( seconda parte )
A Ferrara arrivano molti padri conciliari delle Chiese d’Occidente e d’Oriente.
Inoltre alcuni avvenimenti di natura politica, come la drammatica situazione
politico-militare dell’Impero bizantino sotto la pressione dei turchi-ottomani
e il timore della Repubblica di Venezia di perdere le sue isole nel mare Egeo,
fondamentali per i suoi commerci e la sua sopravvivenza, aiutano il Papa, che
ha sinceramente a cuore il ricongiungimento tra la Chiesa latina e quella
greco-bizantina. Così i colloqui negoziali nel 1437 accelerano e prendono una piega decisamente concreta, tanto che al
Concilio di Ferrara prende parte una nutrita e qualificata delegazione
bizantina con l’imperatore Giovanni VIII Paleologo, il fratello Demetrio, il
patriarca Giuseppe II, un seguito di 700 persone e un numero imprecisato di
vescovi e teologi tra i quali Giovanni Bessarione ( favorevole all’unione) e
Marco, vescovo di Efeso ( contrario all' unione soprattutto per una
pregiudiziale, infatti, secondo lui, con l’aggiunta del Filioque da parte della Chiesa latina al Credo niceno-costantinopolitano
si era violata una formale prescrizione conciliare che vietava di fare aggiunte
al Simbolo di fede ). Il cardinale legato, Nicolò Albergati, inaugura l’8
gennaio 1438 i lavori (il papa Eugenio IV è presente dal 15 febbraio) nei quali
si affronta il problema Basilea, dove i ribelli continuano a riunirsi, a
decretare e, infine, ad eleggere l’antipapa Felice V (24 maggio 1438). Di fatto
abbiamo contemporaneamente aperti due concili in antitesi tra loro. Eugenio
dichiara legittimo il trasferimento a Ferrara e illegittime tutte le
decretazioni prese a Basilea. Gli ultimi padri a raggiungere Ferrara sono i
delegati dei patriarchi di Alessandria, di Antiochia e di Gerusalemme. Il 9
aprile 1438 con una sessione solenne di apertura, tutta la cristianità latina e
greca è riunita per decidere i termini e i modi dell’unità.
L’imperatore bizantino freme per la lentezza dei lavori, a lui preme, come
contropartita alla ritrovata unità, l’impegno militare del Papa, dell’Impero
d’Occidente e delle altre Nazioni per frenare l’avanzata dei Turchi ormai alle
porte di Costantinopoli. Infatti la resa della città e la fine dell’Impero
avviene il 29 maggio 1453. Trascuro per carità cristiana di raccontare tutte le
capziosità e i bizantinismi posti in essere durante i lavori delle specifiche
commissioni paritetiche sui quattro punti oggetto di discussione: 1) dottrina
della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio (Filioque); 2)
questione degli azimi o del pane lievitato nell’Eucarestia; 3) dottrina sul Purgatorio;
4) primato del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa come successore di Pietro.
Nella 15° sessione generale approda in aula il tema più scottante e delicato,
quello del Filioque, sul quale la commissione si è spaccata e non ha raggiunto
un punto di convergenza. Ma arriva uno stop ai lavori da parte del papa.
Eugenio, desideroso di assecondare le insistenze dei fiorentini (Cosimo dei
Medici vuole sfruttare a suo favore la visibilità che un evento così
straordinario poteva dargli) di avere il Concilio nella loro città, propone il
trasferimento. I greci si oppongono, ma considerazioni finanziarie (i Medici
sono una garanzia) e le avvisaglie di una epidemia di peste, li convince ad
accettare. Il 2 gennaio 1439 il papa Eugenio promulga la bolla che sancisce il
trasferimento. A Firenze in Santa Maria Novella i padri discutono, ormai, solo
sulla legittimità dell’aggiunta del Filioque. Il patriarca Giuseppe, già
malato, convoca il 30 marzo nella sua residenza i prelati orientali per trovare
un punto d’incontro tra favorevoli e contrari: si conviene di preparare
comunque una formula d’unione per non tornare a Costantinopoli a mani vuote e
senza l’aiuto militare per l’imperatore.
L’8 giugno leggono al Papa il testo del loro atto d’unione per risolvere
la controversia. Dopo ulteriori snervanti trattative per limare il testo, il 28
giugno arriva finalmente la formula scritta in latino e in greco. Il 6 luglio
1439 il papa promulga la celebre bolla Laetentur
coeli , che incorporando la formula concordata, dichiara la comunione
completa tra le due Chiese. La bolla è letta con la solennità del caso dal card.
Cesarini per i latini e dal metropolita Bessarione per i greci. Nonostante la
buona volontà dell’imperatore e del nuovo patriarca (Metrafane II), - Giuseppe
II era morto a Firenze il 10 giugno 1439 e sepolto in Santa Maria Novella, -
l’unità è accolta con molta ostilità in tutto l’Oriente a causa del fanatismo
antilatino dei monaci dal cui interno provengono i vescovi e la gerarchia.
