi e tristi i giorni del distacco da questa terra.
Ciao, amico “Topolino”, e grazie delle tante cose che ci hai insegnato con la tua testimonianza di vita …



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