L’unione formalmente dura fino alla presa di Costantinopoli (29 maggio 1453).
Maometto II fa eleggere patriarca Giorgio Scolaro, che prende il nome di
Gennadio II.
Questi, che durante il Concilio si era dichiarato favorevole all’unione, cambia
parere per non scontentare la maggioranza contraria del clero e dei monaci. Successivamente, in
un concilio locale svoltosi a Costantinopoli nel 1472 la Chiesa greco-ortodossa
dichiara nulli gli accordi di Firenze. Ma torniamo al Concilio fiorentino. Con
la partenza della delegazione greca i lavori continuano; infatti occorre
sistemare diverse cose: la questione Basilea ancora aperta, l’antipapa Felice V
e il fermo desiderio del Papa di proseguire il processo di unione con le altre
Chiese scismatiche d’Oriente. Per i meriti acquisiti nel sostenere la tesi
unionista, il 18 dicembre 1439 Eugenio crea cardinali Bessarione, arcivescovo
di Nicea e Isidoro, vescovo di Kiev; il 23 marzo 1440 condanna come eretico e
scismatico Felice V, il papa di Basilea.
Nel luglio del 1439 erano giunti a Firenze quattro rappresentanti della Chiesa
armena, i quali nella sessione del 22 novembre 1439 riconoscono la bolla in cui
gli Armeni , accettando il Concilio di Calcedonia ( 451 ), abiurano all’eresia
monofisita di Eutiche e aderiscono alla dottrina latina riguardo ai sette
sacramenti. Il 31 agosto 1441 è la volta di Andrea, rappresentante del
patriarca monofisita di Alessandria, Giovanni; il 2 settembre 1441 tocca
all’inviato di Nicodemo, abate di Gerusalemme e capo dei giacobiti (monofisiti)
della Palestina.
Nella sessione generale del 4 febbraio 1442 in Santa Maria Novella, è letta la
bolla relativa all’unione dei giacobiti con la Chiesa di Roma. Eugenio rientra
a Roma portando con sé il Concilio per la chiusura ufficiale nella sede del
vescovo di Roma, tornato ad essere l’indiscussa autorità di tutto il
cristianesimo. Nella sessione del 30 settembre 1444 in Laterano sanziona
l’unione con i giacobiti di Siria e Mesopotamia il cui patriarca, Ignazio, si è
fatto rappresentare da ‘Abdallah, metropolita di Edessa (Turchia centrale ).
Nella sessione del 7 agosto 1445 Eugenio sanziona l’unione con la Chiesa
caldea, rappresentata da Timoteo, vescovo di Tarso, ma residente a Cipro e la
Chiesa maronita rappresentata dal vescovo Elia di Cipro. Al termine di questo
enorme lavoro, papa Eugenio pubblica bolle solenni dichiarando i risultati
ottenuti e chiude il Concilio di Firenze, anche se siamo a Roma e nel 1445. I
risultati e le conseguenze pratiche sono pari alla fatica e all’impegno di
questo grande papa? Non tutto è andato per il verso da lui voluto, anche se non
ha potuto vederlo, perché è deceduto il 23 febbraio del 1447. Certamente
sarebbe stato un grande dolore dover accettare il rifiuto della Chiesa
ortodossa a mantenere gli impegni presi. 21 dei 32 firmatari degli accordi di
Firenze, rientrati nelle loro sedi orientali, ritrattano e rifiutano l’accordo
fino a preferire il turbante ottomano alla tiara papale. Ma la strada verso il
recupero di molte comunità alla Chiesa di Roma è aperta. Le unioni alla Chiesa
di Roma sono formulate sul piano dogmatico e disciplinare, mentre ciascuna Chiesa
conserva le proprie tradizioni, differenze e specificità liturgiche.
I vescovi di Ungheria e Polonia restano fedeli ai dettami conciliari e portano
sotto la giurisdizione di Roma importanti comunità ortodosse formando le prime
Chiese Uniate, che radunano più di 6 milioni di persone in Ucraina, Slovacchia
e Transilvania. Questo principio, voluto da papa Eugenio, sarà la costante in
tutti gli accordi per le così dette Chiese Uniate.
Cosimo vedeva lontano nel volere a Firenze il Concilio, che consacra
l’importanza della città e della Signoria medicea a livello europeo, dando
lustro e notorietà alla giovane dinastia dei Medici.
Anche sul piano artistico la presenza dell’esotico corteo di dignitari con i
loro pittoreschi costumi orientali dà i suoi frutti, visibili, per esempio, nei
dipinti di Benozzo Gozzoli della Cappella dei Magi. Ma anche Piero della
Francesca, Filarete e Pisanello non sono rimasti insensibili. Il Rinascimento italiano,
di cui Firenze è stata un eccezionale punto di riferimento, ha avuto da questo Concilio
una spinta per fare un bel salto di qualità.